Così i leader corrotti dell’Africa si mangiano gli aiuti
Dittature, corruzione, malgoverno e scandali di ogni tipo: in molti Stati africani le malversazioni sono diventate norma quotidiana. E tuttavia, proprio per aiutare questi Paesi, la Commissione europea ha destinato 44 miliardi di euro per per ridurre l’immigrazione irregolare. Miliardi che già si sa che fine faranno.
Il 16 settembre la Commissione Europea ha spiegato i dettagli della nuova iniziativa, già annunciata a maggio, pensata per ridurre l’immigrazione irregolare. Si tratta di investimenti pubblici e privati per 44 miliardi di euro, destinati a sostenere e sviluppare le economie dei Paesi di partenza degli emigranti. Meglio sarebbe, sostiene la Commissione, se gli Stati membri dell’Ue fossero disposti a raddoppiare i capitali portando i fondi a 88 miliardi.
La domanda è: per darli a chi? Non alla Somalia, si spera, che avrebbe dovuto andare alle urne il 24 settembre e invece ha sospeso il voto e ha rimandato al prossimo mese – forse – l’intero processo elettorale. Queste elezioni sono comunque un mezzo fallimento. Indette con un ritardo di cinque anni rispetto alla road map concordata nel 2010 dai leader somali e dai donatori internazionali che li finanziano, avrebbero dovuto essere a suffragio universale, rimandato invece al 2020 perché ancora non esiste un registro degli aventi diritto al voto, dato che manca un censimento della popolazione, senza contare che parte del territorio nazionale è impraticabile perché continua a essere controllato dal gruppo jihadista al Shabaab, legato ad al Qaida.
Non potendo far votare la popolazione, si era convenuto che gli anziani dei quattro clan principali indicassero dei delegati – 14.000 in tutto – incaricati di eleggere la Camera bassa. Non lo hanno fatto. Uno dei problemi è stato il loro rifiuto di delegare delle donne alle quali in base agli accordi dovrebbe essere riservata una quota del 30%. Alle amministrazioni regionali spetterebbe di eleggere la Camera alta e poi il 30 ottobre sarebbe stata la volta delle presidenziali, ma ormai tutto è in forse. I somali accampano problemi finanziari, politici, burocratici, di sicurezza… da 12 anni.
Nel 2004, a 13 anni dall’inizio della guerra tra clan scoppiata dopo la caduta del dittatore Siad Barre e dopo anni di negoziati tra le delegazioni dei clan maggiori, ospitate a Nairobi a spese della comunità internazionale, era stato costituito un parlamento di transizione. Poi nel 2005 sono state create le altre cariche politiche. Da allora c’è stata una crisi politica dopo l’altra e una parte dei capi clan hanno lasciato il governo formando l’Unione delle Corti Islamiche dalle quali infine è germinato al Shabaab. Secondo la road map della “transizione democratica” le attuali elezioni si sarebbero dovute svolgere nel 2011, nel 2012 una Assemblea doveva scrivere la Costituzione che invece è stata redatta frettolosamente un anno dopo sulla base di un canovaccio fornito dall’Onu e ancora attende, per divenire definitiva, un referendum popolare che non è mai stato convocato.
Tuttavia l’Onu ne ha parlato come di una pietra miliare, una “conquista storica”. Intanto, un rapporto realizzato nel luglio del 2012 dal Gruppo Onu di monitoraggio sulla Somalia rivelava che ogni 10 dollari consegnati dalla comunità internazionale al governo somalo per la ricostruzione e il sostegno alla popolazione, sette non entrano nelle casse dello Stato. «Nulla viene fatto dalle istituzioni somale», si leggeva nel rapporto, «senza che qualcuno dica: “io che cosa ci guadagno?”». Due mesi prima la Banca Mondiale aveva riferito che tra il 2010 e il 2011 si era persa traccia del 68% degli aiuti internazionali al governo somalo.
Nel luglio del 2013 un altro rapporto Onu ha documentato una rete di corruzione e clientelismo all’interno della stessa Banca centrale della Somalia. Ciononostante, due mesi dopo è stata organizzata una conferenza internazionale che ha raccolto 1,8 miliardi di euro per realizzare – altra “pietra miliare” – un New Deal, un colossale progetto di ricostruzione del Paese. L’Indice 2015 di percezione della corruzione di Transparency International colloca la Somalia all’ultimo posto, il Paese più corrotto del mondo. Altri Stati africani le contendono il primato: la Nigeria, ad esempio, dove il parlamento sta pensando di creare un comitato per indagare sulla fine di 17 miliardi di dollari: a tanto ammontano gli introiti della vendita del petrolio che l’Ente petrolifero nazionale ha omesso di versare allo stato nel 2014 su un totale di incassi pari a 77 miliardi.
Ma ogni giorno nuovi scandali vengono alla luce in Africa. L’Uganda ha 427 parlamentari. Ognuno a ottobre riceverà 44.000 dollari per l’acquisto di automobili ed è in discussione in Parlamento una indennità di 15.000 dollari per ciascuno al fine di garantire a ognuno di essi un funerale decente. A marzo 10 donatori occidentali hanno sospeso il loro sostegno finanziario diretto al governo del Tanzania, da cui dipende un terzo del bilancio del Paese, a causa della «corruzione che dilaga nel settore energetico». Anche il Mozambico nel 2016 ha perso molti aiuti internazionali. Stati Uniti, Gran Bretagna, Fondo monetario internazionale e Banca mondiale hanno bloccato i rispettivi programmi di assistenza finanziaria al Paese in seguito alla scoperta che il governo non ha dichiarato 1,4 miliardi di dollari di debiti per far credere di avere un livello di debito estero sostenibile e quindi ottenere nuovi prestiti. Inoltre, 20 anni dopo la fine della sanguinosa guerra costata un milione di morti tra il 1976 e il 1992, la pace, fiore all’occhiello della diplomazia italiana, è in pericolo.
Da anni sale di nuovo la tensione tra gli avversari storici, protagonisti della guerra civile: il Frelimo, al potere dal 1994, e la Renamo, ora partito all’opposizione. I primi scontri armati sono iniziati nel 2013 pochi mesi dopo la scoperta di grandi riserve di gas naturale che possono rivoluzionare l’economia nazionale. Nel 2016 il conflitto ha costretto migliaia di persone a fuggire nei paesi vicini. La leadership del Frelimo è accusata di aver approfittato dei lunghi anni al potere per arricchirsi a scapito del resto del paese. Negli ultimi tre anni il Prodotto interno lordo è cresciuto a una media del 7%, ma il Mozambico è 180° nell’Indice di sviluppo umano dell’Onu su 188 stati classificati.