Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
DA NORD A SUD

Così le imprese si arrendono al ricatto della burocrazia

In Italia la burocrazia a volte distrugge investimenti miracolosi. Così complessi residenziali o commerciali sono costretti dai Comuni a sottostare a requisiti onerosi che spingono le aziende a ripensarci pagando salatissime penali piuttosto che impegnare decine o centinaia di milioni su un progetto senza futuro.

Economia 12_12_2015
Il rendering del nuovo mega centro commerciale di Segrate

Scriveva il conte Carlo Dossi che lo «scopo della burocrazia è di condurre gli affari dello Stato nella peggior possibile maniera e nel più lungo tempo possibile».  Quel che Dossi, ai suoi tempi, non poteva prevedere era che la burocrazia non avrebbe distrutto solo l’amministrazione dello Stato, ma avrebbe esteso anche il suo potere venefico agli affari privati.

Il blocco cui assistiamo oggi è, in particolare, sulle grandi opere: complessi residenziali o commerciali costretti dai Comuni o dalle altre amministrazioni a sottostare a requisiti a dir poco onerosi che spingono le aziende a ripensarci pagando una penale di qualche milione di euro piuttosto che impegnare decine o centinaia di milioni di euro su un progetto senza futuro. Ma facciamo qualche esempio concreto per capire come la burocrazia finisca per distruggere degli investimenti potenzialmente miracolosi.

Partiamo da Milano. Da oltre cinque anni gli australiani della Westfield attendono il via libera per costruire il più grande shopping center d’Europa: un colosso da 300 negozi e 50 fra bar e ristoranti disposti su 235mila metri quadrati di superficie, per intenderci circa un quinto di Expo. Ma i numeri più impressionanti sono altri: 1,4 miliardi di euro il costo dell’opera e circa 44mila i posti di lavoro (27mila persone impegnati e nella costruzione e 17mila in pianta stabile nel centro ultimato). L’accordo di programma è stato firmato nel 2009 da Regione Lombardia, Provincia di Milano e Comune di Segrate ma - come ha riferito Dario Di Vico sul Corriere della Sera - è rimasto lettera morta fino a quattro mesi fa quando si è iniziato a darsi un timing. Problema principale? La realizzazione di una piccola tangenziale di sei chilometri, per collegare il mall con la Cassanese bis e la Brebemi, che ha richiesto oltre cinque anni fra studi e autorizzazioni.

Spostiamoci di pochi chilometri, sempre a Segrate. Qui due anni e mezzo fa la Phoenix Development, un colosso delle costruzioni di Bonn, ha presentato insieme all’italiana Red un progetto edilizio, “Milano 4 you”, da 350 milioni e almeno 600 posti di lavoro (2mila con l’indotto). Non solo: la cordata italo-tedesca s’è impegnata a costruire, nell’ordine: scuole per il valore di 11 milioni di euro, case per l’edilizia pubblica, una casa di riposo per anziani, passerelle ciclopedonali per disabili, una residenza universitaria, uffici a canone agevolato per start up e una centrale a biomasse che avrebbe sgravato il Comune dei costi di taglio e raccolta dell’erba per un milione d’euro l’anno. Anche questo progetto è fermo perché considerato a consumo eccessivo di suolo.

Un caso eclatante arriva dalla Puglia, per la precisione a Nardò, nel Salento, dove l’imprenditrice britannica Alison Deighton aveva intenzione di creare un resort da 70 milioni di euro. Moglie dell’ex sottosegretario al tesoro britannico, la Deighton ha subito un sistematico boicottaggio da parte della giunta di Nichi Vendola che nel commentare il suo niet al progetto ha usato più o meno le parole del sindaco di Segrate Paolo Micheli (“c’è la volontà di rispettare il paesaggio che è un valore di rango costituzionale […] e l’idea che non si debba svendere il nostro territorio”). Questo anche se lady Alison aveva promesso che non li avrebbe tagliati: “Ma se quella terra l’abbiamo comprata proprio perché c’erano gli ulivi! Alberi meravigliosi, opere d’arte. Non c’è mai stata discussione: ovvio fin dall’inizio che gli alberi dovevano restare lì”, ha detto testualmente in un’intervista al Corriere (clicca qui). «Adesso lo so. Investire in Italia mette paura», ha concluso amaramente la Deighton. Stessa sorte per l’Ikea di La Loggia, bloccata dall’ex giunta provinciale di Antonio Saitta (Pd), che avrebbe portato nel piccolo comune alle porte di Torino 17 milioni di euro e 350 posti di lavoro.

Da ultimo, vorrei riportare un caso che riguarda la mia città, Como, che ho seguito in prima persona come cronista delle sedute del consiglio comunale. Qualche anno fa una grossa società olandese, Multi, aveva proposto al Comune un piano da 130 milioni di euro per riqualificare l’area dell’ex Ticosa alle porte della città: un luogo occupato da un vecchia fabbrica tessile in disuso che era diventata un luogo di ritrovo per tossici. Il progetto prevedeva case, private e convenzionate, uffici e strutture ricettive immerse in un’area verde molto più grande di quella cementata oltre a interventi di miglioramento dell’area circostante. Una volta arrivata in consiglio comunale la delibera s’è subito incagliata: troppo poco il verde o troppe le case destinate alla vendita. Un consigliere ha addirittura depositato un emendamento su quello che sarebbe diventato famoso come il “cannocchiale di Sant’Abbondio”: una modifica urbanistica per permettere agli automobilisti che percorrevano la tangenziale di poter osservare la basilica romanica di Sant’Abbondio. Fiaccata dai continui rinvii alla fine l’azienda ha preferito retrocedere. Quest’anno Multi ha presentato un nuovo progetto di 41.800 metri quadrati, con il 65% ceduto al Comune o destinato a uso pubblico: vedremo come andrà a finire, ma vedendo quel che succede in giro per l’Italia c’è poco da stare tranquilli.

Secondo il viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda «come quello della Westfield abbiamo censito altri 20 progetti stranieri del valore complessivo di 6 miliardi di euro». Più incerto il numero dei posti di lavoro che però, facendo un calcolo basato sulle cifre del centro Westfield, dovrebbe tranquillamente superare i 100mila unità. Non è forse un peccato mortale rinunciare a tutto questo in nome di una visione (troppo) spesso ideologica? Più crescita non vuol dire soltanto un numero sui tabelloni degli economisti ma, in concreto, nuove possibilità per le persone di guardare al futuro con tranquillità e creare una famiglia.