Crimea, fra referendum ed escalation militare
Con un referendum vinto facilmente dai filo-russi, la Crimea si fa annettere dalla Federazione Russa. L'Ue e gli Usa non riconoscono l'esito. E fra Nato e Russia inizia l'escalation militare, dal Baltico al Mar Nero.
Putin si prende la Crimea grazie a un referendum per il distacco dall’Ucraina che ha chiamato alle urne 1,5 milioni di persone e che secondo gli exit polls ha visto i Si al 93 per cento. Un risultato che non verrà riconosciuto da buona parte della comunità internazionale e dall’Unione Europea e che apre nuovi fronti secessionisti nell’est dell’Ucraina, province dove i filo russi e i russofoni sono la maggioranza e vorrebbero staccarsi da Kiev per aderire alla Federazione Russa. E’ proprio in queste regioni che si concentrerà l’escalation militare della crisi ucraina i cui segnali sono ben avvertibili dal Mar Baltico al Mar Nero. Se in Crimea i militari russi sono saliti a 22 mila (secondo fonti di Kiev) le truppe ucraine sono segnalate in marcia verso i confini russi da dove ieri un piccolo reparto di Mosca è sconfinato occupando il villaggio di Strilkove, nella regione di Kherson a nord della Crimea. Mosca si riserva il diritto di “rispondere alle richieste di aiuto dei cittadini russi in Ucraina” ma la mobilitazione di forze militari ucraine e dei paramilitari della neocostituita Guardia Nazionale sembra destinata a rafforzare il controllo nelle province di Donetsk, Karchiv e Lugansk dove i filo russi sono più forti e attivi.
Se è sul piano politico che si misurano ora le ritorsioni contro Mosca, dalle minacciate sanzioni all’isolamento internazionale evidenziato anche dalla crescente freddezza cinese e delle repubbliche ex sovietiche che con la Russia dovrebbero dare vita all’Unione Euroasiatica e tradizionalmente (e comprensibilmente) intimorite dalle esibizioni muscolari dei russi, è sul piano militare che si colgono i segnali più evidenti dei rischi di escalation della crisi.
Nel governo ucraino le valutazioni sono contrastanti. Il presidente ad interim Oleksander Turchinov ha definito le forze russe concentrate ai confini “pronte ad invaderci in qualsiasi momento” mentre il ministro della Difesa, Igor Tenyuch, ritiene che “non ci sarà una guerra”. In realtà molti segnali confermano i rischi di una guerra civile e di una tensione degna dell’epoca della Guerra Fredda. Stride infatti che nessuno alla Nato e alla Ue (che già tra pochi giorni dovrebbe firmare il trattato di associazione con l’Ucraina) abbia chiesto chiarimenti circa il nuovo corpo paramilitare istituito da Kiev, quella Guardia Nazionale che dovrebbe essere composta da 60 mila uomini con compiti di “sicurezza, ordine pubblico controllo delle frontiere e antiterrorismo” come ha detto Turchinov.
La milizia dipenderà dal Ministero degli Interni e sarà composta da volontari provenienti dai “gruppi di autodifesa” formatisi durante la protesta del Maidan, cioè in buona parte dai militanti dell’estrema destra. Un corpo che pare quindi destinato non tanto a difendere in battaglia i confini dell’Ucraina quanto a sedare le rivolte nell’est filo-russo o a Odessa e il cui impiego potrebbe scatenare risposte che porterebbero il Paese alla guerra civile.
Del resto Kiev non può certo contare sulle sue forze armate che in parte hanno defezionato e hanno in ogni caso una prontezza al combattimento piuttosto limitata al punto che lo stesso ministro della Difesa considera operativi appena 6 mila militari. Kiev ha inoltre chiesto formalmente aiuti militari in armi, munizioni e informazioni d’intelligence agli Stati Uniti. Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, che cita alti funzionari dell’Amministrazione, la Casa Bianca è stata colta in contropiede da questa richiesta e l’avrebbe respinta “per il momento” consentendo però l’invio di 300mila razioni alimentari all’esercito ucraino.
Il coinvolgimento militare statunitense nella crisi è in ogni caso crescente sia per le voci di consiglieri militari appartenenti a società private (Private military companies) a contratto con il Pentagono arrivati a Kiev per dare una mano ai governativi ad organizzarsi militarmente sia per la notizia non confermata di un drone americano sorpreso e forse abbattuto sui cieli della Crimea.
Notizie difficili da accertare mentre più evidente è l’invio di reparti aerei in Polonia (12 cacciabombardieri F-16) e nelle repubbliche Baltiche (10 caccia F-15 e 2 aerei da rifornimento KC-130) ufficialmente per esercitazioni e per rassicurare Paesi della NATO preoccupati dalle minacce russe. Inoltre la NATO ha iniziato i voli degli aerei radar Awacs tesi a garantire l’inviolabilità dei cieli dell’Ucraina e a prevenire attacchi russi contro un Paese che sta per discutere in Parlamento un disegno di legge per l’adesione di Kiev all’Alleanza Atlantica. A poche centinaia di chilometri dalle basi navali russe di Sebastopoli il cacciatorpediniere lanciamissili americano Truxtun ha prolungato le manovre navali con le navi romene e bulgare nel Mar Nero in concomitanza con l'acuirsi della crisi in Crimea.
Anche Mosca mostra i muscoli con nuove esercitazioni terrestri ai confini ucraini che coinvolgono decine di migliaia di militari (solo a Rostov 8.500 militari, 500 mezzi corazzati e blindati e 36 velivoli) di reparti di fanteria motorizzata, paracadutisti, corazzate e di artiglieria che simulano azioni di penetrazione offensiva Altre grandi manovre riguardano la difesa aerea nel Distretto militare occidentale: dovevano durare una settimana ma sono state prolungate per un mese mobilitando i sistemi missilistici antiaerei S-300 e Buk M-1/2.
Mosca ha schierato inoltre 6 caccia Sukhoi 27 in Bielorussia, in risposta a un richiesta dell’alleato intimidito dalla presenza dei jet statunitensi in Polonia e Lituania. Il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, ha chiesto ai russi almeno 15 caccia per bilanciare quelli statunitensi ai confini del Paese. Una mobilitazione di forze che potrebbe aumentare d’intensità dopo l’esito scontato del referendum in Crimea.