Cristianesimo ed ecologia compatibili solo se Dio al centro
Per far sì che cristianesimo ed ecologia siano compatibili non ci si può allontanare dalla concezione del creato come opera e dono di Dio. L’errore più frequente in cui scade un approccio ideologico si riscontra nella tendenza ad assolutizzare la natura partendo dal buon proposito di volerla salvaguardare.
L’Instrumentum laboris per il Sinodo sull’Amazzonia ha suscitato un forte dibattito sulla questione ambientale. La centralità assunta dall’argomento negli ultimi anni non deve far pensare che la cura del creato rappresenti una novità per la Chiesa. La posizione cattolica si è sempre contraddistinta per una lettura della crisi dell’ecosistema in una prospettiva metafisica, attribuendole una connotazione principalmente etica.
A ciò si deve la connessione stabilita tra ecologia ambientale ed ecologia umana, nesso che ha caratterizzato gli ultimi magisteri pontifici sull’argomento. Per far sì che cristianesimo ed ecologia siano compatibili non ci si può allontanare dalla concezione del creato come opera e dono di Dio. L’errore più frequente in cui scade un approccio ideologico si riscontra nella tendenza ad assolutizzare la natura partendo dal buon proposito di volerla salvaguardare.
La Chiesa ha sempre mantenuto la sua impostazione equilibrata, considerando il rapporto dell’uomo con la terra nei termini di una custodia e non di una proprietà. L’uomo come collaboratore di Dio nel governo del creato: in quest’ottica va intesa la sua centralità nella creazione che non ha nulla a che vedere con l’antropocentrismo moderno secolarizzato.
Invece, non pochi movimenti ambientalisti nati tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo hanno accusato proprio l’antropocentrismo cristiano e l’idea biblica della ‘superiorità’ dell’uomo sulla natura di essere all’origine del disastro ecologico. Una contestazione che risente dell’impostazione esplicitamente ideologica da cui partono e in base a cui si muovono questi gruppi e che dovrebbe sconsigliare al mondo cattolico di ‘inseguirli’ sulla materia. L’agenda dei cosiddetti climate activists è infatti difficilmente compatibile con il magistero della Chiesa in tema di salvaguardia ambientale.
Al contrario, essa sembra farsi portatrice di una nuova religiosità dal sapore antico di panteismo che distorce la relazione tra l’uomo ed il cosmo, mentre esclude totalmente Dio da ogni discorso. Negata l’esistenza dello Spirito creativo di Dio, si mette l’uomo alla pari di ogni altro essere vivente e – in un’ottica biocentrica – lo si svuota di ogni connotazione spirituale. La ‘medicina’ degli ambientalisti più radicali non ‘cura’ il ‘malato’, ma rischia di ‘aggravarlo’ perché propone un approccio esclusivista al problema ambientale, scindendolo dal degrado dell’ecologia umana.
Il richiamo della Chiesa fino ad oggi non si è mai limitato a denunciare il deterioramento della natura, ma ha sempre inquadrato questo fenomeno di una crisi morale più ampia: come affermato da Benedetto XVI, “non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale”.
I pericoli insiti per un cattolico nella tentazione di accodarsi alla causa green sono stati lucidamente analizzati in un testo del 2007 edito da Cantagalli e scritto a quattro mani dal giurista Paolo Togli e da monsignor Giampaolo Crepaldi (“Ecologia ambientale e ecologia umana. Politiche dell’ambiente e dottrina sociale della Chiesa”). Già all’epoca l’Arcivescovo di Trieste faceva notare come “ONG, partiti e movimenti ambientalisti, mentre denunciano con grande fervore la manomissione dell’aria e dall’acqua, tollerano e addirittura promuovono interventi di inseminazione artificiale, che comportano il sacrificio di embrioni umani, di selezione embrionale pre-impianto, di aborto tardivo in caso di malformazione del feto, di interventi di ingegneria biologica sul DNA e perfino di clonazione umana”.
Una contraddizione talmente evidente che può servire da monito ai cattolici a non abbandonare l’approccio equilibrato che da sempre la Chiesa ha avuto di fronte al problema ambientale. Il risalto mediatico dato oggi a certe cause non deve nascondere le lacune e le storture culturali da cui non sono esenti e che sono facilmente individuabili dalla marginalizzazione che in esse vi assume la dimensione spirituale. Nel 1978, pochi anni dopo la crisi petrolifera che aveva dato l’avvio alle prime riflessioni su allarme energetico e cambiamenti climatici, l’allora cardinal Ratzinger osservava, profeticamente: “Oggi sui giornali si parla molto dell'inquinamento atmosferico prodotto dalla nostra civiltà (…) Ma dell'inquinamento spirituale, che distrugge l'atmosfera in cui può vivere lo spirito, non si parla; e l'avvelenamento del cuore e dello spirito, è assai più allarmante dei mali causati dall'inquinamento atmosferico”.