Cristiani perseguitati? Amnesty li trascura
Il Rapporto Amnesty 2015 è impressionante per la crudezza della sua conclusione: il 2014 è stato l'anno nero dei diritti umani. Ma anche per ciò che non si legge: una delle più vaste persecuzioni dei cristiani. Eppure, fra rimpianti di Mare Nostrum e proposte utopiche, di questo genocidio si legge poco.
In questi due giorni si è parlato molto del nuovo Rapporto di Amnesty International. Fa notizia, in particolar modo, perché il 2014 è stato l’anno nero dei diritti umani, non solo in Ucraina, Siria, Iraq e Nigeria (le guerre che fanno più notizia), ma diffusamente in tutti i continenti. Sono 8 i Paesi nei quali sono stati commessi crimini di guerra o altre violazioni delle “Leggi di guerra”, almeno 35 i Paesi nei quali gruppi armati hanno commesso abusi, 119 quelli in cui i governi hanno dato un giro di vite contro la libertà di espressione. Sono questi i risultati, riassunti sommariamente, di un anno atroce. Il problema di questo rapporto, però, è ciò di cui non si parla. Il grande argomento assente è la sistematica persecuzione dei cristiani.
L’attenzione mediatica rischia di essere sviata su temi che fanno più presa sull’opinione pubblica occidentale, ma non riguardano direttamente la violazione dei diritti umani. Ad esempio, Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia, nella sua intervista rilasciata a Radio Vaticana punta il dito sulla gestione dell’immigrazione, con l’ormai consueto tono di rimprovero: “La comunità internazionale non può pensare di costruire dei muri, di proteggere le proprie frontiere. C’è un’emergenza umanitaria e i Paesi ricchi saranno pure in crisi economica, ma rimangono pur sempre Paesi molto più ricchi degli altri e devono fare la loro parte. La maggior parte delle persone che sono fuggite dalla Siria si trova in Libano, in Giordania, in Turchia, in alcuni casi in Iraq, non in Europa. Quindi, non c’è questa invasione”. Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia, difende politica di accoglienza dell’anno scorso: “Si era fatto un passo in avanti, mi sento di dire, con 'Mare Nostrum'. Un primo tentativo di essere proattivi da parte dell’Europa e, in particolare dell’Italia, e cioè salvare vite come mandato principale e al tempo stesso creare un meccanismo che potesse far convergere, far assorbire in modo più ordinato e più controllato, il grande numero di richiedenti asilo e di migranti irregolari che attraversano il Mediterraneo ogni giorno. E ci si era dati uno strumento che funzionava bene, da tutti i punti di vista”. In realtà, come sottolineato più volte sulle colonne di questo giornale, non funzionava affatto bene: né dal punto di vista della riduzione dei morti in mare, né, tantomeno, come deterrente per gli scafisti.
Le proposte per un sistema che garantisca un maggior rispetto dei diritti umani nel mondo sembrano attinti da un programma di utopisti, nel momento in cui Amnesty propone ai membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di “rinunciare preventivamente in via generale, in modo formale, all’utilizzo del loro potere di veto ogni volta che si discute di situazioni nelle quali vengono compiute atrocità di massa o genocidi e quando si discute della punizione di questi fatti”. La Cina, giusto per fare un esempio, rinuncerebbe al suo potere di veto, se si discutesse della violazione dei diritti umani in Tibet, o si aprisse il vaso di pandora dei suoi campi di lavoro? Amnesty punta anche sul Trattato sul commercio delle armi, che tutte le grandi potenze (a partire da Usa e Russia) si rifiutano di ratificare. Ma che differenza farebbe, in sostanza? Il peggior genocidio recente, quello del Rwanda, con quasi un milione di morti in meno di un mese, è stato commesso con panga (il machete dei contadini locali) e bastoni. Non sono le armi che provocano le violazioni di diritti umani, ma chi le usa e con quali intenzioni.
E a questo proposito, leggendo il rapporto di Amnesty, non si riesce a comprendere quale sia la causa di questa fiammata quasi improvvisa di violazione massiccia di diritti umani. Perché in così tanti paesi avvengono massacri? La risposta non la dà Amnesty, ma Aiuto alla Chiesa che Soffre: secondo il suo rapporto (di cui abbiamo parlato qui) il 2014 è l’anno nero per la libertà di religione e soprattutto i cristiani sono dalla parte delle vittime, in tutti i continenti, Europa inclusa. I massacri che stanno avvenendo sono, per la maggior parte, di natura religiosa, commessi nell’ambito di conflitti religiosi. La lista dei Paesi in cui sta avvenendo la persecuzione dei cristiani è incredibilmente lunga e comprende anche molte realtà, fra cui la Corea del Nord, che raramente finiscono sotto il riflettore dei media. Nel Rapporto Amnesty, tutto ciò non è ignorato, ma diluito. Paradossalmente, anche se i cristiani risultano essere la religione più perseguitata al mondo, sono proprio loro i meno nominati. Anche nella zona più “calda”, quella del Medio Oriente e Nord Africa, ottengono più attenzione gli yezidi (in Iraq) e i bahai (in Iran), mentre in Siria leggiamo che il grosso delle 200mila vittime è stato causato soprattutto dalle forze governative. Del disegno dell’Isis di spazzar via il cristianesimo orientale dalle sue terre d’origine, praticamente non troviamo traccia.
La questione della persecuzione religiosa sembra relegata all’esclusivo interesse di Ong cristiane e pochi altri addetti ai lavori. Ma non affrontando il tema con la dovuta attenzione, possiamo capire come funziona il mondo di oggi, possiamo comprendere le radici stesse della massiccia violenza di questi anni?