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L'ANALISI

Così avanza la terza generazione dei "Neocon"

Dopo 54 anni e troppe polemiche, la bandiera che fu della Confederazione “sudista” è stata ammainata dall’edificio che a Columbia ospita il parlamento del South Carolina. La controversia è un “a volte tornano” del politicamente corretto americano, ma non tutto è trivialità. Uno degli aspetti seri della vicenda fa capo a William Kristol, fondatore e direttore dal settembre 1995 del settimanale The Weekly Standard.

Esteri 03_08_2015
Congresso a Chicago dei Neocon

Dopo 54 anni e troppe polemiche, la bandiera che fu della Confederazione “sudista” è stata ammainata dall’edificio che a Columbia ospita il parlamento del South Carolina. La controversia è un “a volte tornano” del politicamente corretto americano, ma non tutto è trivialità (clicca qui). Uno degli aspetti seri della vicenda fa capo a William Kristol, fondatore e direttore dal settembre 1995 del settimanale The Weekly Standard. Sul quindicinale progressista The New Republic se ne accorge Jeet Heer che si chiede come faccia uno come lui a difendere le memorie confederate (clicca qui).

Kristol è infatti la figura mediaticamente di punta del mondo neoconservatore. Ovvero dell'"ultimo scaglione” del conservatorismo americano, nato da quella gauche caviar già trotzkysta che, a partire dalla metà degli anni 1970, si spostò a destra per incompatibilità con la controcultura estremista dell’epoca. William Kristol è del resto figlio di colui che nei libri di storia viene considerato il capostipite dei neoconservatori, Irving Kristol (1920-2009). Ora, i neoconservatori (che non sono tutti e solo ebrei come vorrebbe una certa teoria del complotto: basti pensare che dal loro milieu sono nati cattolici come George Weigel, Robert Royal e Michael Novak) sono difficili da ridurre a una sola direttrice culturale, ma innegabilmente due sono le assi portanti del loro pensiero: la filosofia di Leo Strauss (1899-1973) e la “democrazia lincolniana” intesa come la “rifondazione” neoilluminisa della storia statunitense operata da Abraham Lincoln (1809-1965). Fanno testo i classici greci “riletti alla luce di Lincoln” che hanno reso famosi i teorici del movimento, in primis Harry V. Jaffa (1918-2015) e Walter Berns (1919-2015). Insomma, quanto di più distante dalla sensibilità “sudista”, ma anche dall’ala tradizionale del conservatorismo che dalla sensibilità “sudista” è profondamente attraversata. 

Fu dunque faida, ma quando nel 1980 Ronald Reagan (1911-2004) portò il conservatorismo ai vertici politico-istituzionali degli Stati Uniti si acquietò. Merito di Reagan che riuscì ad amalgamare le diverse correnti in una sintesi politica unitaria e vincente (che prese il nome di “New Right”), ma durò poco. L’idillio s’infranse e le “guerre tra conservatori” riesplosero più virulente che mai, conferma impeccabile del fatto che le mere sintesi politiche non risolvono le divergenze culturali, soprattutto non per molto tempo. Da allora è stata una battaglia senza quartiere tra irriducibili, con scambi di colpi, talora bassi e bassissimi, da entrambe le parti e con la “questione sudista” spesso al centro.

Oggi però è il 2015. Dietro le spalle ci sono gli otto anni (2000-2008) di George W. Bush Jr. con cui i neocon di William Kristol hanno più che flirtato, la sconfitta elettorale di John McCain nel 2008 e quella di Mitt Romney nel 2012. Davanti agli occhi ci sono le elezioni del novembre 2016 e l’ostinazione a non arrendersi a una terza, insostenibile sconfitta. Ebbene: William Kristol e i neocon (che tra tutte le correnti conservatrici sono i più legati al Partito Repubblicano) sono abilissimi lettori degli umori dell’elettorato e, nonostante non si siano mai sottratti alle “guerre tra conservatori”, hanno imparato sulla propria pelle due cose: che nessun candidato repubblicano può battere i Democratici senza il movimento conservatore, ma pure che ciò non basta se il movimento conservatore non è compatto, unito e rappresentato in tutte le sue anime. Per vincere l’anno venturo, il Partito Repubblicano ha insomma bisogno di tutti i conservatori, neocon, “tradizionalisti”, Tea Party, libertarian e “sudisti”, come con McCain e Romney non è successo. A gridarlo a gran voce al partito oggi sono gli scaltri neoconservatori. Compito non facile, visto che i Repubblicani debbono elaborare urgentemente una strategia per conquistare il cuore e le menti dei neri e dei latinos, ché sennò i Democratici li sconfiggeranno sempre; non facile, ma imprescindibile.

Del resto i Democratici, pur con tutta la loro retorica anticonfederata, sono già sul pezzo: l’ex ministro della Marina di Reagan, James Webb, Democratico anche quando stava con Reagan, famoso collezionista di cimeli confederati e autore della storia da cui è stato tratto il film patriottico Regole d’onore (di William Friedkin, 2000), la bandiera “sudista” la sventola ben volentieri e qualcuno dice che l’anno venturo potrebbe correre per la Casa Bianca. Ma non è tutto. C’è infatti una differenza abissale tra i neocon di “prima generazione” di Kristol padre e la “seconda generazione” di Kristol figlio. La “seconda” è oramai indistinguibile dal mainstream conservatore: per qualche critico feroce dei neocon, come Patrick J. Buchanan e Richard M. Viguerie, significa che i neoconservatori hanno fagocitato i veri conservatori, ma guardando bene il più delle volte si vede che sono stati i neocon a diventare conservatori più veri. Il sinistrismo da cui i Kristol padri venivano, e magari si liberarono a fatica, i Kristol figli non lo hanno mai conosciuto. 

Oltre che di missili e di welfare, i neocon hanno nei decenni imparato la filosofia dei princìpi non negoziabili. Oggi parlano correntemente la lingua dei “tradizionalisti” senza scandalo. E di recente hanno pure imparato che nella sensibilità “sudista” non tutto è peste e corna, come sulle pagine insospettabili di The Weekly Standard ha già da qualche tempo notato Winston Groom (clicca qui). Forse è l’alba della “terza generazione” neocon. Se così fosse, sarebbe una cosa da libri di storia del pensiero, alla voce “contro-rivoluzione”.