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SEUL

Corea del Sud, dopo il golpe il presidente resiste all'arresto

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Nuovo scontro istituzionale in Corea del Sud, un mese dopo il fallito golpe del presidente Yoon. Venerdì il capo di Stato, già privo dei suoi poteri, ha resistito all'arresto protetto dalla sicurezza presidenziale e da una folla di sostenitori.

Esteri 04_01_2025
Sostenitori del presidente sudcoreano contro la polizia (La Presse)

Di nuovo scena da guerra civile in Corea del Sud, dopo il fallito tentativo da parte del presidente Yoon Suk-yeol, di imporre la legge marziale e diventare un dittatore de facto nel paese. Il tentativo di arrestarlo, tre settimane dopo l’impeachment che lo ha privato dei poteri presidenziali, è finito in un confronto molto duro, quasi degenerato in scontro fra la polizia da una parte, manifestanti pro-presidente e servizio di sicurezza dall’altra. Se le istituzioni si combattono fra loro, quanto reggerà la democrazia sudcoreana?

Lo scontro a Seul, di fronte alla residenza del presidente Yoon, avviene in un periodo già molto tragico per la Corea del Sud che ha iniziato il nuovo anno come peggio non si poteva: un incidente aereo con 179 morti e con strascichi molto polemici contro le autorità aeroportuali e, ieri, anche un grosso incendio a un edificio commerciale a sud di Seul con 130 feriti e intossicati. Insomma, per non farsi mancare nulla, anche lo scontro istituzionale ha tenuto col fiato sospeso la capitale sudcoreana.

Il 3 dicembre il presidente aveva accusato l’opposizione di sedizione, dopo un lungo braccio di ferro contro il suo esecutivo. Tuttavia, il tentativo di proclamare la legge marziale è fallito, perché il parlamento, pressoché all’unanimità, ha bocciato il provvedimento e l’esercito, già schierato nella capitale e anche attorno al parlamento, non ha potuto far altro che rientrare nelle caserme. 14 dicembre, Yoon è stato privato dei suoi poteri presidenziali tramite impeachment, votato dalla maggioranza assoluta del parlamento, incluso il suo stesso partito conservatore. Sostituito dal premier Han Duck-soo, anche quest’ultimo, il 27 dicembre, ha subito una procedura di impeachment perché accusato di aver sostenuto l’auto-golpe del presidente e perché si è opposto alla nomina parlamentare di tre giudici che si sarebbero occupati del suo caso. Gli è subentrato Choi Sang-mok, il vicepremier nonché ministro dell’economia.

Il presidente Yoon, ancora teoricamente in carica, benché senza poteri, ha respinto tre mandati di comparizione giudicandoli “illegali”. A questo punto è stato spiccato un mandato di cattura, per farlo interrogare dagli investigatori. Ma venerdì 3 gennaio (ieri, per chi legge) la polizia non è riuscita a mettere le mani sull’ex capo di Stato. Quando tre investigatori si sono presentati alla sua residenza, sono stati bloccati da una folla di sostenitori del presidente, disposti a resistere fino all’ultimo e anche a morire se necessario (così dichiaravano ai giornalisti, per lo meno). Chiamati i rinforzi, trenta investigatori si sono fatti largo fra la folla, rischiando lo scontro con le guardie del corpo presidenziali, ma appena hanno varcato la soglia del cortile del compound presidenziale si sono trovati di fronte a un muro umani di 200 agenti della sicurezza, con dieci veicoli. Gli investigatori, di cui solo tre sono riusciti a comunicare con gli avvocati del presidente, hanno comprensibilmente rinunciato all’arresto.

Si apre così un profondo dilemma istituzionale: chi obbedisce a chi? Polizia e investigatori eseguono gli ordini del governo e del presidente attuale. Ma il servizio di sicurezza del presidente, per costituzione, deve ancora proteggere il presidente in carica. Che è ancora Yoon, anche se privo di poteri. Per far sì che eseguissero gli ordini, l’ormai ex presidente, nei mesi scorsi, aveva anche piazzato i suoi uomini di fiducia nei ruoli chiave della sicurezza, preparandosi al gran colpo di inizio dicembre.

Occorre solo capire come farà Choi Sang-mok ad aggirare questi limiti e ad arrestare il presidente golpista. Ma quanta parte del paese lo segue ancora? E quanta parte dell’esercito?

Più lo scontro istituzionale si prolungherà e si aggraverà, più se ne potrà avvantaggiare la Corea del Nord comunista che assiste, in silenzio, al disastro del suo nemico capitalista. Paradossalmente, proprio il presidente che ha creato la situazione di caos, aveva cercato di imporre la legge marziale per bloccare, a suo dire, un processo di infiltrazione massiccia nordcoreana nei partiti di sinistra, attualmente maggioritari dalle elezioni parlamentari. Anche l’opposizione parlamentare a tutte le proposte del governo e la lotta sulla legge di bilancio, per Yoon, sarebbero parte di un processo di destabilizzazione voluto dal Nord. Tuttavia, una volta annunciata la legge marziale con un discorso televisivo, il presidente Yoon non ha potuto far altro che constatare di non essere seguito dal suo stesso partito, che ha votato contro, e neppure dall’esercito, che ha obbedito al parlamento.

Ancora troppo presto per capire se l’allarme di Yoon fosse fondato o meno, la sua reazione, il suo fallimento e il caos che ne è seguito, fino allo scontro di ieri, sono comunque tutti punti che avvantaggiano pericolosamente la Corea del Nord. Pericolosamente, perché forte della sua nuova alleanza con la Russia, il dittatore Kim Jong-un si sente più forte che mai, moltiplica le sue provocazioni militari e potrebbe essere tentato di sferrare un colpo alla Corea del Sud, quella che lui, nel discorso di fine anno, ha definito “nemico principale”.



GOLPE FALLITO

La Corea del Sud ha vissuto cinque ore di dittatura

04_12_2024 Stefano Magni

Il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, alle 11 del 3 dicembre ha proclamato la legge marziale assumendo poteri dittatoriali. Ma alle 4 del mattino successivo l'ha revocata, sfiduciato da tutto il parlamento, incluso il suo partito.