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MEDITERRANEO

Crisi libica, l'emarginazione politica dell'Italia

L'Italia continua ad essere assente dalla soluzione alla lunga crisi libica. Non siamo stati invitati al vertice di Parigi. E l'Onu, dopo il mediatore Leon, nomina un diplomatico tedesco, rappresentante di una nazione che ha meno contatti e interessi in loco rispetto a noi. Mancano i candidati, è un'esclusione voluta? O qualcuno, anche da noi, ha interesse a non risolvere la crisi?

Esteri 04_10_2015
Libia, milizie in azione

Che la Libia rappresenti, con le sue numerose e gravi problematiche, una spina nel fianco per l’Italia è chiaro a tutti fin dalla sciagurata guerra contro Muammar Gheddafi nel 2011.

Dall’approvvigionamento energetico (gas e petrolio) all’emergenza immigrazione clandestina (una “invasione” che dal gennaio 2014 ha già fatto sbarcare in Italia oltre 300 mila immigrati clandestini) fino alla crescente presenza di aree controllate dallo Stato Islamico che ha “dichiarato guerra” a Roma, la Libia è in cima a tutte le analisi strategiche più fosche che riguardano l’Italia e la sua sicurezza.

Sconcerta a questo proposito constatare il ruolo a dir poco marginale che Roma riesce a svolgere in ambito europeo e al tempo stesso l’incapacità del governo Renzi di superare l’ostracismo nei nostri confronti di tedeschi, francesi e britannici per rispondere alle sfide libiche con concrete e autonome iniziative nazionali.

Al di là delle pacche sulle spalle e dei sorrisi di circostanza che Matteo Renzi dispensa copiosamente davanti alle telecamere che lo riprendono ai vertici europei insieme agli annunci trionfali che vorrebbero la Ue pronta a fare ciò che Roma chiede da anni, appare evidente la volontà dei “grandi” d’Europa di emarginare l’Italia dalla gestione del dossier libico.

Ne è stato prova il vertice di fine settembre su Siria, Libia e immigrazione tenutosi a Parigi a cui François Hollande ha invitato Angela Merkel, David Cameron e Federica Mogherini ignorando completamente Renzi e l’Italia. Del resto cosa potevamo aspettarci? Che i Paesi che avevano voluto la guerra contro Gheddafi (Gran Bretagna e Francia) per sottrarre all’Italia gli affari commerciali ed energetici libici fossero oggi disponibili a lasciare a Roma un ruolo di primo piano?

Certo di fronte alle crisi contemporanee l’Europa ha dimostrato di non valere nulla e di non saper gestire neppure la difesa delle proprie frontiere ma l’emarginazione dell’Italia appare una strategia condivisa da tutti, anche in ambito Nazioni Unite. Il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, continua a confermare la sua fiducia al processo di pace tra le milizie libiche, mediato senza successo dall’inviato dell’Onu, lo spagnolo Bernardino Leon, ormai squalificato anche agli occhi di molte fazioni (Tripoli lo accusa di essere schierato con il governo di Tobruk), mentre le Nazioni Unite hanno nominato un tedesco come suo successore. Martin Kobler, diplomatico di carriera attuale rappresentante Onu in Congo con un passato in Iraq e Afghanistan ed Egitto (qui come ambasciatore) non conosce la Libia né Berlino ha avuto intensi  contatti con quel Paese africano dopo la disfatta dell’Afrika Korps nel 1943.

Si può discutere a lungo sull’insensata sostituzione di Leon, che forse andava rimosso un anno or sono ma che ora lascerà incompiuto un duro lavoro negoziale basato anche su rapporti e relazioni personali che Kobler non potrà certo tessere in breve tempo. Per questo Roma vorrebbe che Leon restasse con il solo incarico di gestire i negoziati mentre Kobler assumerebbe la leadership della missione dell’Onu a Tripoli. L’ottusa burocrazia e i complicati equilibri tra le potenze hanno influito sulla decisione dell’Onu di nominare Kobler ma l’aspetto che più sorprende è che il tedesco pare abbia avuto anche il via libera dell’Italia che non aveva presentato un suo candidato.

Che Roma rinunci a presentare un suo uomo per gestire una crisi che riguarda pesantemente il nostro territorio nazionale è un grave sintomo dell’assenza anche di una minima parvenza di politica estera. Il motivo per cui non abbiamo presentato un nostro diplomatico è però ancor più disarmante, se sono vere le voci che riferiscono dell’assenza di figure di spicco da candidare. A questo proposito c’è chi parla anche di una manovra italiana tesa a evitare una candidatura diplomatica per puntare ad avere il comando della missione militare di pace che l’Onu dovrebbe mettere  a punto in seguito agli accordi di pace in Libia. Da un anno, Gentiloni offre la disponibilità di Roma a guidare questa missione militare che però nessuno ha fretta di varare e che soprattutto nessuna fazione libica vuole. Persino per combattere l’Isis a Sirte, le diverse milizie libiche chiedono un supporto aereo e forniture di armi, ma non truppe straniere sul terreno nel timore che possano sottrarre sovranità alle milizie e ai loro traffici. In ogni caso, puntare a ottenere incarichi di vertice militare invece che politico o diplomatico significa non avere mai la vera leadership e non poter influire sugli eventi.

Lo dimostra, proprio nello scenario libico, l’operazione Eunavfor Med varata dalla Ue su richiesta (pressante) italiana per contrastare i trafficanti di esseri umani e che ha un doppio comando italiano: dell’operazione e del gruppo navale. L’operazione, ribattezzata “Sophia” per ricordare la bambina nata su una nave tedesca che aveva imbarcato la madre da un barcone, è però appesa alle decisioni di Bruxelles. Tra pochi giorni prenderà il via la Fase 2 che dovrebbe contrastare i trafficanti ma solo in acque internazionali e probabilmente non potrà fare altro che affondare i barconi dopo aver recuperato i clandestini da sbarcare in Italia. Cioè quello che già fanno le navi militari delle operazione Mare Sicuro e Triton.

Puntare solo a incarichi militari ci condanna al ruolo di gregari o forse significa semplicemente che l’Italia ha più generali e ammiragli di spessore che politici e diplomatici. In ogni caso la situazione attuale dimostra quante occasioni abbia perduto l’Italia per difendere i suoi interessi nazionali in Libia senza attendere una Ue troppo lenta e disinteressata per essere efficace e che, certo, non si preoccupa di tutelare l’Italia. Se all’inizio della nuova emergenza immigrazione, nel 2013, Roma avesse risposto con il respingimento sulle coste libiche degli immigrati clandestini (quei respingimenti assistiti di cui abbiamo parlato spesso su NBQ) offrendosi al tempo stesso di guidare un negoziato tra le fazioni libiche senza attendere Ue e Onu, probabilmente i risultati sarebbero stati diversi.

Di certo non avremmo arricchito trafficanti vicini ai terroristi islamici che in due anni hanno incassato almeno 700 milioni di euro con il supporto delle nostre forze armate. Forse i traffici di immigrati si sarebbero spostati su altre rotte come quella balcanica e, sul piano politico, la nostra conoscenza del Paese ci avrebbe permesso di avviare un negoziato diretto con Tobruk e Tripoli, specie se avessimo messo sul tavolo un consistente programma di cooperazione militare per sconfiggere sul nascere l’embrione libico dello Stato Islamico.

Insomma, un’iniziativa nazionale tesa a difendere i nostri interessi e a stabilizzare un Paese che a molti nostri “alleati” e partner  sembra andare benissimo così, preferendo una Libia instabile piuttosto che sotto l’area di influenza italiana. Purtroppo una simile iniziativa non è mai stata varata e forse neppure pensata dai governi Letta e Renzi, forse perché anche in Italia il caos libico sembra fare comodo a molti. Basti pensare al business gigantesco creato intorno all’assistenza agli immigrati illegali che sta arricchendo, oltre alla malavita, anche molte associazioni e organizzazioni legate al mondo cattolico e alla sinistra. Ambienti molto vicini al governo che con i clandestini stanno incassando molto di più di quanto abbiano guadagnato i trafficanti.