Così Sturzo bacchettava i politici bugiardi
Già nel giugno del 1957 il fondatore del Partito Popolare condannava la menzogna in politica anche se usata per un "buon" fine.
La rivista di attualità e cultura "Studi Cattolici" taglia questo mese il traguardo dei 600 numeri. Per l'occasione pubblicamo qui sotto un articolo di don Luigi Sturzo apparso nel primo numero del mensile nel giugno del 1957.
Per fissare il tema in esame, occorre escludere la menzogna usata da uomini politici a vantaggio proprio, ricadendo questa nella classifica delle menzogne usuali e comuni. Intendiamo per menzogna politica quella di persona investita di autorità civile, - sia capo di stato o prefetto o sindaco, - usata a scopo di bene, per un vantaggio, vero o creduto tale, della nazione, della pubblica amministrazione o di determinate categorie sociali.
Tale menzogna, quale mezzo illecito per un fine buono, cadrebbe nella condanna della tesi che «il fine giustifica i mezzi». Purtroppo, se in teoria tale tesi è condannata dalla morale, nella pratica la menzogna, come mezzo per un fine creduto buono a carattere politico o a questo assimilabile, mi sembra che sia usata senza remore di coscienza. Il fatto rientra nel quadro della diffusione dell'uso quotidiano della menzogna, perfino nella famiglia e nella scuola, quasi a difendere la propria individualità da ingerenze indiscrete, a velare la propria condotta anche a coloro che potrebbero avere giusto motivo di conoscerla. Così si diffonde il senso di diffidenza reciproca, di insofferenza - della verità, quasi un morboso bisogno di mostrare sentimenti diversi da quelli che si provano.
Per gli adulti il fenomeno può essere collegato alla lunga soggezione in un regime di sospetto e di compressione, durante il quale la libera comunicazione reciproca veniva attenuata e perfino paralizzata dal timore di trovarsi di fronte a persona che avrebbe potuto abusare delle confidenze, o imprudentemente sottolineare atteggiamenti poco conformi alla politica di allora. Questo rilievo del passato italiano può valere con molta maggiore intensità per i paesi sotto la dittatura comunista.
Mentre la menzogna difensiva si sviluppa in regimi assolutisti e dittatoriali, la menzogna demagogica si sviluppa in regimi liberi e popolareschi. Nell'uno e nell'altro ambiente, può dirsi essere la menzogna scontata a priori. Il fatto è tanto più grave, in quanto ogni resistenza alla menzogna viene attenuata dalla stessa educazione familiare e civile; la rivendicazione della verità riesce difficile, anche perchè non si trovano persone disposte a superare il conformismo nel primo caso, e ad affrontare la impopolarità nel secondo caso. Di conseguenza, la menzogna politica si sviluppa sempre più largamente.
Non vi può essere convivenza umana senza la verità nella sua triplice accezione di realtà (principio o fatto), convinzione (comune o individuale), comunicazione (privata o pubblica). Con più efficacia nel caso di persona investita di autorità, la menzogna falsa la realtà, tradisce la convinzione propria e rompe la comunicazione col complesso sociale al quale la persona stessa presiede o del quale è rappresentante o esponente, e, o in singolo o con altri insieme, ne ha la responsabilità. L'alterazione o la negazione della verità fatta per mezzo della menzogna, ferisce la società nella sua essenza, sia nei rapporti individuali che in quelli organizzativi, quali ne siano le finalità particolari. Si suole prendere come scusa il fatto che anche la verità può produrre una frattura sociale, secondo l'antico proverbio: veritas odium parit.
Distinguiamo fra la verità fattuale e quella dei principi. Questi sono sempre da affermarsi e da difendersi, mentre non sempre né a tutti, né con modi indebiti è da comunicarsi la verità di un fatto che meriti riserbo; vi sono casi nei quali sarà meglio che un fatto non sia divulgato, specie se può destare delle reazioni dannose sia pure ingiustificate. Nè a fare ciò è necessario ricorrere a certe restrizioni mentali che differiscono ben poco dalla menzogna. C'è modo a guardarsi dai molesti, a rispondere ai giornalisti con la frase inglese: no comment, per indicare la inopportunità della domanda e il senso di responsabilità che ha l'autorità nel non palesare quel che non è necessario, nè rispondere falsando la verità.
La menzogna è sempre intenzionale; quella politica ha quasi sempre lo scopo di far deviare indagini, di trarre in diversa via, di combattere avversari, di prevenire offensive, di mettere le premesse per un'azione che si creda utile e così di seguito; è insomma un'arma politica. La finalità buona non giustifica la menzogna; la finalità cattiva o connessa ad altri mezzi cattivi, rende ancora più grave l'uso della menzogna.
Abbiamo detto che la menzogna di sua natura, al di fuori di qualsiasi intenzionalità di chi la proferisce, altera e rompe i vincoli della convivenza; pertanto è intrinsecamente un male. La prova controluce è data dal fatto che in una qualsiasi forma di guerra, quando la rottura fra le parti è avvenuta, la menzogna risulta un'arma di guerra, come le antiche alabarde, gli schioppi di un tempo, i carri armati le bombe atomiche di oggi. Perciò, allo stesso modo che sarebbe da fedifrago durante gli armistizi riprendere le armi senza una dichiarazione interruttiva, così nello stesso caso sarebbe da fedifrago l'uso della menzogna intenzionale.
Al contrario, nelle vertenze politiche e civili dei regimi nei quali la convivenza è mantenuta in forma organica, sia che si tratti di vertenze avanti la magistratura, sia che si tratti di lotte elettorali o dibattiti parlamentari, non è moralmente consentita la menzogna come mezzo di difesa e di offesa, trattandosi dell'esercizio di diritti e dell'adempimento di doveri, per i quali la regola etica è sovrana e da osservarsi dalle parti. Come sarebbe possibile volere allo stesso tempo la convivenza in società sotto tutti i suoi vari aspetti e ammettere come legittimo o anche tollerabile il mezzo che da sè opera la rottura dei rapporti, perchè viola la verità oggettiva, fa venir meno la fiducia reciproca e induce nel sospetto di peggiori fatti, quali la mistificazione, il raggiro, l'inganno, la frode che hanno a base la menzogna?
Si dice da alcuni che con gli uomini politici si deve applicare l'apprezzamento in uso con i mercanti e i rivenditori, i quali inducono a comprare vantando la qualità della loro merce. Poichè è notorio che gli aggettivi usati nella mercatura sono delle amplificazioni, anche se toccano la menzogna non sono creduti senza la verifica della merce; penserà il compratore ad essere diffidente. Sotto tale aspetto, il venditore non rompe i rapporti sociali, poichè rompendoli farebbe il suo danno. E' opinione diffusa non reputarsi menzogna quando l'interlocutore sa bene di che si tratta. Ciò varrebbe tanto per le vanterie del rivenditore, che per quelle di qualsiasi oratore che esagera, amplifica, esalta fuori misura ovvero tende a minimizzare e svalutare secondo i fini del discorso.
Considerazioni analoghe valgono più o meno per la menzogna giocosa o quella che come conclusione postula l'affermazione della. verità. Che quanto sopra possa applicarsi all'attività politica è da escludere del tutto; non si tratta nè di scherzo a buon fine, nè di vanteria di merce, nè di oratoria amplificatrice. Si tratta di cose serie, di interesse pubblico, di rapporti fra autorità e cittadini o delle autorità fra di loro; non può mai essere lecita la menzogna che disvia, ottenebra, svaluta la verità e' che infine trae in inganno.
Si suole essere un po' larghi con coloro i quali, sia nelle polemiche extraparlamentari sia in assemblee pubbliche e in riunioni riservate, cercano di indurre gli altri alle proprie opinioni, prospettando i problemi in modo incompleto, ovvero sotto aspetti marginali, sottotacendo elementi e documenti la cui conoscenza potrebbe far cambiare opinione. Anche se formalmente non si presenta il caso di menzogna, la tendenziosità della esposizione e la inesattezza della luce datavi possono costituire travisamenti della verità tali da renderla irriconoscibile. Se tutto ciò è fatto per abito mentale, per incapacità di sintesi, per errata valutazione dei fattori, senza la intenzione di alterare la verità, può trovare subiettivamente delle attenuanti. In via normale non può essere moralmente scusato chi espone incompleta o travisata la realtà di un fatto o il contenuto di un documento, basando la sua tesi su elementi scelti ad hoc o non esattamente interpretati. Il caso, per essere caratterizzato, dovrà riguardare un relatore o chi abbia la responsabilità degli elementi in discussione o si trovi in condizione di conoscere la materia in modo da doverla presentare agli altri senza sorprenderne la buona fede.
Si noti che quasi sempre, in sede politica e amministrativa, sono i pochi ad avere la padronanza dei dati, mentre i molti mancano normalmente di sufficiente preparazione, spesso non sono in grado di rilevare la tendenziosità dei relatori o dei disserenti i quali, essendo ben preparati, tendono a raggiungere fini anche buoni, ma non conformi agli elementi in esame. Se poi dalla discussione fra i componenti di un corpo selezionato, si passa alla esposizione oratoria avanti un assemblamento non caratterizzato, la facilità di far deviare l'opinione pubblica, dando risalto a certi lati e altri mettendo fuori luce, non può dubitarsi che in tali casi si tratti di alterazione della verità. La comunicazione della verità incompleta, unilaterale, equivoca porta alla falsità, per la via della menzogna sia pure diluita in un mare di parole. La menzogna non consiste solamente nel dire sì quando è no, e nel dire no quando è sì.
Tutta la propaganda demagogica è fatta di mezze verità che arrivano alla menzogna e di mezze menzogne che velano la verità. In tali casi la verità non è l'oggetto e il fine della comunicazione interindividuale; si tratta di fare del proselitismo ad ogni costo, di applicare la tendenziosità per fini politici da raggiungere, ovvero, nella migliore delle ipotesi, di un fine creduto buono per la comunità della quale si ha, da solo o con altri, responsabilità direttiva o governativa, un fine che si teme di non poter raggiungere con la chiara esposizione della verità.
Qui ritorna il punctum saliens, cioè l'uso della menzogna per raggiungere un fine utile per la comunità ovvero per evitare ad essa un danno temuto. Stando sulla linea della valutazione politica e prescindendo dall'imperativo etico, si domanda chi può esattamente prevedere che la menzogna possa come tale fare raggiungere il fine utile che si desidera? Ovvero, fare evitare un danno temuto? Anzitutto, è da escludere che perfino uno statista provetto possa, anche sul terreno politico, prevedere gli effetti reali della propria azione, la quale dipenderà più dalla verità realizzata, che dalla menzogna con la quale si vorrebbe nascondere. Nel secondo caso, basta un prudente riserbo ad evitare che si conosca quella verità che, in un dato momento, potrebbe determinare una reazione indebita e quindi costituire un pericolo per la comunità. Tali prospettive servono a togliere al problema il valore di un caso limite nel quale la persona responsabile possa sentirsi obbligata dagli avvenimenti a servirsi della menzogna.
A parte quel che prudenza e accortezza suggeriscono, bisogna notare che nella vita politica, il ricorso alla menzogna è sempre collegato con l'uso abituale della menzogna e, perfino, della mistificazione e della prepotenza. Il complesso negativo di una politica non basata sulla moralità porta all'uso dei mezzi immorali. Non si tratta di menzogna o menzognetta isolata, occasionale, per evitare noie e per ottenere dei vantaggi immediati; si tratta di complesso di modi illeciti e di attività non rispondenti ai fini del buongoverno e agli interessi del paese. Bisogna partire dalla convinzione che la menzogna non giova mai e danneggia sempre; a questa occorre aggiungere subito l'altra, che il fine non giustifica i mezzi; conchiudendo che la migliore politica è quella che non lede la moralità.
Dal punto di vista del moralista cattolico, mantenendo ferma la teoria, si potranno, nei casi concreti, trovare subiettivamente quelle attenuanti alla colpa della menzogna politica, come ad, ogni colpa commessa della quale si chiede perdono a Dio con la promessa di non ricadervi. Ma le attenuanti subiettive non toccano il fermo principio della illeiceità della menzogna, e con maggior ragione della menzogna politica.