Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
istruzione e distruzione

Cresce la scuola parentale contro l'omologazione educativa

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Mentre l'Italia si allinea alla Francia sottolineando il monopolio statale anche sulla scuola non statale, negli ultimi anni è aumentato l'homeschooling. Non solo per ragioni legate al Covid, ma soprattutto come reazione al dilagare del pensiero unico fin sui banchi scolastici.

Educazione 09_03_2024
IMAGOECONOMICA - CARLO CARINO BY AI MID

Sabato 23 marzo 2024 si terrà a Lonigo (Vicenza) la Terza edizione della Giornata Nazionale per la Vera Scuola Cattolica.  L’Osservatorio Van Thuan, per far fronte alla grande crisi educativa che investe la nostra società e l’intero settore dell’Istruzione, ha creato un Coordinamento specifico che raccoglie già molte realtà, specialmente di scuola parentale cattolica e homeschooling, ma anche di scuole cattoliche paritarie e singoli insegnanti cattolici nella scuola statale. È una iniziativa di grande valore, tenuto conto che da qualche anno, in Italia, si parla e si dibatte sempre meno di libertà di educazione. Persino la Chiesa pare aver dato la precedenza ad altre tematiche, accettando supinamente il monopolio statale dell’educazione delle nuove generazioni.  

Quasi per offrire ulteriore materiale su cui discutere a Lonigo e a proposito di monopolio statale dell’istruzione, proprio in questi giorni è stata pubblicata una sentenza del Consiglio di Stato che prevede nuove restrizioni per l’istruzione parentale. La sentenza n. 1491 del 2024 afferma, infatti, che nessuna norma autorizza a ritenere che l’adempimento dell’obbligo scolastico possa essere rimesso all’autonomia privata familiare. Il Consiglio di Stato ha voluto, in tal modo, sottolineare fortemente che l’istruzione scolastica è materia di «pubblico interesse», e che la tutela di questo interesse è preordinata sia dalla disciplina dell’istruzione in generale, sia da quella dell’istruzione inferiore, di cui all’art. 34 della Costituzione.

Ne consegue, sempre a parere del Consiglio, che la scelta di optare per l’istruzione parentale non implica una delega in bianco alle famiglie della responsabilità di educare i propri figli; pertanto, quante scelgono questa opzione devono dimostrare di avere la capacità tecnica o economica di «fornire un’istruzione equivalente a quella impartita nelle scuole statali». Le stesse istituzioni scolastiche, continua la sentenza, non possono disinteressarsi dell’istruzione parentale, ma devono effettuare controlli e verifiche periodiche per accertare che l’istruzione impartita a domicilio sia conforme ai requisiti minimi previsti dalla legge.

L’Italia si allinea, così, alla recente presa di posizione del presidente francese, Emmanuel Macron, che si è pronunciato contro il cosiddetto “separatismo scolastico”, come pure alla tendenza che sta emergendo in diversi Stati oltreoceano (ad esempio nel Michigan, Stato tradizionalmente permissivo nei confronti dell’homeschooling, dove è stata presentata una proposta di obbligo di registrare tutti i bambini in età scolare presso il distretto scolastico locale o un ente pubblico). 
Non si tratta solo, come qualche commentatore ha ipotizzato, di una reazione all’avvenuto incremento dell’istruzione parentale a seguito dell'epidemia di Covid-19. C’è di più.
Indubbiamente, il timore dei contagi e le restrizioni spesso assurde e inutili imposte durante il periodo del virus, hanno dato una spinta alla diffusione della istruzione parentale, facendo registrare una vera e propria impennata: secondo i dati forniti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito per l’anno scolastico 2021/2022, la quota di famiglie che hanno scelto l’homeschooling alla scuola primaria ha superato le 11mila unità, un aumento significativo rispetto al periodo pre-Covid (solo 1800 le famiglie che avevano scelto l’istruzione parentale); e anche a livello di scuola media, i numeri sono cresciuti da 1.651 studenti a 6.122.
Il fenomeno, tuttavia, era già in crescita precedentemente, sebbene in modo più lineare, rivelando una crescente crisi di sfiducia nei confronti dell’istruzione fornita dalla Stato e persino dalle stesse scuole paritarie (spesso allineate, e non sempre obtorto collo, ai diktat ministeriali e alle parole d’ordine del mainstream).

La crisi che investe il mondo dell’istruzione, in realtà, non è di tipo sanitario, ma antropologico. Le famiglie che si orientano, spesso accettando enormi sacrifici, verso l’istruzione parentale, hanno ben chiaro che il modello di uomo che lo Stato, attraverso le sue scuole, vuole forgiare, è del tutto diverso da quello da loro desiderato.

L’«interesse pubblico» di cui parla la sentenza del Consiglio di Stato, infatti, apre a scenari inquietanti e ambigui, poiché coincide in sostanza con il modello di uomo proposto /imposto dalla cultura dominante. Oggi, nella gran parte delle scuole statali, si realizzano percorsi di “educazione alla affettività” in cui si esaltano le molteplici diversità di genere; si introduce la possibilità della “carriera Alias”, con cui ognuno può decidere liberamente la propria identità sessuale e il conseguente nome anagrafico; si veicola una concezione della scienza in antitesi alla fede e alla tradizione cattolica; si introducono sottilmente gli studenti a uniformarsi al “pensiero unico” quanto a ecologismo, immigrazionismo, materialismo; si esaltano il relativismo morale e l’indifferenza religiosa; si introducono gli studenti a una concezione della vita di tipo edonistico ed economicistico, in cui il successo e la produttività sono il massimo obiettivo. In diverse scuole, giunge voce, si è già cominciato a “spingere” sulle nuove forme di alimentazione a base di farine di insetti e carne sintetica. In sostanza, la scuola di Stato (e non solo dello Stato italiano…) è oggi totalmente appiattita sull’ Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030, il  programma di “sviluppo” che 193 Paesi membri dell’ONU hanno sottoscritto nel 2015 e che è diventato poi patrimonio dell’Unione Europea.
Se tante famiglie, in accordo con queste linee educative e formative, intendono continuare ad avvalersi dell’istruzione statale, è giusto che lo facciano. Ma non è altrettanto giusto voler ostacolare quelle che desiderano, per i propri figli, una educazione diversa. La stretta sulle scuole parentali, infatti, è essa stessa una manifestazione dell’aggressività del pensiero unico, una reazione rabbiosa al tentativo, da parte di alcuni, di sottrarsi all’omologazione generale.

Inutile affermare che «la responsabilità educativa resta comunque in capo alle famiglie e che la sentenza non intende sminuire il ruolo fondamentale delle famiglie nell’educazione dei figli, che hanno il diritto di scegliere il percorso formativo più adatto ai propri figli» (Orizzontescuola, 04 marzo 2024). Se davvero le cose stessero così, sarebbero necessarie e opportune norme e sentenze che vadano nella direzione opposta, facilitando sia economicamente che organizzativamente le famiglie che intendono avvalersi dell’istruzione parentale.

Il “grande fratello” che gestisce oggi l’educazione/formazione dei giovani non vuole correre il rischio che ci siano granelli di sabbia negli ingranaggi, e quindi corre ai ripari.  Partecipare all’evento del 23 marzo, allora, è un possibile modo di lottare contro la deriva educativa che investe il nostro Paese e di collaborare affinché le nuove generazioni abbiano la possibilità di istruirsi frequentando scuole “a misura d’uomo”, sempre più strette nella morsa di normative ostili.



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