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Cristiani iracheni, la persecuzione dimenticata

Se ne parla sempre meno, anche in Italia. Eppure la situazione delle popolazioni cristiane di Iraq e Siria è sempre più grave nei territori occupati dallo Stato Islamico. Pascal Esho Warda, ex ministro dell'Immigrazione iracheno, rilascia un'intervista che è anche un drammatico appello.

Esteri 14_11_2014
Nazareno

In occidente se ne parla sempre meno, anche in Paesi come l’Italia dove il sentimento cristiano resta molto forte. Eppure la situazione delle popolazioni cristiane di Iraq e Siria è sempre più grave  sia nei territori occupati dallo stato islamico dove sequestri, violenze e schiavismo islamista sono ormai regola quotidiana sia nelle aree curde dove gli sfollati vivono in campi d’accoglienza che offrono condizioni sempre più difficili con l’arrivo dell’inverno.

La situazione dei cristiani è "estremamente grave sotto tutti gli aspetti" - ha detto Pascal Esho Warda, ex ministro dell'Immigrazione iracheno, fondatrice della Società irachena per i diritti umani e  presidente dell'Unione delle donne assire - “soprattutto dopo che sono stati scacciati dalle loro aree e presi di mira dallo Stato islamico",  In un'intervista all’agenzia di stampa Aki-Adnkronos International, Warda (chè è assira di religione caldea) spiega che "i politici iracheni non vogliono fare nulla" per risolvere la situazione drammatica della comunità cristiana irachena.  Secondo la Warda "il problema richiede una soluzione radicale, vale a dire un sostegno umanitario immediato e incondizionato, almeno per quel che riguarda l'alloggio" anche in vista dell'inverno dato che le aree del Kurdistan iracheno dove sono rifugiati i cristiani "sono caratterizzate da un clima rigido". 

Sarebbe “necessario che lo Stato iracheno si mobiliti con progetti urgenti" oppure che queste famiglie possano risiedere nei "molti edifici vuoti presenti nelle province di Dahok e Erbil a spese del governo, che sperpera inutilmente gli introiti del petrolio". Se poi le autorità di Baghdad non fossero in grado di farlo, allora "si potrebbe anche chiedere aiuto all'estero".

Considerando gli ottimi rapporto tra l’Occidente e i curdi  non dovrebbe essere difficile coordinare interventi di soccorso o di accoglienza a favore dei cristiani messi in fuga dal Califfato in Iraq e Siria. Basti pensare che solo l’Italia quest’anno ha accolto e assistito con costi di 30 euro al giorno circa 160 mila immigrati clandestini giunti in Italia dalla Libia finanziando le organizzazioni criminali nordafricane. La solidarietà italiana nei confronti dei profughi cristiani e yazidi giunti in Kurdistan si è invece limitata all’invio di qualche tonnellata di cibo  acqua con un breve ponte aereo nell’estate scorsa. 

"Le famiglie sfollate stanno spendendo tutti i loro soldi per pagare affitti astronomici, anche più di mille dollari al mese, per degli alloggi pessimi dove vivono quatto o cinque famiglie insieme"  sottolinea ancora Pascal Esho Warda lasciando intendere che vi siano a quanto pare anche speculazioni nei confronti dei profughi. Secondo l’ex ministro occorre "ripulire la piana di Ninive" dai terroristi e "mettere in campo forze di sicurezza che svolgano seriamente il loro compito di protezione".  I curdi stanno addestrando da un paio di mesi battaglioni di cristiani e yazidi ma i pochi villaggi liberati sono troppo vicini alla linea del fronte perché i civili tornino a viverci  e i consiglieri militari statunitensi che assistono l’esercito di Baghdad non ritengono possibile una vera controffensiva su vasta scala in questa regione e a Mosul prima della prossima primavera.

Quando lo Stato Islamico ha invaso la regione "il popolo è stato lasciato nelle mani dei nemici e le forze di sicurezza irachene hanno dimostrato di essere totalmente incapaci di difenderlo" sottolinea la Warda chiedendo un improbabile intervento di "forze internazionali al fianco degli apparati di sicurezza locale" con la possibilità di "coinvolgere le minoranze" allo scopo di "ripristinare la fiducia perduta nelle forze di sicurezza".   

Nell’intervista la Warda  si spinge a valutare anche le misure da adottare una volta liberato il nord Iraq dai miliziani jihadisti, quando  sarà necessario che "il governo indennizzi queste famiglie per tutto ciò che hanno perduto a causa della pusillanimità degli apparati di sicurezza" così come "conferire alla regione di Mosul l'autogoverno, che le permetta di gestire autonomamente i suoi affari all'ombra di una tutela nazionale e internazionale".

Ipotesi per ora lontane innanzitutto perché Baghdad vede già con sospetto l’autonomia curda che ha precise tendenze indipendentistiche per consentire a un’altra regione petrolifera come la provincia di Ninive di autogovernarsi. Inoltre il governo iracheno sta sostenendo consistenti spese belliche a fronte di un export petrolifero calato di 1,2 miliardi di dollari al mese a causa dei numerosi pozzi e oleodotti caduti nelle mani del Califfato e a fronte del continuo calo delle quotazioni internazionali del  prezzo del greggio sceso sotto gli 80 dollari al barile. Infine il governo a stragrande maggioranza sciita difficilmente privilegerà le minoranze nell’attribuzione di indennizzi di guerra anche perché sul campo di battaglia sono oggi le milizie dei partiti sciiti a difendere Baghdad e buona parte del fronte meridionale.

Anche ammesso che lo Stato iracheno come oggi lo conosciamo sopravviva  a questo conflitto difficilmente potrà risarcire tutti i profughi e gli sfollati di guerra che non sono solo cristiani o yazidi ma anche sciiti fuggiti o cacciati dalle province sunnite del nord e dell’ovest. Secondo l'agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) si tratta di 1,9 milioni di cittadini iracheni rimasti nel Paese ma fuggiti dalle loro case negli ultimi mesi che si aggiungono a un altro milione di sfollati registrati negli anni scorsi. Il conflitto siriano-iracheno  avrebbe determinato circa 13,6 milioni gli sfollati e molti di loro non hanno cibo e un rifugio per l'inverno. "Ormai si parla di circa un milione di profughi in due mesi", ha detto a Ginevra Amin Awad, direttore  dell'Unhcr per il Medio Oriente e il Nord Africa, secondo il quale "il mondo non sta rispondendo" a questa emergenza.  Sulla cifra totale, 7,2 milioni sono profughi siriani interni, mentre altri 3,3 sono fuggiti all'estero. Gli iracheni costretti a lasciare le loro case superano in realtà i 3 milioni tenuto conto che ai 2,9 milioni di sfollati interni si aggiungono  190.000 persone che hanno trovato riparo all'estero. 

La grande maggioranza dei rifugiati siriani ha trovato riparo in Libano, Giordania, Iraq e Turchia. "Altri paesi, soprattutto quelli europei, dovrebbero aprire le loro frontiere e condividere questo onere", ha detto Awad. Per l'Unhcr, mancano circa 58,5 milioni di dollari di donazioni per preparare all'inverno almeno 990.000 persone. Così l'organizzazione è costretta a dare priorità a chi si trova nelle aree più vulnerabili e in quelle a maggiore altitudine e più fredde.