AFRICA
Crisi: Mali in bilico tra golpe e secessione
Uno dei paesi più poveri della terra è dilaniato dal colpo di stato e dalla guerra di seccessione che si aggiungono alla crisi alimentare.
Attualità
10_04_2012
Golpe e guerra di secessione: l’eventualità che una nazione debba affrontare nello stesso tempo due crisi di questa portata è decisamente rara, ma è quanto succede in Mali, uno degli stati del Sahel africano, in cui inoltre è in corso da mesi anche una terza, grave crisi, alimentare, provocata dalla siccità che ha colpito tutta la regione.
Il 22 marzo un gruppo di giovani ufficiali dell’esercito, guidati dal capitano Amadou Sanogo, hanno occupato i palazzi del potere nella capitale Bamako e hanno sospeso le istituzioni democratiche nel bel mezzo di un conflitto armato: quello scatenato il 17 gennaio dalle popolazioni del nord, stanche di essere discriminate ed emarginate da un governo dominato dalle etnie meridionali del paese. Il colpo di stato si è risolto per fortuna in pochi giorni e senza spargimento di sangue. Il 6 aprile i militari, sotto la minaccia di un embargo totale, di sanzioni personali e di un intervento militare da parte della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, hanno deciso di cedere il potere a un governo civile. Da parte sua il presidente destituito, Amadou Toumani Touré, il cui mandato era comunque in scadenza essendo fissate al prossimo 29 aprile le elezioni presidenziali a cui non si era candidato, ha accettato di dimettersi. La presidenza ad interim è passata quindi, come previsto dalla costituzione, al presidente del parlamento, Dioncounda Traoré, che guiderà il paese fino a quando non sarà possibile portare al voto i maliani.
La durata del governo ad interim dipende dall’andamento della seconda crisi, la guerra di secessione dell’Awazad, questo è il nome delle regioni settentrionali in rivolta. Se davvero a causare il golpe è stata l’esasperazione per la pessima gestione di questa crisi da parte del governo, accusato dai militari di aver mandato l’esercito a combattere nel nord male equipaggiato e disorganizzato, le conseguenze della destabilizzazione politica sono state disastrose. Nei giorni successivi al colpo di stato, infatti, l’avanzata dei ribelli del nord da rapida si è fatta travolgente. Le principali città – Kidal, Gao e Timbuctu – sono cadute nelle loro mani e il 6 aprile, respingendo la proposta da parte della giunta militare di una trattativa nella prospettiva di un governo di unità nazionale, il più consistente dei gruppi ribelli, il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, Mnla, formato da combattenti tuareg, ha proclamato l’indipendenza dei territori “liberati” appellandosi alle convenzioni internazionali e invocando antiche responsabilità coloniali per le decisioni prese arbitrariamente dalla Francia in merito ai confini delle proprie colonie.
A peggiorare il quadro vi è il fatto che le milizie antigovernative non costituiscono un fronte unito. Oltre all’Mnla, tre gruppi integralisti islamici rivendicano il controllo del nord, con l’intenzione di imporvi la shari’a, la legge coranica: Ansar Dine, composto da tuareg come l’Mnla, Al Qaeda nel Maghreb Islamico, il movimento algerino che prima del 2005 si chiamava Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento e che ormai opera in tutto il Sahel, e Mujao, Movimento per l’unicità e il Jihad in Africa Occidentale, nato nel 2011 e formato da estremisti mauritani oltre che maliani (autore tra l’altro del sequestro della cooperante italiana Rossella Urru avvenuto lo scorso ottobre).
Si devono soprattutto a questi tre movimenti gli assalti alle chiese, i saccheggi e le violenze ai danni delle piccole comunità cristiane che hanno messo in fuga centinaia di famiglie. Ma i ribelli infieriscono su tutte le comunità etniche originarie del sud residenti nell’Azawad. Dall’inizio dei combattimenti, inoltre, l’insicurezza e la crescente scarsità di generi alimentari hanno indotto le stesse popolazioni del nord a fuggire. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che sfollati e profughi nei paesi vicini ammontino ormai a ben oltre 200.000. La crisi alimentare che già attanagliava il Mali in poche settimane è così diventata una nuova emergenza umanitaria di enormi proporzioni, suscettibile di protrarsi nel tempo e di degenerare ulteriormente. Il contrasto tra Mnla e movimenti integralisti appare infatti inevitabile. L’Mnla si è impegnato a combatterli e a impedirne l’affermazione e potrebbe contare sul sostegno di una parte della popolazione che, sebbene islamica, non è disposta ad accettare l’imposizione di una interpretazione integralista della legge coranica.
Si devono soprattutto a questi tre movimenti gli assalti alle chiese, i saccheggi e le violenze ai danni delle piccole comunità cristiane che hanno messo in fuga centinaia di famiglie. Ma i ribelli infieriscono su tutte le comunità etniche originarie del sud residenti nell’Azawad. Dall’inizio dei combattimenti, inoltre, l’insicurezza e la crescente scarsità di generi alimentari hanno indotto le stesse popolazioni del nord a fuggire. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che sfollati e profughi nei paesi vicini ammontino ormai a ben oltre 200.000. La crisi alimentare che già attanagliava il Mali in poche settimane è così diventata una nuova emergenza umanitaria di enormi proporzioni, suscettibile di protrarsi nel tempo e di degenerare ulteriormente. Il contrasto tra Mnla e movimenti integralisti appare infatti inevitabile. L’Mnla si è impegnato a combatterli e a impedirne l’affermazione e potrebbe contare sul sostegno di una parte della popolazione che, sebbene islamica, non è disposta ad accettare l’imposizione di una interpretazione integralista della legge coranica.
Il Mali è uno dei paesi più poveri della Terra. Nel 2011 l’Indice dello sviluppo umano compilato ogni anno dall’agenzia ONU per lo sviluppo lo collocava al 175° posto su 187 stati considerati.