VECCHIE GUERRE
Corea del Nord, spari dall'inferno
Nuova crisi al confine tra le due Coree: la ragione sta nella profonda crisi della Corea del Nord, che un regime dispotico tiene nella fame.
Attualità
11_08_2011
Perché l'artiglieria nordcoreana si è messa a sparare sulla Corea del Sud, e i servizi sudcoreani hanno denunciato un complotto dei loro omologhi del Nord per assassinare il ministro della Difesa di Seoul, Kim Kwan Jin, e tutto questo proprio mentre - per uno dei tanti paradossi dell'ONU - la Corea del Nord funge da presidente di turno della Conferenza delle Nazioni Unite per il disarmo?
Per capire che cosa succede occorre sollevare il velo su un Paese di cui si parla pochissimo, e da cui filtrano scarsissime notizie. Si tratta dell'unico Paese al mondo da cui non esca nulla via Facebook, Twitter, SMS o E-mail, perché tutti questi strumenti sono vietati al normale cittadino nordcoreano. E tuttavia qualcosa si sa. In questi giorni si parla molto, e giustamente, dei tumulti in Gran Bretagna. Ma è da gennaio che rivolte popolari, represse nel sangue, si succedono in Corea del Nord non perché la gente assalti negozi alla ricerca di vestiti di marca - che in quel Paese non si vendono - ma perché, semplicemente, non ha da mangiare. La crisi economica ha colpito duramente, in uno dei Paesi più poveri del mondo.
Ma non si tratta solo dell'economia. La Corea del Nord è il peggiore Paese del mondo dal punto di vista dei diritti umani. Su ventitré milioni di abitanti conta duecentomila prigionieri politici in campi “di rieducazione” da cui di rado si esce vivi. Almeno la metà, centomila, ci è finita perché sorpresa a praticare una qualche forma di religione. È permesso solo il culto messianico dell’attuale “caro leader” Kim Jong Il e del padre Kim Il Sung (1912-1994), un vero e proprio nuovo movimento religioso su base comunista. Più di metà dei bambini muoiono prima di diventare adulti: 51,34%, la più alta percentuale del mondo. Da quando Kim Jong Il ha assunto la presidenza, i morti per fame sono intorno ai quattro milioni, in un Paese che non sarebbe privo di risorse naturali – ne ha perfino di più della ricca Corea del Sud – ma è gestito da un regime comunista inetto e paranoico. Il poco che si riesce a produrre è venduto per sostenere spese militari fra le più alte del mondo e mantenere il più grande esercito, in proporzione al numero dei cittadini, dell’orbe terraqueo.
Chi visita la capitale Pyongyang e i dintorni è sempre accompagnato, da due guide che si sorvegliano a vicenda, a vedere quasi solo quartieri e villaggi costruiti a uso e consumo degli stranieri. Il velo è stato squarciato, da diversi anni, dagli articoli di una coraggiosa giornalista del Los Angeles Times, Barbara Demick, premiati dall’organizzazione internazionale di giornalisti Overseas Press Club come i migliori testi al mondo nel campo dei diritti umani e raccolti in un volume, "Per mano nel buio", tradotto in italiano da Piemme nel 2010 e che va raccomandato a chiunque voglia sapere qualcosa dello sfortunato Paese asiatico.
La Demick è stata più volte in Corea del Nord, ma ammette che non è da questi viaggi – con le solite due guardie del corpo – che ha capito come stanno le cose. È nelle regioni della Cina che confinano con la Corea del Nord dove arrivano i profughi, e nei quartieri di Seoul dove vivono i fuggitivi dal Nord, che la giornalista ha potuto raccogliere una serie di storie terribili.
Il libro parte da un’esperienza che confesso di avere fatto anch’io. Per chi la sorvola in aereo la Corea del Nord è l’unico Paese di cui si vedono i confini. A Ovest e a Est c’è il mare, ma a Nord c’è la Cina e a Sud la Corea del Sud, che di notte brulicano di mille luci. La Corea del Nord rimane un “buco nero”, senza illuminazione di notte, salvo un puntino che indica la capitale Pyongyang o meglio il quartiere dove vivono il “caro leader” e gli altri gerarchi del regime. Un mondo buio, dove oltre all’illuminazione notturna è vietato Internet, sono vietati i telefoni cellulari, la radio e la televisione sono piombate sui soli canali del regime, i giornali danno notizia quasi solo dei discorsi degli esponenti del partito – molti nordcoreani non conoscono ancora oggi i fatti dell’11 settembre 2001 – e a un certo punto si è pensato di vietare perfino gli orologi, anche se questi stanno cautamente ricomparendo.
L’elemento che domina le storie della Demick è la fame. La maggioranza dei familiari dei profughi che ha incontrato è morta di fame. Da scene di cannibalismo alla prostituzione di donne di ogni età per assicurarsi anche solo un pugno di riso dai militari o dai funzionari che ce l’hanno, il racconto è agghiacciante. E si deve tenere conto del fatto che rispetto all'indagine della Demick, condotta prima della grande crisi economica internazionale, oggi la situazione è perfino peggiorata.
Non meno impressionante è la repressione: si rischia il campo di rieducazione e talora la pena di morte se si sorride a una battuta sul regime, non si piange al ricordo di Kim Il Sung, e soprattutto se ci s’interessa alla religione. Anche avere avuto un padre o un nonno cristiano porta a essere considerati di “sangue impuro”, cittadini di serie B per sempre. Secondo l'organizzazione protestante Porte Aperte, la Corea del Nord è il peggiore Paese del mondo quanto a persecuzioni e uccisioni di cristiani, e lo è da molto anni.
Molti nordcoreani che non sanno nulla del mondo esterno ripetono una canzone obbligatoria secondo cui non hanno “nulla da invidiare”, espressione che da il titolo inglese (Nothing to Envy) al libro della Demick. Credono che altrove si muoia di fame come e peggio che nel loro Paese e che davvero il “caro leader” faccia il possibile per loro. Negli ultimi anni alcuni si procurano cellulari o radio clandestine con cui ricevono notizie dall’estero. Se si fanno scoprire, rischiamo la pena di morte; ma se sopravvivono la fuga diventa lo scopo della vita. Se riescono a fuggire in Cina quasi solo le Chiese e comunità cristiane li aiutano – in genere passando dalla Mongolia, il cui governo è disposto a dare una mano – a raggiungere la Corea del Sud. Dove la vita non è facile: ma la fede, che invano il governo nordcoreano ha cercato di estirpare totalmente, aiuta molti a cominciare una vita nuova, lontano dagli orrori di un regime che incredibilmente trova ancora in Occidente - anche in Italia esistono associazioni di amicizia con la Corea del Nord, spesso collegate ai partiti della sinistra radicale - qualche difensore e ammiratore.
Tutti i regimi repressivi, quando non c'è da mangiare, tendono a scaricare la colpa sugli stranieri e a distrarre i loro cittadini con rumori di guerra. Lo fa anche Pyongyang, che alla fame e alle rivolte di strada - che, per disperate e senza speranza che siano, sono per molto versi inedite e allarmano il partito e il "caro leader", vecchio e malato e impegnato nell'assicurare la successione al figlio Kim Jong-Un - risponde sparando sul Sud. Un regime disperato diventa non meno, ma più pericoloso, non solo per i poveri nordcoreani ma anche per la pace internazionale.