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IL FILM

Corpus Christi, come ti logoro ai fianchi la Chiesa polacca

Corpus Christi, di Jan Komasa, è un film polacco in cui un delinquente, fuggito dal riformatorio, si sostituisce a un prete. E le sue omelie fai da te piacciono ai fedeli per la loro spontaneità. Ma si tratta del solito filantropico "volemose bene" che nulla ha da spartire con la Chiesa. Che infatti, in Polonia, non ha collaborato per nulla col regista.

Cultura 27_09_2021
Corpus Christi

Poiché prima o poi lo vedrete in qualche cineforum parrocchiale (sempre che non l’abbiate già fatto), vale la pena spendere due parole per il film polacco Corpus Christi, di Jan Komasa, che nel 2019 fu candidato agli Oscar come miglior film straniero ma restò come molti altri a bocca asciutta. L’impressione del komplottista inveterato (che spesso è solo uno che conosce i suoi polli) è che in Polonia, vista la rocciosità del cattolicesimo nazionale, la strategia sia adesso quella del logoramento ai fianchi, il lavorio sull’emotività, ben sapendo che i votanti di oggi saranno sostituiti presto dai giovani e giovanissimi odierni. E cosa possono i corsi, i libri, le omelie contro la potenza d’impatto di un film?

La storia narrata e mostrata è quella di un delinquentello da riformatorio, mezzo tossico e l’altro mezzo ubriacone, che in una rissa ha quasi fatto fuori un coetaneo per futili motivi. Però sembra docile alla direzione spirituale del cappellano, che lo ha preso a benvolere. In realtà è solo attirato dall’abito talare, tant’è che durante un trasferimento per lavori socialmente utili si traveste da prete e, sfruttando un equivoco, sostituisce per qualche tempo il parroco di un villaggio. Insomma, “fa” il prete. E ci prova gusto. Digiuno totale di dottrina e di liturgia, con le sue omelie fai-da-te riesce effettivamente a pacificare le fazioni in contrasto, a far breccia nel cuore dei giovani, a ravvivare, pur se a modo suo, la pastorale locale. Alle domande su Dio e la fede che qualcuno gli pone risponde con evasività più o meno viscerali, così come l’estro gli suggerisce. Ovviamente, quando gli chiedono di dire la sua sul celibato sacerdotale indovinate come la pensa. Infatti, finisce a letto con una parrocchiana.

E torna alle piste di coca e alla sbronza quando un suo ex collega di riformatorio lo scopre e ricatta. Ma lo scopre anche, per caso, il suo vecchio cappellano, che lo costringe a smettere. L’impostore sente a quel punto di doversi rivelare ai suoi ormai ex parrocchiani e questo, ovviamente, lo fa tornare in riformatorio. Da cui di fatto è scappato. Ricominciano le risse e tutto il resto, e lui scappa di nuovo, questa volta in lacrime, talché lo spettatore resti col rimpianto di quando il Nostro giocava a fare il prete. Fine.

Morale (emotiva): meglio un ex detenuto empatico sul pulpito che un prete-prete però legato alla vecchia Chiesa, ai suoi riti stantii e al suo celibato impossibile a sostenersi ancorché obsoleto. Ma ai vescovi polacchi di usare la Croce come bandiera non pare affatto anticristiano, anzi, e solo chi non conosce la storia di quel Paese può pensarlo. Il regista del nostro film, infatti, aveva chiesto il permesso al vescovo della zona in cui intendeva girare di poter usare gli interni di alcune chiese. Il presule, letto il copione, lo ha mandato a girare altrove, cioè a costruirseli da solo, i set finto-ecclesiastici, perché il film finiva col sostenere che chiunque possa fare il prete, basta solo che ci prenda gusto. Insomma, filantropia laica di rione, basta il volemose bbene. E non si capisce, a questo punto, il titolo, Corpus Christi, visto che il prete cattolico è soprattutto colui che può consacrare, cosa che l’ex delinquentello non poteva certo fare (per giunta aveva ascoltato le ignare confessioni). Chiacchiere & distintivo. Andasse dunque, lui e la troupe, a girare altrove. Anzi, a farsi un giro da qualche altra parte. La Chiesa (polacca) è una cosa seria.