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CASO CHARLIE

Corte inglese minaccia la Cedu: "Fai come diciamo noi"

I giudici britannici non nascondono fastidio nel dover rimandare l’interruzione delle cure, usando come paravento l’ipocrisia del “miglior interesse” per Charlie. Poi fanno pressioni sulla Cedu che dovrà decidere sul suo destino: "Ci sentiremmo in serissima difficoltà se ci fosse chiesto di agire ancora contro i migliori interessi di Charlie ordinando una più lunga estensione del rinvio". 

Vita e bioetica 22_06_2017

Abbiamo già accennato al rischio che il Regno Unito non rispetti un’eventuale decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) favorevole al piccolo Charlie Gard e al suo diritto alla vita. Questo rischio trova conferma, almeno implicitamente, nel verdetto di cinque pagine pubblicato dalla Corte Suprema britannica subito dopo il comunicato diffuso nella serata di lunedì 19 dalla Cedu, che aveva nel frattempo chiesto a Londra di mantenere il supporto vitale in attesa di decidere sul ricorso presentato dai genitori del bimbo. Un ricorso che i giudici di Strasburgo hanno assicurato che valuteranno “con la massima urgenza”, senza tuttavia specificare una data precisa. Il riferimento alle “tre settimane” di proroga delle cure è invece contenuto nel verdetto della Corte Suprema, conseguente all’udienza procedurale di giorno 19.

In sostanza, in quelle cinque pagine, i giudici britannici faticano a nascondere il loro fastidio nel dover rimandare l’interruzione delle cure, usando come paravento l’ipocrisia del “miglior interesse” per il bambino, che secondo loro e i medici del Great Ormond Street Hospital consisterebbe nel dare a Charlie una morte certa anziché garantirgli le cure necessarie a vivere e tentare un trattamento sperimentale. “Garantendo un rinvio – si legge al punto 17 della decisione –, anche se di breve durata, noi saremmo in un certo senso complici nell’ordinare una linea d’azione che è contraria ai migliori interessi di Charlie”. Stessa ipocrisia poche righe prima, dove si legge che il tutore del bambino, cioè colui al quale la giustizia britannica ha affidato la tutela legale di Charlie strappandola arbitrariamente ai suoi genitori, afferma “con evidente riluttanza e dispiacere, che è arrivato il tempo per la corte di rifiutare un ulteriore rinvio [della sospensione delle cure] e permettergli così […] di spegnersi”, con tanto di eufemismo finale al posto del verbo “morire”.

Al punto 20 del verdetto, c’è poi la parte dove risultano più evidenti le pressioni dei giudici britannici sulla Cedu. Ordinano infatti di prorogare le cure di altre tre settimane, e precisamente fino alla mezzanotte tra il 10 e l’11 luglio, ma specificano di farlo “con notevole riluttanza”. E aggiungono: “Incoraggiamo rispettosamente i nostri colleghi della Cedu a fare qualsiasi cosa in loro potere per affrontare il ricorso entro quella data. […] ci sentiremmo in serissima difficoltà se ci fosse chiesto di agire ancora contro i migliori interessi di Charlie ordinando una perfino più lunga estensione del rinvio”, cioè un prolungamento delle cure. Non ci vuole molto a tradurre queste parole di Lady Hale, Lord Kerr e Lord Wilson, che in pratica dicono ai loro colleghi di Strasburgo: “Decidete in fretta e vedete di decidere come noi, perché far morire Charlie è l’unica soluzione. Altrimenti siete cattivi”. Il male scambiato per il bene, da imporre a tutti i costi. E pazienza se qui, oltre al diritto naturale che è baluardo della convivenza umana, si sta calpestando lo stesso diritto positivo, visto che il Regno Unito è tra i firmatari della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Come ha fatto notare anche Richard Gordon, legale dei genitori di Charlie, i medici e i giudici britannici stanno violando quella Convenzione in riferimento all’articolo 2 (diritto alla vita), 5 (diritto alla libertà) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare).

Come si può arrivare a tanto cinismo? A costo di essere ripetitivi, va ricordato che questa situazione da incubo, in cui uno Stato mette da parte i genitori e cerca di imporre l’uccisione di un bambino, è conseguenza diretta di decenni di propaganda della cultura dello scarto, che ha diffuso in tutto l’Occidente prima le leggi sull’aborto e negli ultimi tempi quelle sull’eutanasia, che molti nostri parlamentari vogliono importare in Italia con il ddl sulle Dat (disposizioni anticipate di trattamento). Negando che la vita sia sempre sacra, si è prima introdotta la libertà di eliminare il bambino non voluto e adesso, abbattuti pressoché tutti i limiti morali nel segno diabolico del “tutto è lecito”, si sta scivolando verso l’obbligo di uccidere l’imperfetto, in una vera e propria selezione della specie dove sono tribunali e medici a stabilire – da padroni della vita – chi è degno di vivere e chi no. Si tratti di un bimbo di dieci mesi, di un disabile o un anziano. La chiamano autodeterminazione.