«Così Sinisa ci ha insegnato a essere sempre grati a Dio»
La morte a 53 anni di Sinisa Mihajlovic: «Ci ha insegnato la gratitudine anche di fronte alla terribile prova della malattia. Gratitudine a Dio e gratitudine nei confronti del suo popolo che ha pregato tanto per lui». Don Massimo Vacchetti racconta alla Bussola il suo rapporto con l'ex allenatore del Bologna: «Quei pellegrinaggi a San Luca con i tifosi di Lazio e Bologna sono stati una straordinaria esperienza di fede di popolo. Lo invitai a parlare di Dio nella sua vita. Mi disse: "Scegli il giorno, ci sarò". Poi, riconoscente per le preghiere, pianse davanti a 400 persone. Ora vorrei riconvocare quel popolo per una messa di suffragio».
«Sinisa Mihajlovic ci ha insegnato la gratitudine anche di fronte alla terribile prova della malattia. Gratitudine a Dio e gratitudine nei confronti del suo popolo che ha pregato tanto per lui». Don Massimo Vacchetti è il responsabile della pastorale sportiva della Diocesi di Bologna e quando lo raggiungiamo per chiedergli del suo rapporto personale con l’ex allenatore rossoblù morto ieri a 53 anni dopo tre anni di lotta contro la leucemia, il ricordo si fa commozione perché per lui organizzò due emozionanti pellegrinaggi a San Luca. «Ha affrontato con fede la malattia, circondato dall’affetto di una famiglia esemplare e ha unito nella preghiera le tifoserie di Lazio e Bologna che da sempre sono arcinemiche».
Don Massimo, lei ha guidato i due pellegrinaggi a San Luca per Sinisa nel 2019. Che esperienza è stata?
Un’esperienza unica, non ricordo in passato una mobilitazione di tifosi del mondo dello sport così sentita. Un intero popolo, quello del tifo organizzato, che spesso è dipinto come lontano dalla fede, unito per chiedere la sua guarigione. Una grande testimonianza di fede pubblica.
Come nacque l’idea?
Il 21 luglio 2019, una settimana dopo la conferenza stampa in cui annunciò di avere la leucemia, due tifosi del Bologna, Giovanni Galvani e Damiano Matteucci, ebbero l’intuizione di organizzare un pellegrinaggio alla Madonna di San Luca. Nacque su Facebook un appello, poi, però, capirono che c’era bisogno di un prete che guidasse la preghiera e chiamarono me, che ero amico di uno dei due. Quel giorno si presentarono spontaneamente mille persone.
E poi venne ripetuto un secondo pellegrinaggio…
Il 6 ottobre si giocava Bologna-Lazio, la sua squadra presente che allenava e la squadra nella quale da giocatore raccolse i maggiori successi. Tra queste squadre c’è da sempre una forte rivalità: Bologna tradizionalmente di Sinistra, la Lazio considerata a Destra.
Poteva essere un disastro…
Invece fu una grazia enorme. Decidemmo di fare questa sorta di gemellaggio di preghiera. Chiamammo a raccolta anche i tifosi biancocelesti, il capo ultrà mi ricevette e mi spiegò che avevano dei problemi a causa della morte di “Diabolik”. Mi ringraziarono per quello che stavamo facendo. Dovetti constatare il fallimento dell’iniziativa. Invece il giorno del pellegrinaggio arrivarono 200 tifosi laziali con sciarpe e bandiere. Dicemmo il Rosario per lui e per tutti i malati. Fu un momento molto emozionante.
Mihajlovic venne a sapere di questa iniziativa?
Non solo. Di questi pellegrinaggi portava una memoria piena di gratitudine e speranza. Al primo si presentò anche sua moglie Arianna.
Avevate invitato la famiglia?
Qualcuno li avvertì. Si presentò da sola, non volle neanche farlo sapere, ma qualcuno tra i mille tifosi se ne accorse, si sparse la voce e mi avvisarono.
E parlò con lei?
Sì, trovai una donna fortissima per la fede che aveva e per la prossimità che aveva nello stare con lui.
E con Mihajlovic che rapporto ha avuto?
Nell’estate 2021 organizzai una rassegna di incontri chiamata LIBeRI per raccontare storie di speranza e di fede. Gli dissi: «Mi piacerebbe averti con noi a Villa Pallavicini».
E lui?
Mi rispose subito: «Vengo volentieri».
Così?
Rimasi sorpreso. Voleva testimoniare la sua gratitudine per quei pellegrinaggi fatti da quella che era la sua gente, vidi un uomo che non aveva paura di parlare pubblicamente della presenza di Dio nella sua vita. C’è una cosa che mi colpì.
Cosa?
Non mi diede neanche un ventaglio di date per la disponibilità. Mi disse soltanto: «Metti qualunque data, io ci sarò, anche se sarò lontano, prenderò un aereo e tornerò a Bologna».
E così andò?
Sì, al suo arrivo ci abbracciammo e vidi la sua gioia nell’essere presente: sembrava che non aspettasse altro che manifestare la sua gratitudine, ma non a me, bensì a tutto il popolo che io rappresentavo e che aveva pregato per lui. In lacrime davanti a 400 persone disse: «Non dimenticherò mai quello che è stato fatto per me».
Era credente?
Raccontò del suo rapporto con Dio (era ortodosso) e del suo viaggio a Medjugorje con Roberto Mancini che gli cambiò la vita. Disse che davanti al racconto di suor Cornelia su che cosa fosse Medjugorje si mise a piangere come un bambino.
Possiamo dire che ha affrontato la malattia con fede?
Certamente. Mi ripeteva spesso che quando era a Roma andava tutte le domeniche in chiesa. E poi ho visto con quale fede la moglie ha affrontato questa prova: davvero posso testimoniare che Dio si è fatto vicino con loro, ma anche con la squadra.
Da cosa lo vede?
Più volte dicendo Messa a San Luca mi sono trovato la prima squadra del Bologna in tuta di rappresentanza. La storia di Mihajlovic è stata una storia esemplare per tutti noi e può dirci tanto.
Che cosa ad esempio?
Come sia stato trasformato in preghiera un affetto sportivo, questo ha potuto fare Sinisa con il suo coraggio e il suo esempio. San Luca è proprio sopra il Dall'Ara (lo stadio del Bologna, ndr) e i portici che abbiamo percorso recitando il Rosario sono come un cordone ombelicale che lega questi due simboli della città. Il fatto che migliaia di tifosi abbiano messo da parte le rivalità per farsi mendicanti e rivolgersi alla Madonna è stato un dono speciale di Dio, ne sono convinto.
Quando l’ha visto l’ultima volta?
Nel febbraio scorso a Casteldebole alla commemorazione per Niccolò Galli, giovane nostro calciatore morto prematuramente, a cui è intitolato il centro sportivo. Quel giorno c’era anche suo padre Giovanni Galli (mitico portiere del Milan di Sacchi e della nazionale, ndr) e Sinisa era contento di esserci. Parlammo della vita, vidi un uomo sereno e combattivo.
Che cosa vorrebbe fare adesso per Sinisa?
Mi piacerebbe riconvocare questo popolo per una celebrazione di suffragio. Parlerò con la società, vediamo che cosa si può fare. Ma per il legame che ci ha unito a Sinisa faremo di tutto.