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JOBS ACT

Corruzione, spesa, lavoro: cambia il metodo non la sostanza

I limiti delle riforme di Renzi: su temi chiave come la corruzione, il mercato del lavoro e la spesa pubblica vengono fatti grandi annunci di svolte e cambia il modo di affrontarli. Ma non vengono intaccate le radici di questi problemi. Eppure servirebbero proprio delle riforme strutturali.

Editoriali 30_12_2014
Matteo Renzi

Una cosa va certamente riconosciuta a Matteo Renzi: quella di aver tentato di rompere i vecchi schemi della politica. Eravamo abituati per anni al piccolo cabotaggio dei compromessi, al Parlamento impegnato per settimane a discutere leggi ad personam, alla politica gattopardesca di una destra e una sinistra affaccendate a confondere le acque e a non toccare privilegi acquisiti e rendite di posizione politiche o sindacali.

Renzi ha cercato di dimostrare che la politica non è solo l’arte del possibile, ma anche il luogo che deve dare risposte concrete alle esigenze di una società in rapido cambiamento. Partendo da una semplice constatazione: se è vero che l’Italia è in difficoltà su tanti fronti come quello del lavoro, dei conti pubblici, della corruzione allora non ha senso difendere le regole e le procedure esistenti. Perché è proprio da queste regole e da queste procedure che ha trovato origine si è sviluppata la crisi.

Cambiare quindi è necessario, oltre che urgente. Ma ci vorrebbe un cambiamento che sappia affrontare non solo le apparenze, ma anche i nodi di fondo dei problemi.

Vediamo allora questi tre temi che dimostrano molto bene sia la necessità di interventi, sia il fatto che sono stati annunciati interventi incisivi, sia (purtroppo) che il cammino intrapreso rischia concretamente di mancare gli obiettivi necessari ed annunciati.

La corruzione. I recenti scandali romani, a breve distanza da quelli di Milano e Venezia, hanno riproposto con forza il tema della legalità e della trasparenza. La corruzione trova terreno fertile sull’affievolimento del senso etico delle persone, ma anche nella complessità delle procedure, dalla macchinosità dei processi gestionali, da un decentramento che ha moltiplicato i centri di spesa. Di fronte a questi problemi si è risposto accentuando i contenuti della legge in vigore, peraltro approvata da meno di due anni: pene più severe, obbligo di restituzione del maltolto, allungamento della prescrizione. Tutte misure positive, ma che non intaccano le cause di fondo della corruzione.

Il lavoro. Negli ultimi anni si è assistito a un progressivo allargamento della disoccupazione in parallelo con il peggioramento della situazione economica. Alla base della perdita di posti di lavoro stanno: le mancate trasformazioni del sistema produttivo, con una capacità di innovazione delimitata solo a pochi settori; la diminuzione dei consumi interni per il calo demografico, l’invecchiamento della popolazione e la continua crescita della pressione fiscale; la frenata degli investimenti pubblici e privati; la mancanza di adeguate politiche attive del lavoro. Se questa è la realtà si è risposto con l’ormai famoso Jobs Act che interviene sul vecchio e inutile tabù dell’art.18 (nonostante il quale nel solo 2013 mezzo milione di persone hanno perso il posto di lavoro), ma che non modifica gli elementi di fondo che potrebbero portare le imprese private o il settore pubblico a creare nuovi posti di lavoro.

La spesa pubblica. Per quasi un  anno un esperto indipendente come Carlo Cottarelli ha lavorato per individuare i tagli possibili sia per ridurre, sia per rendere più efficiente la finanza dello Stato. Alla fine del  suo mandato Cottarelli è tornato a Washington, al Fondo monetario, lasciando una cospicua analisi che non si è tradotta, se non in piccola parte, in provvedimenti concreti. La spesa pubblica italiana continua ad essere così spinta verso l’alto dai costi della politica da una parte e dalla confusione istituzionale dall’altra. Ma è soprattutto la qualità e l’efficienza della spesa che resta problematica- Restiamo nel campo del lavoro: la spesa per trattamenti di disoccupazione è passata dagli 11 miliardi del 2008 ai 24 miliardi e passa del 2013. Nello stesso periodo gli investimenti per le politiche attive del lavoro sono passati dagli oltre 6 miliardi del 2008 ai 5 miliardi del 2013. Si è continuato a finanziare la disoccupazione e non l’occupazione. 

Corruzione, lavoro, spesa pubblica: tre realtà che richiederebbero riforme strutturali incisive, con interventi più ristretti, ma nello stesso tempo più efficienti da parte dello Stato. Per ora si è visto un cambiamento di metodo e di voglia di fare. Ma le vere riforme non si vedono all’orizzonte. Anche perché la politica si dedica ora ad altri problemi. Per esempio quello del Quirinale.