Contrordine marines, il nemico è di nuovo Assad
Dopo tre mesi di inconcludente campagna aerea contro il Califfato, Barack Obama ha di nuovo cambiato idea: il nemico torna a essere il presidente siriano Bashar Assad. Come l’anno scorso quando le pressioni di Mosca impedirono a Washington di ”punire” il regime siriano per l’impiego del gas nervino contro i civili.
Dopo tre mesi di inconcludente campagna aerea contro il Califfato, Barack Obama ha di nuovo cambiato idea: il nemico torna a essere il presidente siriano Bashar Assad. Come l’anno scorso quando solo le pressioni di Mosca impedirono a Washington di ”punire” il regime siriano, per l’impiego del gas nervino contro i civili, che in realtà era da attribuire ai ribelli salafiti filo-sauditi, che nessuno ha mai però punito per quel crimine. La rivisitazione della strategia statunitense in Medio Oriente continuare a lasciare sconcertati almeno a sentire le indiscrezioni filtrate dalla Cnn secondo cui Obama sarebbe pronto a cambiare strada per "distruggere" l'Is in Siria rimuovendo dal potere Bashar Assad, valutazione ardita considerato che l’Is e i qaedisti di al-Nusra sono nemici del presidente siriano.
Il presidente americano avrebbe chiesto ai suoi consiglieri di mettere a punto un nuovo piano, dopo aver riconosciuto di aver commesso un errore di calcolo sulla dottrina anti-Califfato, che inizialmente prevedeva di concentrarsi sull'Iraq (dove i raid aerei sono iniziati l'8 agosto) e solo dopo sulla Siria (dove le incursioni hanno preso il via il 23 settembre) ma trascurando gli sforzi per abbattere il regime di Damasco. Una valutazione bizzarra dal momento che l’intervento internazionale contro lo Stato Islamico ha preso il via solo dopo l’occupazione jihadista di Mosul e di ampie aree del Nord e dell’Ovest iracheno. Finché le forze di Abu Bakr al-Baghdadi combattevano in Siria contro Assad nessuna Coalizione internazionale è mai stata istituita a conferma che l’attacco all’Is si è esteso “controvoglia” ai territori siriani solo perché è impossibile sconfiggere il Califfato in Iraq senza bombardarlo anche nelle sue retrovie a Raqqa e in altre aree della Siria.
Secondo quanto riferisce la Cnn, nelle scorse settimane il presidente ha convocato quattro riunioni su questo argomento e tra le ipotesi discusse ci sarebbe l'imposizione di una no-fly zone al confine con la Turchia, come richiesto da Ankara che pretende di costituire una zona cuscinetto nel nord del territorio siriano, offrendo in cambio il via libera all’impiego del suo esercito: di fatto l’invasione almeno parziale della Siria. Allo stesso tempo l’obiettivo di Washington è accelerare il programma di reclutamento e addestramento della cosiddetta “opposizione siriana moderata” dell’ Esercito Siriano Libero (Esl), con 2 mila reclute da addestrare, con fondi Usa, a partire da inizio dicembre nella caserma turca di Kirsehi.
Peccato però che l’Esl sia stato recentemente cancellato dal campo di battaglia nel Nord dopo che le forze di al-Nusra hanno occupato l’area di Idlib convincendo le brigate dell’Esl a passare sotto le sue bandiere. I ribelli “moderati” mantengono un minimo di attività nel sud siriano, lungo il confine giordano ma anche lì sono minacciati da qaedisti di al-Nusra che controllano il confine israeliano sul Golan. Fonti dell'Amministrazione americana hanno riferito alla Cnn che per il momento non vi è una "revisione formale" della strategia in Siria, ma hanno confermato la preoccupazione su alcuni aspetti dell'offensiva contro il Califfato e la discussione per "ricalibrare" la missione.
In effetti, l’offensiva aerea non sta dando grandi risultati sia perché il nemico occulta sul terreno truppe e mezzi (solo un aereo su 4 trova bersagli per le sue bombe hanno riferito al New York Times fonti del Central Command statunitense), ma certo allargare il tiro alle forze di Assad, le uniche a contrastare sul campo le milizie del Califfato, non aiuterà la lotta al jihad. Il Pentagono sembra ancora una volta dissentire dalle strategie “ricalibrate” di Obama e il capo di Stato maggiore interforze, il generale Martin Dempsey, che ieri si è recato a Baghdad per valutare la situazione, si prepara a ribadire al presidente l’esigenza di inviare truppe americane per affiancare le forze irachene per riprendere il controllo di Mosul. «Non prevedo a questo punto di raccomandare che i soldati iracheni siano affiancati dalle nostre truppe nel combattere l'Is, ma stiamo sicuramente considerando l'ipotesi», ha detto Dempsey durante un'udienza alla Camera. La nuova strategia di Obama in Siria, se trovasse conferma, lascerebbe aperti molti interrogativi confermando che l’assoluta priorità di Washington anche in Medio Oriente è la destabilizzazione e il caos.
Per rovesciare Assad occorrerebbe innanzitutto privarlo del supporto politico, economico e militare di Mosca. Nei mesi scorsi i sauditi (che sembrano dettare l’agenda mediorientale di Obama) provarono a indurre Putin a lasciare andare a fondo Assad in cambio di una riduzione della produzione petrolifera di Riad che avrebbe lasciato il prezzo del greggio intorno ai 100 dollari garantendo ampie entrate all’economia russa. Putin rispose picche ma oggi, col petrolio sotto gli 80 dollari al barile a causa del massiccio export di “shale oil” statunitense e canadese i russi potrebbero essere tentati dall’accettare quell’intesa? Oltre agli interrogativi politici, far cadere Assad è un’operazione militarmente impossibile con le attuali forze in campo: Obama non vuole inviare truppe americane in Siria a combattere mentre le unità aeree disponibili oggi si sono rivelate insufficienti contro l’Is e lo sarebbero ancor di più in caso di guerra contro Assad. Occorrerebbero quindi più forze aeree Usa e alleate per una guerra convenzionale, con costi maggiori e perdite assicurate considerando che la difesa aerea di Assad è curata da personale russo e incute timore alle potenze occidentali.
Inoltre per annientare le forze di Assad (forze armate, milizie sciite, Hezbollah, pasdaran iraniani) lo sforzo aereo non sarebbe certo sufficiente. E poi chi lo condurrebbe un attacco terrestre? Gli eserciti arabi e turco, oppure le stesse forze ribelli che sono però costituite al 90 per cento dai qaedisti di al-Nusra e i jihadisti dello Stato Islamico? Anche il solo indebolimento delle forze governative siriane favorirebbe sul campo il successo dei due movimenti islamisti che, se occupassero lintera Siria provocherebbero il massacro o la fuga di milioni di sciiti alawiti, cristiani e drusi. Anche senza considerare il ruolo della Russia, la guerra ad Assad porterebbe all’intervento iraniano mentre il governo sciita iracheno, amico di Damasco considerato un alleato contro la minaccia comune del Califfato, uscirebbe probabilmente dalla Coalizione cacciando gli americani (con i quali è già ai ferri corti per lo scarso appoggio bellico contro l’IS) e appoggiandosi all’Iran che ha già sue truppe in territorio iracheno come in quello siriano.
In prospettiva quindi la “nuova strategia” di Obama otterrebbe il risultato di definire nitidamente un conflitto totale tra sciiti e sunniti in cui Washington si porrebbe ufficialmente a metà strada (contro Assad e contro il Califfato) ma di fatto dalla parte dei sunniti e soprattutto delle monarchie petrolifere del Golfo che hanno armato e finanziato l’IS e da un mese e mezzo fingono di fargli la guerra in Siria. Un conflitto apocalittico e nefasto che si allargherebbe a tutto il Medio Oriente senza risparmiare un confronto nel Golfo tra Riad e Teheran da cui uscirebbero rafforzati solo i jihadisti.