Creare ricchezza, distribuire la fede
A proposito del crescente divario tra ricchi e poveri, il problema non sta - come si dice - nella mancata distribuzione della ricchezza, ma nella perdita di fede che ha ridotto l'uomo alla sola dimensione materiale, facendogli dimenticare la propria dignità di figlio di Dio e l'osservanza delle leggi naturali, anche in economia.
Ciò di cui l’uomo “occidentale” di questo secolo è stato privato è la razionalità, che è conseguenza della certezza della natura dell’uomo Creatura di Dio. Se oggi l’uomo occidentale riconosce un certo divario tra ricchi e poveri è anzitutto perché è stato privato di ben altri fattori “nutritivi”: quello intellettuale e quello spirituale, abituandosi solo a quello materiale. L'uomo cioè si è abituato a essere considerato sostanzialmente un animale intelligente da soddisfare materialmente, consumisticamente. Finito il periodo del consumismo, sono rimasti i debiti da pagare. E qui ha scoperto che le tre dimensioni economiche a lui proprie - di uomo lavoratore, uomo consumatore e uomo risparmiatore-investitore -, erano entrate in conflitto. Diventando più povero ha scoperto che c’erano altri uomini ancora ricchi, ed ha gridato all’ingiustizia.
Ma la vera ingiustizia è stata prima: nella non distribuzione di dottrina di fede che mantenesse l’uomo consapevole della sua dignità di figlio di Dio e gli imponesse di osservare quelle leggi naturali, anche in economia, da cui non si può prescindere. Quel che è successo negli ultimi tempi non è altro che quello che papa Giovanni Paolo II aveva profetizzato nell'enciclica Sollecitudo Rei Socialis dove aveva previsto che un uomo, povero in sapienza, non avrebbe avuto sufficiente maturità per gestire gli strumenti tecnologici da lui stesso creati, che gli sarebbero pertanto “sfuggiti di mano”. Così è stato e le ragioni di queste cause, lo sviluppo delle conseguenze, viene perfettamente analizzato e descritto da Banedetto XVI nella Caritas in Veritate.
Nel Messaggio di Papa Francesco al World Economic Forum di Davos (del 17 gennaio 2014), Sua Santità esorta anzitutto ad approfondire la riflessione “sulle cause della crisi economica”. E ciò perché queste ragioni sono “morali”, legate ad una cultura nichilista che rifiuta valori morali, rifiuta la dignità vera della creatura e la porta a soddisfarsi solo materialemnte. E di materia si nasce e si muore. Se poi il progresso è visto solo in termini materiali la situazione peggiora. E la quotidiana precarietà è una conseguenza degli scompensi che comporta la soddisfazione materiale, ignorando quella spirituale e intellettuale.
Il processo di globalizzazione che è stato prodotto e vissuto negli ultimi trenta anni infatti ignora e contraddice la leggi naturali (la natalità) e si fonda solo sulla soddisfazione consumistica. Ciò è stato realizzato delocalizzando in paesi emergenti le produzioni, sacrificando il risparmio per consumare, indebitandosi per consumare. In più il crollo delle nascite ha prodotto insostenibilità dei costi fissi dovuti all’invecchiamento della popolazione e della conseguente crescita del debito pubblico e tasse. Al momento di pagare i debiti il nostro mondo si è reso conto che non era più possible bluffare e confondere la realtà. E ha dichiarato fallimento, senza chiedere scusa a chi doveva pagare più caro. E chi sta pagando più caro il fallimento sono le fascie più deboli di popolazione nel mondo occidentale ex ricco. Sono loro i veri nuovi poveri. E chi è diventato più ricco? Anzitutto i paesi emergenti: quasi un terzo della popolazione mondiale oggi sta molto meglio di prima, anche se è li che si deve affrontare il problema della sperequazione della ricchezza prodotta. Il discorso include anche l'Africa, che vivrà nei prossimi anni una sua insperata crescita economica.
La globalizzazione, seppur mal gestita, ha prodotto la sua “mano invisibile” egoistica e non esemplare, ma reale. Nel mondo occidentale certo qualcuno è risucito a profittare della crisi stessa, ma questo è stato un abuso permesso dal sistema che è stato creato, e come tutti gli abusi va specificamente e personalmente punito.
Ma attenzione a distinguere “ricchi produttori” da “ricchi profittatori”. Inutile e dannoso condannare chi è “ricco” se ha creato quella ricchezza indispensabile per esser distribuita. In questa fase dell’economia la ricchezza è stata distribuita (anche se non equamente) a livello di nazioni , da nazioni consumatrici (e non più produttrici ) a nazioni produttrici ( e non ancora consumatrici).
Ma l’ingiustizia che si è creata, conseguentemente anche economica, è soprattutto di distribuzione di valori spirituali che han comportato l’ignoranza della dignità dell’uomo e delle leggi naturali in economia. Pér risolvere la crisi, bisogna ricostruire l’uomo, non cambiare gli strumenti. Come spiega Benedetto XVI nella Caritas in Veritate e Francesco nella Evangelii Gaudium. Ciò che va distribuita è la fede e la coscienza che la ricchezza si deve creare secondo leggi naturali, per l’uomo, e distribuirla è conseguentemente una scelta morale ma anche realmente economica.