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ALL'EUROPARLAMENTO

Così Francesco vuole svegliare la vecchia Europa

L'Europa che Papa Francesco ha incontrato a Strasburgo non è più l'Europa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Eppure ci sono parole e affermazioni che legano la visione europea di Bergoglio a quella dei suoi predecessori. Trascendenza, sussidiarietà, doveri comunitari prima dei cosiddetti nuovi diritti individuali.

Ecclesia 03_12_2014
Papa Francesco al Parlamento di Strasburgo

A distanza di qualche giorno dal discorso di papa Francesco al Parlamento europeo di Strasburgo e dopo i numerosi commenti a caldo da parte della stampa, vorrei riprendere quelle sue riflessioni, che rappresentano una nuova tappa degli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa sull’Europa.

In continuità con i predecessori. L’Europa di cui parlava san Giovanni Paolo II era molto diversa da quella di oggi. Era l’Europa che sentiva ancora le ferite profonde della Seconda Guerra Mondiale, del comunismo, dei muri. Basta leggere la Centesimus annus, o il libro Memoria e identità, o i numerosi suoi discorsi tra cui anche quello tenuto proprio al Parlamento europeo venticinque anni fa, per cogliere la diversità storica di quella prospettiva rispetto ad oggi. San Giovanni Paolo II si interrogava sul misterium iniquitatis a causa del quale l’Europa, culla dell’umanesimo e del cristianesimo, era diventata il luogo dei totalitarismi disumani che avevano tentato di estromettere Dio dalla vita del Continente. Perfino l’Europa di cui parlava Benedetto XVI, nonostante il breve tempo intercorso, non è più esattamente quella. Egli ne vedeva la vocazione nell’incontro tra ragione e fede cristiana, ma nel frattempo la fede dell’Europa nella ragione si è decisamente indebolita e la capacità della cultura e della politica degli Stati europei e della stessa Unione di rifarsi al deposito normativo contenuto nella natura dell’essere umano ha ulteriormente perso slancio e fiducia. Eppure, nonostante queste diversità, sia Giovanni Paolo II che Benedetto sono presenti nelle parole di papa Francesco a Strasburgo. Questo discorso segue un registro più esistenziale che non storico o filosofico. Ma nelle osservazioni sulla “trascendente dignità” della persona umana e nell’analisi del rapporto tra i due termini – trascendente e dignità – recupera, rinnova e rilancia gli insegnamenti precedenti.

L’Europa e la trascendente dignità della persona. La dignità della persona umana – ha detto papa Francesco – è stata messa a fuoco in Europa. Ciò non significa che qui essa sia sempre stata rispettata e lo sia tuttora. É certo, però, che in Europa è nata la spinta a rispettarla, a codificarla in un elenco di diritti, a teorizzarla e a mobilitare tante energie per realizzarla. É qui che papa Francesco riprende il grande tesoro delle riflessioni dei suoi due predecessori. La dignità della persona umana può essere vista pienamente senza partire dalla sua trascendenza? Le si può rimanere fedeli, anche nelle difficoltà e quando bisogna pagare qualcosa di caro per farlo, senza essere sostenuti da motivazioni di ordine trascendente? Si può provare pentimento e rimorso quando la si ferisce se non in riferimento ad un obbligo di coscienza trascendente? Giovanni Paolo II, Benedetto, Francesco: tutti dicono che la dignità umana è sì umana, ossia propria dell’uomo, qualcosa di suo, qualcosa che gli appartiene in quanto uomo e che nessuno gli può togliere, ma che non trova però nell’uomo la sua ultima fondazione. O la dignità umana è “trascendente” oppure non è garantita fino in fondo, non è adeguatamente sorretta, non è completamente spiegata. Rimane qualcosa di alto, certamente, ma di assunto come privo del suo fondamento ultimo: assunta ma non fondata. Anche papa Francesco dice che tale dignità non può essere oggetto di deliberazione umana e il Parlamento di Strasburgo, come ogni parlamento umano, deve rispettarla e porsi al suo servizio. Il filo conduttore del discorso di papa  Francesco a Strasburgo è che, senza la trascendenza, le cose umane si corrompono, perché non hanno in se stesse la loro salvezza. Ciò non significa che solo chi crede sia in grado di rispettare la persona umana. Possiamo constatare prove di questo rispetto in tutti. Ma come comunità si finisce per annebbiare la consapevolezza comune circa questa dignità e per introdurre elementi che la corrompono. La difesa della dignità umana è nelle nostre mani, ma la dignità umana non è nelle nostre mani.

Ciò che costituisce la comunità europea. Papa Francesco propone una strada per accorgersi che si sta perdendo di vista la dignità umana. Questo avviene non solo quando non si ha riguardo per evidenti situazioni di degrado umano come la povertà, la fame, la disoccupazione. Si perde di  vista la dignità umana anche quando si esaltano troppo i suoi diritti, fino ad esasperarli. Questa, secondo papa Francesco, è la contraddizione dell’Europa ai nostri giorni. Si pensa di valorizzare la persona ampliando le sue chance di vita senza criterio e intestandole automaticamente i diritti conseguenti. Se la persona può fare qualcosa anche lo deve fare e bisogna permetterglielo per legge. In questo modo, però, annota Francesco, vengono amplificati i diritti individuali e si perde il senso del limite originario costituito dai doveri. Quale la via per risolvere la questione? Considerare la persona non come individuo ma come un essere relazionale, comunitario, dato che proprio dalla valorizzazione della comunità derivano le limitazioni dei diritti individuali, che, lasciati a se stessi, sono sempre irresponsabili. Vivere in comunità significa prendersi cura responsabilmente gli uni degli altri. Nascono così i doveri che limitano e orientano i diritti. Sempre attento agli aspetti dell’esistenza, papa Francesco fa notare come nei Paesi dell’Unione europea emerga un evidente paradosso: più aumenta la soddisfazione dei diritti individuali e più gli individui si sentono soli. Più il welfare o le normative di legge soddisfano i desideri individuali, compresi quelli più eccentrici ed innaturali, e più l’individuo si affloscia in se stesso, vittima del cerchio involutivo dei suoi desideri. 

Un continente “vecchio”? Arriviamo così a un altro punto interessante del discorso del Papa a Strasburgo. I dati sociologici in questo caso sono più eloquenti degli approfondimenti filosofici. L’Europa sta invecchiando prima di tutto demograficamente. Ma sta invecchiando anche come spinta ideale, come voglia di essere e di fare nel mondo. Il Papa segnala, giustamente, la nuova dimensione globale dei problemi, per cui l’Europa non può più ritenersi al centro del mondo. Questa sua centralità era un tempo garantita dalla geografia e dalla storia, oggi non lo è più. Questa, però, è a suo avviso solo una causa seconda, non fondamentale. La vecchiezza europea nasce all’interno della stessa Unione europea. É una crisi culturale e morale. Una crisi di identità. Anche Benedetto XVI aveva detto molto su questo argomento e la riunificazione del Continente dopo il crollo del muro di Berlino e l’estensione dei confini dell’Unione a oriente, che tanto stavano a cuore a Giovanni Paolo II, non ha risolto il problema dell’identità europea. Perché è un problema interno che l’Unione europea non risolverà senza confrontarsi con la propria origine cristiana. Papa Francesco, come dicevo, indica la strada della relazionalità, della riscoperta della dimensione comunitaria per superare la solitudine individualistica dell’uomo come “monade”. A questo punto però il problema si ripropone: da dove nasce questa dimensione comunitaria? Prima si era posto il problema da dove nasca la dignità della persona, ora fa lo stesso per la comunità. Siamo noi a costituire la comunità, mettendoci insieme con un pactum societatis a cui fa seguito – come voleva Hobbes – un pactum subiectionis, ovverossia il potere? In questo caso il potere non avrebbe limiti, perché esso fonderebbe la comunità. Oppure siamo chiamati a vivere insieme da un fondamento trascendente? Da una natura relazionale che rivela il progetto del Creatore? Torna così il tema della trascendenza non solo della persona umana presa in se stessa ma anche della comunità umana. 

Trascendenza e sussidiarietà. Sentirsi comunità, vedersi come costituti da altro, non chiudersi nel proprio individualismo di persone, di piccole comunità, di singole nazioni … è fondamentale – secondo papa Francesco – per tornare a pensare in grande e superare la vecchiezza dell’Europa. L’individualismo toglie energie non solo ai singoli, incentrandoli narcisisticamente sui propri desideri, ma anche ai corpi intermedi delle società e alle stesse nazioni. I corpi intermedi sono tentati di attendersi dallo Stato quello che possono invece fare loro, assumendosi i propri doveri. Gli Stati sono tentati di attendersi dall’Unione europea quello che dovrebbero fare loro. E’ dalla trascendenza che deriva il principio ordinatore della sussidiarietà. A questo proposito, il Papa ha toccato due argomenti oggi molto sentiti in Europa: l’ambiente e le migrazioni. Ambedue, però, vengono da lui ricondotti ad un dovere di impegno che trova solo in Dio la sua causa ultima. I due argomenti sono sentiti dai cittadini europei, ma anche questo interesse può essere ammalato di narcisismo. Si può difendere l’ambiente e dimenticare l’uomo. Questo capita quando l’equilibrio ambientale è considerato il puro effetto di tecniche individuali e collettive e non di un atteggiamento di accoglienza della propria natura umana come un dono, quindi con una origine trascendente, prima ancora che per la natura ambientale. Anche il problema delle migrazioni non è risolvibile senza uno sguardo in comune verso la comune natura umana.

* arcivescovo di Trieste

     

 

 

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