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SCHERZI A PARTE

Così il pio Brosio ha rotto i denti alle Iene ridens

É l’effetto Parigi nel dialetto di Cologno Monzese, il Je suis Charlie buttato in satira stracciona come solo a Scherzi a parte sanno fare. Chi siamo noi, devono aver pensato negli studi Mediaset, per non pigliare per i fondelli fondamentalisti islamici, ebrei e cattolici papalini? Scartato Maometto e l’islam perché quando si incazzano non le mandano a dire, hanno ripiegato sul pio Brosio e un finto Papa.

Editoriali 15_01_2015
Paolo Brosio

É l’effetto Parigi nel dialetto di Cologno Monzese, il Je suis Charlie buttato in satira stracciona come solo a Scherzi a parte sanno fare. Chi siamo noi, devono aver pensato negli studi Mediaset, per non pigliare per i fondelli fondamentalisti islamici, ebrei dal naso adunco e cattolici papalini? Scartato Maometto e l’islam perché quando si incazzano non le mandano a dire (e poi ne hanno già avuto una dose tanta), gli ebrei con la kippah che sarebbe poco elegante dopo la strage kasher, non restavano che i paolotti e il loro mite Francesco Papa, venuto dall'Argentina. Argomento ideale per una satira senza limiti e senza tanti rischi.

É iniziata dunque col botto (che è sempre meglio del kalashnikov) su Canale 5 la puntata d’esordio della nuova stagione di Scherzi a parte, programma di intrattenimento e di finta finzione. Ed è finito con le lacrime, come il Maometto piangente di Charlie in edizione straordinaria, e con il perdono generale della vittima di turno. Paolo Brosio, giornalista, scrittore, ma soprattutto cristiano convertito e grande devoto della Madonna di Medjugorie. 

Riassumiamo: il poveretto viene contattato da un finto giornalista (Frank Matano de Le Iene) che vuole intervistarlo per un documentario su Medjugorje e si danno appuntamento nella sua casa in Versilia dove tra una confessione e l'altra il “giornalista” riceve una telefonata dal Vaticano. Qui scatta la trappola. Una voce con accento sudamericano comincia a parlare, e a Brosio serve qualche minuto prima di rendersi conto che è Papa Francesco in persona: «Non mi dica che lei è il Santo Padre, perché mi fa svenire», dice commosso come un bambino. A quel punto Brosio si scioglie in lacrime, è un fiume in piena, racconta della sua conversione a Medjugorje, dei suoi genitori partiti dal Piemonte come quelli di Bergoglio, di nonna Rosa che si chiama come la nonna del Pontefice. Tanto è l'entusiasmo che gli autori dello scherzo sono imbarazzati: «Come facciamo a dirgli adesso che è tutto finto?». «Vi rendete conto? », dice Brosio, «è la cosa più bella che può capitare nella vita di un uomo». Ma dalle loro facce intuisce qualcosa. «Se è uno scherzo ditemelo, io ho pianto. É una cosa immensa, è in ballo la mia vita, le mie cose più care. Se è uno scherzo ditemelo».

Alla fine i buontemponi si fanno coraggio e glielo dicono. La reazione di Brosio è furente: «Vi invito a smontare tutto e andare a casa. È la cosa migliore, per me e per voi. Prima che m’incazzo, perché da convertito non devo avere né risentimento né invidia, né li devo provare per gli altri. Anche se adesso vien da prendere il cavalletto e spaccarvelo in faccia. Ho la fede e l’entusiasmo di un bambino, ma non devo essere raggirato». Poi, Brosio ci ripensa e accetta di firmare la liberatoria dell’atroce scherzo perché in trasmissione potrà comunque raccontare della sua (buona) fede, della conversione e dei pellegrinaggi a Medjugorje. Lui, si è fatto filmare senza “veli”: ha messo in piazza le lacrime di gioia per il colloquio con il finto papocchio, poi la vergogna per essere stato raggirato, infine il perdono la professione di fede. C’è da credere a tanta dabbenaggine, oppure quella di Brosio è finzione nella finzione? Come quando, davanti a Palazzo di Giustizia si faceva sbeffeggiare da Di Pietro o stava docilmente al gioco del suo direttore, quell’Emilio Fede che gli imponeva di recitare la commedia del cronista maldestro e un po’ pirla.

Ma son passati ormai quasi 25 anni e, soprattutto, c’è di mezzo qualcosa di più: Medjugorie, l’incontro che gli ha cambiato la vita. Al popolo della Tv basta questo, molti hanno telefonato indignati durante la trasmissione: «Avete giocato con i sentimenti delle persone, vergognatevi». «Ma che scherzo è? Ridere sulla fede della gente? A quando uno scherzo per fare credere a una mamma che suo figlio è morto? ». E c'è persino chi chiede al vero Papa Francesco di chiamare davvero Brosio per consolarlo. 

Forse non è lui che deve essere consolato. A guardare bene, il tontolone Brosio così tonto non lo è stato: grazie alla sua disarmante confessione, lo scherzo ordito dal gatto Bonolis e dalla volpe Parenzo è finito male. Vennero per sputtanare e finirono sputtanati, come recita un celebre proverbio oxfordiano. Alla fine della falsa telefonata, a sprofondare nelle vergogna erano Le Iene, resisi conto di averla fatta grossa. Dunque, tutto bene qual che finisce bene? Mica tanto. Perché non sempre la satira viene per nuocere, ma quella delle Iene di solito sì. Sono bravi a far ridere? Beh, pure i Cristi crocefissi di Charlie son disegnati per far ridere. Allora, bisognerebbe imporre anche nella satira il diritto di reciprocità: una prossima puntata di “Scherzi a parte” potrebbe ospitare un gruppetto di islamici sunniti in preghiera, guidati, in collegamento video audio da Istanbul, da Frank Matano travestito da Gran Muftì della Moschea Blu. Alla fine il finto imam dovrebbe togliersi il turbante e proclamare in arabo: «Rilassatevi, siete su Scherzi a parte». Che dici caro Bonolis, potrebbe funzionare?

Nel caso del finto Bergoglio, a rimetterci è stato Brosio e non astrattamente il Vaticano e la Chiesa cattolica. Ecco il lato sporco e intollerabile della faccenda. Le Iene hanno addentato quel che Brosio ha di più bello e prezioso, la fede, cioè il sentimento della vita e le sue «cose più care». L’altra sera, quegli spiritosi a pagamento hanno scherzato non sul dogma dell’Immacolata concezione, ma sui sentimenti di un uomo, «sull’entusiasmo di un bambino che non deve mai essere raggirato». Certo, tutto quel cinismo comico gli è tornato sui denti come un boomerang e dalla trappola mediatica Brosio è uscito da gigante. Si fanno chiamare “Iene”, forse perché lo sfottimento altrui gli provoca attacchi di riso imbecille, ma questa volta hanno fatto la figura di spelacchiati sciacalli.

Ogni tanto le loro burlette finiscono male, come quella volta che scherzando scherzando spinsero un poveraccio di prete, a fine carriera e  con vizietto inconfessabile, a buttarsi sotto un treno per la vergogna. Spedirono in confessionale a fare da esca una giovane comparsa con una telecamera nascosta a provocare e a filmare le avances, le toccatine di assaggio, le trattative per l’appuntamento. Poi mandarono in onda il tutto. Oppure quando usarono del dolore dei malati di Sla per montare una campagna contro il ministero della Salute e per il riconoscimento della cura Vanoni. Senza neppure avvertire i telespettatori che erano su Scherzi a parte.