Costituzione laica, nuova strategia degli islamisti
Il partito islamico Al Nahdha, benché maggioritario, accetta che la Tunisia si doti di una costituzione prevalentemente laica, priva di riferimenti alla legge coranica. Ma non si tratta di una svolta, bensì di paura per gli eventi egiziani.
Se il 14 gennaio 2011 ha segnato la fine del regime di Ben Ali, il 9 gennaio 2014 può essere definito il giorno chiave della transizione tunisina. Le dimissioni “spontanee” del capo del governo Ali Larayedh, legato al partito islamico Al Nahdha, rappresentano un evidente compromesso dei Fratelli musulmani per evitare la replica dello scenario egiziano che ha visto non solo mettere al bando, ma anche definire come “organizzazione terroristica” il movimento fondato da Hasan al-Banna.
Nei giorni precedenti la pubblicazione da parte della Costituente tunisina dei nuovi emendamenti alla Costituzione aveva lasciato intuire un “cedimento” tattico del partito di Rached al-Ghannouchi che gode della maggioranza in seno all’Assemblea con 89 deputati su 217. All’articolo 1 è scomparso ogni riferimento alla sharia: “La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano, la sua religione è l’islam, la sua lingua è l’arabo e il suo regime è la Repubblica”. Nessuna traccia dei “principi fondamentali della sharia” tanto voluti da Al Nahdha. L’articolo 2 ribadisce, senza alcun accenno né alla arabicità né alla islamicità, che “La Tunisia è uno Stato a carattere civile basato sulla cittadinanza, la volontà del popolo e il primato del diritto”. Anche l’approvazione dell'articolo 45 segna un netto cedimento da parte degli islamisti nel momento in cui sancisce nuovi e importanti diritti per le donne nel momento in cui recita che "Lo Stato si impegna a tutelare i diritti acquisiti dalla donna e opera per sostenerli e farli progredire", che "Lo Stato garantisce pari opportunità tra uomini e donne nelle varie responsabilità e in tutti i settori”, che “Lo Stato si prenderà cura di applicare la parità tra uomini e donne nelle assemblee elette" e che “Lo Stato adotterà le misure necessarie a eliminare la violenza contro le donne”. La “complementarietà” tra uomo e donna tanto cara agli islamisti ha lasciato il posto alla parità fortemente richiesta dall’associazionismo femminile tunisino.
Quanto accaduto in seno alla Costituente e le dimissioni del governo non hanno alcunché di miracoloso, bensì, come si è già accennato, sono una diretta conseguenza degli eventi egiziani. Dal momento in cui, nel luglio 2013, l’esercito ha allontanato Mohammed Morsi e successivamente ha cercato di reprimere le manifestazioni dei Fratelli Musulmani in piazza Rabia al-Adawiyya al Cairo, i comunicati di Al Nahdha sono stati connotati da una ferma condanna dell’“evidente golpe” e dei “massacri e crimini deplorevoli”.
Il 26 dicembre 2013 in un altro comunicato Al Nahdha denunciava la decisione del governo egiziano di dichiarare i Fratelli musulmani “organizzazione terroristica” come “una fuga in avanti da parte del governo sovversivo e un ulteriore accanimento nei confronti di una fazione politica fedele alla democrazia e alla pace”. Nonostante nel luglio 2013 Ghannouchi abbia dichiarato che “in Tunisia non esiste e non esisterà mai un [generale] Sisi”, i recenti fatti dimostrano che Al Nahdha è stata costretta, obtorto collo, ad accettare una mezza sconfitta pur di dimostrare la propria “moderazione” e il proprio rispetto della democrazia. D’altronde Ghannouchi sa bene che se la Tunisia non possiede un esercito forte come quello egiziano, possiede una società civile, laica e prevalentemente di sinistra, che nel 2011 si è riversata nelle strade e ha cacciato Ben Ali.
Non bisogna comunque cadere nel tranello e credere che né Al Nahdha né tantomeno i Fratelli musulmani siano finiti. L’abile tattica di Ghannouchi è quella del detto francese “recouler pour mieux sauter”. D’altronde, con la messa al bando della Fratellanza e l’arresto della maggior parte dei leader del movimento in Egitto, con la crisi tra Qatar e lo shaykh Yusuf al-Qaradawi, Ghannouchi ne è diventato il punto di riferimento politico e teologico. Nell’ottobre 2013 alcune agenzia di stampa arabe hanno riportato che, durante un Congresso dell’internazionale dei Fratelli musulmani tenutosi a Istanbul sotto l’egida di Erdogan, lo stesso Ghannouchi siata stato nominato alla guida del movimento. E non è quindi casuale che il 6 gennaio scorso la conferenza stampa del gruppo di legali che, in nome del Partito della Libertà e della Giustizia egiziano, sottoporranno alla Corte Penale Internazionale i “crimini” del “governo sovversivo”, si sia tenuta proprio a Londra dove Ghannouchi ha trascorso ventidue anni in esilio.
Il tunisino Mohammed Haddad, professore di teologia comparata presso l’università della Manouba, ha definito i Fratelli musulmani e affini “islamisti pragmatici” e quanto sta accadendo in Tunisia lo dimostra. Al Nahdha non ha saputo governare, ha creato un clima di violenza politica e sociale e non si è nemmeno dimostrata immune dalla corruzione. I Fratelli musulmani, in generale, stanno vivendo un momento di crisi in seno al mondo arabo, ma anche in Turchia, e sopravvivono solo grazie alla connivenza del mondo occidentale che non vuole guardare in faccia alla realtà. Per questa ragione il nuovo leader globale Ghannouchi ha pragmaticamente deciso di indietreggiare, ma non scomparirà, per lo meno per ora, né dallo scenario politico tunisino né da quello internazionale.