Cosa (ci) insegna il raddoppio del Canale di Suez
Il raddoppio del Canale di Suez è un evento di portata storica che arrecherà grandi benefici all’Egitto e riporterà l’intero Mediterraneo ai precedenti livelli di importanza economica. Ma insegna alla nostra democrazia, così confusionaria, litigiosa e inconcludente, quanto, alla fin fine, sia vitale la giusta selezione dei governanti.
Il raddoppio del Canale di Suez è un evento di portata storica che arrecherà grandi benefici all’Egitto e riporterà l’intero Mediterraneo ai precedenti livelli di importanza economica. Ma insegna alla nostra democrazia italiana, così confusionaria, litigiosa e inconcludente, quanto, alla fin fine, sia vitale la giusta selezione dei governanti. Da noi il sistema si è ormai così avvoltolato su se stesso da fare emergere solo personaggi abilissimi a districarsi nella lotta intrapartitica, ma che poi, una volta emersi, scoprono che governare è un’altra cosa, mentre loro sono bravi solo in sgambetti e slalom tra correnti.
Così, a comandare sul popolo vanno personalità non eccelse che per giunta devono impegnare tutto il loro tempo a guardarsi da chi vuol far loro le scarpe o da quelli per cui conta solo, e ad ogni costo, l’interesse della propria fazione. Il popolo, giustamente, non se ne fida e protesta a ogni sacrificio richiestogli perché conosce i suoi polli. Il risultato è che chi non può approfittare della situazione per cavarne un vantaggio personale diffida della classe dirigente e, se può, seppellisce il suo “oro” piuttosto che darlo alla “patria”. Ciò accade perché gli italiani sono geneticamente inguaribili? No, e proprio l’Egitto lo dimostra.
I Paesi musulmani (e l’Egitto lo è) hanno in genere livelli di litigiosità interna e corruzione anche peggiori dei nostri e, anzi, una tradizione identitaria penalizzante sul piano della creatività. Ma quando trovano un leader realmente credibile dimostrano, come tutti, che cosa possa fare un popolo ben guidato. Al Sisi, capo del governo egiziano, ha il pregio delle idee chiare e di far seguire alle parole i fatti. Ha visto che della “Primavera araba” egiziana avevano approfittato i Fratelli Musulmani, la fazione meglio organizzata. Ma ha anche visto che era minoritaria e il popolo non ha tardato a stufarsene. Così, forte dell’appoggio popolare, ha proceduto con mano ferma e, per giunta, ha osato l’inosabile: senza nominarlo, ha fatto proprio il famoso discorso di papa Ratzinger a Ratisbona e ha detto chiaro e tondo che l’islam deve riformarsi perché è ormai ora che il Corano venga non più applicato alla lettera ma interpretato, in quanto il VII secolo è passato da un pezzo e i computer hanno soppiantato i cammelli. Cioè, con la sharìa si torna a vivere nelle tende e sotto l’insopportabile tallone di qualche Sultano provvisto di sterminati harem guardati da eunuchi.
Ed eccoci al raddoppio del Canale di Suez. Le imprese che avevano vinto il bando per la sua realizzazione l’avrebbero consegnato in tre anni chiavi in mano: Al Sisi ha detto loro senza mezzi termini che l’anno doveva essere solo uno, sennò nisba. E quelle si sono rimboccate le maniche e pure i pantaloni. Numero due: Al Sisi ha svenato le casse statali o ha indebitato fino al collo il Paese con gli usurai internazionali? Niente affatto. Si è rivolto al suo popolo, ha spiegato il progetto e steso la mano. In soli otto giorni (avete letto bene) la gente ha aperto la scarsella e il denaro è stato raccolto, fino all’ultimo centesimo, tramite un’obbligazionariato popolare cui hanno partecipato pure i pensionati. Tutto si può quando chi comanda è affidabile perché ha dato prova di fare sul serio. Così l’Egitto ha adesso il suo raddoppio di canale, dopo quello risalente al (pensate) 1869. A Suez potranno transitare pure le superpetroliere e le mega-portacontainer che prima dovevano circumnavigare l’Africa. In Italia, invece, il Ponte sullo Stretto di Messina (opera di gran lunga inferiore) non ha mai visto la luce con la semplice motivazione che lo voleva Berlusconi. E già questo basterebbe a far comprendere quanto sia illuminato il nostro elettorato. In Italia, per far passare un treno veloce dalla Val di Susa ci vuole l’esercito. E potremmo continuare, ma i nostri lettori sono più bravi di noi a completare il doloroso elenco.
Gli egiziani, certo, non hanno mafie, camorre, anarchici e no-global. Nemmeno animalisti e ambientalisti specializzatisi nella palla-al-piede della Nazione. No, hanno solo di peggio: i jihadisti e il fanatismo armato fino ai denti. E ce l’hanno, per soprammercato, proprio a ridosso di Suez, provvisto anche di missili e kamikaze. Però, a differenza degli italiani, hanno capito che col “principio di precauzione” ci si condanna a non far niente. Cioè, a morire di inedia. Il vile sta rintanato e si affida a una Sorte Benigna che, naturalmente, non esiste, perché, al contrario, la Fortuna aiuta gli Audaci. Al Sisi ha detto alla sua gente: intanto procediamo, al resto penseremo dopo. É certo che i fanatici non staranno a guardare, sì. Ma nemmeno lo Stato. Anzi, proprio i proventi della nuova opera permetteranno di rispondere in modo anche più efficace e, magari, definitivo. L’Egitto, insomma, ha un governo. E ce l’ha pure l’India. Noi, invece, abbiamo la classificazione che fece Sciascia ne Il giorno della civetta. E non abbiamo scuse, perché da noi non comanda lo Straniero Oppressore come dice l’Inno Nazionale, bensì quelli che noi stessi abbiamo votato. E che, ahinoi, continueremo a votare.