Cresce il partito del non-voto. Le elezioni si allontanano
Il Movimento 5 Stelle voleva andare subito alle urne, ma dopo lo scandalo che ha travolto la giunta Raggi a Roma, ha cambiato idea. Forza Italia vuole andare il più tardi possibile, per evidenti ragioni di riorganizzazione interna. Anche la Lega inizia ad essere più incerta sul "voto subito". Renzi inizia a sentirsi isolato.
Li avevamo lasciati che scalpitavano per andare a votare, desiderosi di fare il pieno di consensi. E invece, negli ultimi giorni, sono stati travolti da batoste giudiziarie e faide interne talmente scivolose da far passare a chiunque la voglia di ripresentarsi alle urne.
L’aria sta cambiando anche all’interno del Movimento 5 Stelle. Fra i pentastellati stanno aumentando in misura rilevante coloro che cominciano a guardare all’appuntamento elettorale con sempre maggiore preoccupazione. La stessa ansia che attraversa i dissidenti Dem – in disaccordo con il segretario del Pd Matteo Renzi che, al contrario, spinge per arrivare al più presto a un confronto elettorale – e la maggioranza di Forza Italia. Le fila del partito del “non voto”, insomma, sono sempre più nutrite.
E il caso Raggi ha certamente contribuito a ingrossarle. Il partito del “non voto” era già maggioranza relativa in Parlamento, ma ora, con il sindaco della capitale a rischio avviso di garanzia, sembrerebbe diventato maggioranza assoluta. Nei fatti, è arrivata pure la dimostrazione: martedì la commissione Affari Costituzionali della Camera ha rinviato il tavolo sulla riforma della legge elettorale a dopo la sentenza della Corte Costituzionale con i voti di tutti, compresi quelli dei grillini. E persino dai “duri e puri” della Lega Nord – si dice - comincia ad arrivare una certa titubanza rispetto all'eventualità di uno show down. In altri termini,nessuno tranne Renzi, scalpita per andare al voto anticipato. Tanto meno Mattarella, che teme una rissosa campagna elettorale in grado di compromettere ulteriormente la credibilita' internazionale del nostro Paese.
E poi c’è Silvio Berlusconi, che di questo partito del “non voto” si potrebbe definire il leader. "Non c’è fretta – ha detto il fondatore di Forza Italia – bisogna sedersi attorno a un tavolo con molta calma". E poi, ancora: "Io guardo al sistema tedesco e alla Grosse Koalition, dunque proporzionale". Incrociando perfettamente, in questo modo, quelli che sono i propositi del Presidente della Repubblica. Che di certo,come detto, non freme per mandare gli italiani a votare in questo momento.
Facile ipotizzare che per Berlusconi si tratti di un atteggiamento di convenienza (il destino di Mediaset e ipotetici aiuti di Stato per arginare la scalata Vivendi non possono certamente lasciarlo indifferente) ma anche di una vendetta servita fredda – come da tradizione - nei confronti di Matteo Renzi, che lo tradì proprio sulla nomina di Mattarella. Senza dimenticare che la pattuglia parlamentare forzista è comunque consistente e determinante, almeno al Senato, mentre potrebbe non esserlo più nella prossima legislatura, visti i sondaggi che accreditano Forza Italia di appena un 12% di consensi.
L’ex sindaco di Firenze, dunque, rischia di ritrovarsi sempre più solo, isolato e sacrificabile. Ma cosa potrebbe succedere se si tornasse a votare con il Mattarellum, con cui si è votato fra il 1994 e il 2001? Allora gli schieramenti erano due, la competizione era rigorosamente bipolare. Oggi invece l’Italia è divisa in tre, con l’aggiunta del Movimento 5 Stelle. Che, secondo i sondaggi attuali, sfiora il 30% dei voti. Facendo una simulazione, la stima più semplice è quella che usa il voto delle politiche del 2013 ricalcolato sui collegi della Camera assegnati con il Mattarellum. In quelle elezioni gli attori principali alla Camera erano la coalizione di Bersani (Pd e Sel), la coalizione di Berlusconi (Pdl, Lega Nord e Fdi), il Movimento Cinque Stelle e la coalizione di Monti.
Come ben dimostrato da una simulazione effettuata dal quotidiano Il Sole 24 Ore, basta avere a disposizione la mappa dei collegi e i dati delle oltre 60mila sezioni elettorali in cui si è votato nel 2013. Proiettando sui collegi i voti ottenuti nelle sezioni da coalizioni e Movimento Cinque Stelle, si può vedere collegio per collegio chi avrebbe conquistato il seggio. Il risultato è più o meno questo: il centrodestra sarebbe oggi lo schieramento di maggioranza relativa con 259 seggi totali, di cui 212 nei collegi e 47 nella parte proporzionale. Al secondo posto si piazzerebbe la coalizione di centrosinistra, con 234 seggi, di cui 188 maggioritari e 46 proporzionali. Al Movimento Cinque Stelle andrebbero 121 seggi, di cui 74 maggioritari e 47 proporzionali. La coalizione di Monti non conquisterebbe neppure un seggio uninominale. Il partito di Monti-Scelta civica prenderebbe solo 15 seggi proporzionali.
Innanzitutto, i dati confermano che il collegio uninominale non fa male a Berlusconi. Nelle elezioni del 1996 e del 2001 l'ex Cavaliere aveva preso meno voti nei collegi con i suoi candidati che nella parte proporzionale con le liste di partito. Da qui la riforma fatta nel 2005 con la legge Calderoli, che ha sostituito i collegi con il premio di maggioranza calcolato su liste di partito. La distribuzione territoriale dei suoi voti, però, è migliore di quella del centrosinistra. In altre parole, con meno voti del centrosinistra il centrodestra prende più seggi.
Inoltre, nel 2013 l’Italia era divisa in tre parti. Al Nord prevaleva il centrodestra, nella ex zona rossa vinceva il centrosinistra, mentre il Centro-sud era più competitivo, con il Movimento Cinque Stelle comunque in vantaggio, soprattutto nelle isole. Questa tripartizione varrebbe anche oggi? La predominanza del Movimento fondato da Beppe Grillo, al Sud, è ancora una certezza. E ce ne siamo accorti dai dati sul Referendum costituzionale. Ma di qui all'appuntamento con le urne potrebbe scorrere ancora tanta acqua sotto i ponti della politica italiana.