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I DATI EUROSTAT

Cresce il divario tra ricchi e poveri in Italia

Nel nostro Paese circa il 20% della popolazione con i redditi più alti guadagna sei volte di più di coloro che sono nella fascia povera. È il più ampio gap, certificato dall’Eurostat, tra quelli dei maggiori Paesi europei, ed è ancora più marcato al Sud. E intanto l’UE che fa? Prevede un trilione di euro per il “Piano Verde”, anziché pensare a natalità, giovani e famiglie.

Attualità 15_01_2020

È lecito confidare nelle vecchie e nuove misure per le famiglie e per i single dell’attuale e quantomai provvisorio Governo nazionale: ben 25 strumenti e benefici per usufruire dei quali sarà necessario munirsi di pazienza e di qualche parere di consulente. Tuttavia, non ci stancheremo di ripeterlo, la provvisorietà delle misure di sostegno e promozione, per le famiglie come per le imprese, non saranno mai capaci di produrre effetti duraturi, né di indurre i giovani e le famiglie ad investire sul proprio futuro e sulle nuove generazioni.

Mentre la politica nostrana appare sempre più ingurgitata dalla permanente campagna elettorale (europea, nazionale, regionale), i dati pubblicati dall’Eurostat avrebbero dovuto far suonare l’ennesimo campanello d’allarme. In Italia continua a crescere il divario tra ricchi e poveri, ovvero i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Circa il 20% della popolazione con i redditi più alti guadagna sei volte di più di coloro che sono nella fascia povera della popolazione. La frattura è ancor più ampia nel Sud del Paese, dove la differenza tra ricchi e poveri è di 7,4 volte.

I dati dell’Eurostat, sebbene riferiti al periodo precedente l’entrata in vigore nel nostro Paese dei redditi di cittadinanza e di inclusione, sono impressionanti: la scalata sociale è sempre più difficile, mentre è sempre più facile la discesa a capofitto verso la povertà. Dal 2008 al 2018, il differenziale tra ricchi e poveri è salito da 5,21 a 6,09; quasi un punto in dieci anni, che dimostra la poca efficacia delle misure adottate dai vari governi, le scarse opportunità creatisi nel Paese e il fallimento di ogni politica partigiana che si spende più negli annunci televisivi che nella ricerca di soluzioni condivise e permanenti.

L’ascensore (sociale) italiano è bloccato e il divario tra ricchi e poveri italiani è il più ampio tra quelli dei grandi Paesi europei. Non è solo un problema di redistribuzione - il cui sapore socialista fa storcere il naso a molti - ma è sempre più un problema di opportunità. I dati dell’Istat del luglio 2019 sulla povertà, quelli di ottobre sulla fuga dei giovani e i recentissimi dati dell’Eurostat dovrebbero far rizzare i capelli. Invece, dopo un titolo tra le notizie del giorno, scompaiono nel dimenticatoio della politica e del dibattito, quasi fossero riferiti a un Paese lontano, di cui ci si può disinteressare.

È ovvio che giovani e famiglie se ne vadano dall’Italia, è un grido di allarme sulla gravità della situazione che si è creata con il “blocco dell’ascensore sociale” e la perdita delle opportunità. L’Italia, nella lista dei 28 Paesi dell’Unione Europea (lista guidata da Serbia, Bulgaria e Romania, con un divario rispettivamente di 8.58, 7.66 e 7.21 volte), si piazza al settimo posto. Di poco dietro a noi la Spagna (6.03 volte), mentre c’è relativamente più equilibrio in Germania (5.07 volte) e Francia (4.23 volte). L’Italia è, per il suddetto divario, al di sopra della media europea: nei 28 Paesi la media è di 5.17, da noi invece gli italiani ricchi, come detto, percepiscono entrate 6,09 superiori a coloro che sono poveri e in difficoltà.

Se l’italiano medio si arrovella sul come sostenere sia la fuga dei propri figli all’estero perché abbiano le opportunità che si meritano, sia quelle dei propri genitori per godersi le pensioni (nel 2018 erano circa 400.000) senza salassi statali e costi della vita esorbitanti, in Europa la situazione appare sempre più paradossale. E ha toccato il culmine con la presentazione di ieri del budget previsto, delle normative e delle regolamentazioni predisposte dalla Commissione per il pluriennale “Green Deal” e il Fondo di Transizione verso l’economia verde, ritenuta una grande opportunità di sviluppo per tutti i cittadini. Un trilione di euro per l’ambiente in 10 anni, a cui si sommeranno 260 miliardi all’anno per finanziare la riconversione energetica e ridurre le emissioni. Cifre mai viste che forse miglioreranno la vita di flora, fauna, insetti e pesci, ma temo non favoriranno né il ritorno in forze delle cicogne, né il permanere dignitoso della specie umana sul continente europeo.

Il condizionale è d’obbligo perché, ben lungi dall’aver preso atto delle varie urgenze sociali presenti nel continente, Commissione e singoli Stati sono ancora ben lontani da un qualunque accordo reale di finanziamento del “Piano Verde”, né hanno trovato un’intesa sul Budget Pluriennale comunitario. Con i danari previsti l’UE potrebbe attuare quel “Piano Marshall” per natalità, giovani e famiglie così necessario al nostro continente.

La novità che fa ben sperare è la forte dichiarazione del commissario per la Coesione europea, Elisa Ferreira, che ha ribadito, insieme ai leader degli enti regionali e locali europei (Alleanza per la Coesione): «Sia ben chiaro che la Coesione non può donare nemmeno un euro per il Fondo di Transizione. I nostri soldi servono per la coesione regionale sociale, i soldi per il “Piano Verde” si cerchino altrove».

C’è poco da illudersi riguardo all’economia “circolare”, termine celebrato ovunque e promosso da note filantropiche organizzazioni (benefiche per taluna umanità) come il Club di Roma o la MacArthur Foundation. La si vuole comunque attuare? Bene, vediamo se quel 20% della popolazione italiana ed europea è disponibile a dare opportunità al resto delle popolazioni, cominciamo a far circolare i loro capitali per un diffuso sviluppo di opportunità per tutti.

I ricchi sostenitori della “circolarità”, se fossero realmente convinti, non avrebbero nulla da temere per sé e per le proprie ricchezze: sarebbe però certo che le opportunità andrebbero a vantaggio di altri, i tanti altri che in Italia ed Europa si trovano “a terra”, con l’ascensore sociale sempre fermo e l’impossibilità di salire la scala del benessere personale e famigliare.