Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
La storia

Crisi nella Chiesa, di sant’Atanasio ce n’è uno

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La crisi ecclesiale odierna assomiglia, per certi versi, a quella causata dall’eresia ariana. Ma il parallelo tra sant’Atanasio e alcuni prelati oggi scismatici non regge: il santo vescovo di Alessandria, più volte esiliato, difese la fede e al tempo stesso rimase obbediente a Roma.

Ecclesia 23_07_2024 English Español

Quella che stiamo vivendo è la peggiore crisi della storia della Chiesa? Oppure ve ne sono state o ne verranno di peggiori? Difficile dare una risposta a questa domanda quanto al passato, perché la nostra più o meno grande ignoranza storica, da un lato, e il semplice fatto che ciascuno di noi non può che vivere ed esperire dentro la propria pelle, dall'altro, rendono ardua la comparazione tra differenti periodi storici. Realisticamente, ogni situazione si manifesta peggiore di un'altra sotto certi aspetti, e migliore sotto altri. Quanto al futuro, lo lasciamo nelle mani dell'onniscienza e della misericordia di Dio.

Ora, si ritiene che la crisi attuale, tra tutte quelle che si sono verificate nella storia della Chiesa, trovi la sua gemella, forse eterozigote, in quella ariana. Questo parallelo, che ha le sue ragioni, almeno quanto alla vastità del problema, ha portato e sta conducendo molti a ritrovare “nuovi Atanasio” in vescovi e presbiteri che si sono collocati in una posizione di rottura con la Chiesa cattolica. Infatti, anche Sant'Atanasio, si sostiene, era stato per cinque volte esiliato, a causa della sua strenua e inflessibile resistenza all'arianesimo. Non solo, ma era stato anche ingiustamente scomunicato da papa Liberio, sebbene quest'ultimo avesse agito sotto pesante costrizione, mentre si trovava in esilio a motivo della sua opposizione all'arianesimo (per la vicenda di Liberio, vedi qui).

Il contesto della crisi ariana è in effetti quanto di più simile alla situazione odierna; la descrizione che ne fece San Gregorio Nazianzeno nella sua straordinaria Orazione XXI (n. 24), dedicata ad Atanasio, appare eloquente: «In realtà “dei pastori sono divenuti insensati”, come dice la Scrittura, e “molti pastori hanno distrutto la mia vigna, deturpando la parte desiderabile”: mi riferisco alla Chiesa di Dio, riunita con molte fatiche e sacrifici sia prima sia dopo Cristo, e anche con le grandi sofferenze che Dio ha patito per noi. Infatti, tranne davvero pochi – e questi erano quanti furono lasciati da parte perché poco importanti o quanti resistettero per il loro valore e dovevano essere lasciati come seme e radice ad Israele, perché Israele nuovamente fiorisse e tornasse in vita con l'infusione dello Spirito –, tutti si adattarono alla circostanza, differenziandosi tra loro soltanto per il fatto che alcuni prima, altri dopo, ebbero questa sorte. Inoltre, alcuni furono i primi combattenti e i capi dell'empietà, altri, invece, si schierarono nelle file successive, o perché scossi dal timore o perché asserviti alla necessità o perché allettati con adulazione o, e questo è il caso migliore, perché ingannati come conseguenza della loro ignoranza, ammesso che ciò basti a discolpare coloro ai quali era stato affidato il compito di guidare il popolo».

Panorama desolante, allora, come oggi. Ma le analogie tra Sant'Atanasio e le più recenti figure episcopali o presbiterali che hanno deciso di “mettersi in proprio”, qui finiscono, mentre si impongono radicali dissomiglianze che non permettono di giustificare gli scismi odierni con l'esempio del Santo Dottore. E non solo per il fatto che nessuno dei “dissidenti” ha dovuto sopportare esili, precarietà, maltrattamenti, o accuse calunniose su fatti mai compiuti, come quella di aver ucciso una persona, tutte cose che per Atanasio divennero pane quotidiano.

Partiamo da un antefatto. A motivo di queste false accuse, Atanasio venne deposto dalla sede di Alessandria dai vescovi eusebiani (seguaci di Eusebio di Nicomedia), i quali notificarono la decisione al Papa, Giulio I. Il Papa rese note ad Atanasio le accuse e il provvedimento contro di lui, così da permettere al vescovo di Alessandria di potersi spiegare. Alla fine, decise di convocare a Roma entrambe le parti, per poter emettere un giudizio equo. Atanasio si presentò nell'Urbe in compagnia di altri vescovi deposti dagli eusebiani, tra cui Paolo di Costantinopoli e Marcello d'Ancira. Il Papa, oltre ad assolvere Atanasio per inconsistenza di prove, rimproverò gli eusebiani per aver deposto dei vescovi senza aver coinvolto il vescovo di Roma. Socrate Scolastico, nella sua Storia della Chiesa (2. 17), spiega che gli eusebiani avevano violato il principio fondamentale secondo cui nessuna Chiesa può prendere decisioni contrarie al giudizio del vescovo di Roma, in virtù del suo primato di giurisdizione, come verrà poi espressamente riconosciuto nel Concilio di Sardica (343-344). Da notare che il Papa non entrò in quel frangente nel merito della questione dottrinale, se cioè fosse giusta la posizione dottrinale di Atanasio o quella degli eusebiani, ma rivendicò il primato dei successori di Pietro: «Ignorate forse che la consuetudine prevedeva che si dovesse prima scrivere a noi e quindi che una decisione giusta dovesse passare da questo luogo?» (Apologia contro gli Ariani, 1. 35). Dunque, Atanasio venne “salvato” dal primato petrino: il Papa godeva (e gode) del diritto di pronunciare l'ultima parola sulla nomina o deposizione di un vescovo, in quanto fondamento e garante dell'unità della Chiesa.

Con papa Liberio, questo primato si volse contro Atanasio, il quale, come è noto, venne da lui scomunicato. Nessun dubbio sull'ingiustizia di tale scomunica, che tra l'altro non venne presa liberamente da Liberio, come lo stesso Atanasio ebbe modo di sottolineare nell'Apologia contra Arianos (cf. VI, 89). Ma – e questo è il punto – il Dottore della Chiesa non ha per questa ragione posto in questione la legittimità dell'autorità di Liberio, né ha continuato a svolgere il proprio ministero episcopale una volta deposto dal Papa e ancor meno ha conferito ordini sacri durante questo periodo. Egli, al contrario, accettò esilio e deposizione, senza per questo condividerne le ragioni, e ancor meno piegandosi a sposare la posizione ariana. E tuttavia, mentre manteneva ferma la dottrina della fede – mai affermò che Liberio avesse fatto bene a scomunicarlo e firmare la formula compromissoria filoariana –, si sottomise all'ingiusta sentenza, senza creare una chiesa parallela, in virtù di uno stato di necessità che certamente esisteva. Atanasio con la sua parola confessò e difese la consustanzialità del Figlio al Padre, mentre con la sua condotta professò e custodì il primato di Pietro, nell'unica Chiesa di Gesù Cristo. E così, santamente, non perse la fede, né si fece vincere dalla viltà o da umani calcoli, ma nel contempo non stese la mano contro l'Unto del Signore (cf. 1Sam 24, 6), rifiutando quella sentenza che proveniva dalla Sede apostolica. Contro di lui.

Nel passo citato di San Gregorio, ritroviamo la logica di questa sottomissione: Atanasio doveva essere lasciato «come seme e radice ad Israele, perché Israele nuovamente fiorisse e tornasse in vita con l'infusione dello Spirito». E il seme, per dare frutto, deve accettare la morte, come nostro Signore (cf. Gv 12, 24). È questa la più alta testimonianza, la più grande e feconda opera che abbiamo da compiere in questa vita. È soltanto la fede che ci fa credere che l'accettazione della morte (non solo quella fisica), anche per un’ingiusta condanna, sa portare più frutto di qualsiasi altra opera o fondazione compiuta nella rottura con il successore di Pietro.

Non dovremmo mai smettere di leggere e rileggere questo passo del Vangelo di Giovanni: «Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: “Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”. Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 49-52). Si tratta di un testo che contiene più di quanto non si immagini. La morte del Signore, l'atto più blasfemo che gli uomini potessero compiere, l'atto più costitutivamente contrario al fine per cui il sommo sacerdozio era stato istituito da Dio, è stata decretata da un'autorità profondamente iniqua, ma riconosciuta come legittima, al punto che da quella bocca Dio non ha disdegnato di trarre la profezia sostanziale che svela il senso dell'Incarnazione. Un'autorità di fronte alla quale il Signore non solo si è degnato di essere giudicato, ma alla quale si è consegnato. Ci ha lasciato un esempio, perché ne seguissimo le orme (cf. 1Pt 2, 21).



ORA DI DOTTRINA / 86 – IL SUPPLEMENTO

La crisi ariana e le ipotesi sul cedimento di papa Liberio

15_10_2023 Luisella Scrosati

Non pochi, tra quelli che accettarono il compromesso semi-ariano, cedettero alle persuasioni e alle minacce dopo aver lottato con coraggio. Tra questi papa Liberio. Molte le ipotesi, anche ingenerose, sul suo cedimento.