Contro le regole del nuovo totalitarismo democratico
La reazione del "sistema" alle prime politiche sull'immigrazione di Matteo Salvini, fa capire bene in che mondo viviamo. E' l'ideologia che comanda. E' un totalitarismo non tradizionale, che il drammaturgo Vaclav Havel aveva descritto in tempi non sospetti. Salvini ha violato le regole del gioco. Ed ora il gioco si farà duro.
Una decisione di grande buon senso: è proprio qui il problema. Il riferimento è alla deliberazione del nuovo Ministro degli Interni di difendere i confini del proprio paese da un’immigrazione scriteriata e clandestina. Eppure ne è venuto fuori un vespaio, con dichiarazioni, accuse, minacce che non possono non far sorridere talmente sono stupide.
Eppure questa situazione merita di essere compresa a fondo, perché è emblematica e rivelatrice del sistema totalitario nel quale viviamo, che ha delle caratteristiche ben specifiche, che lo differenziano dai totalitarismi “tradizionali”, e che permettono alle persone di vivere in una percezione di libertà. E’ quello che Vaclav Havel aveva battezzato come “post-totalitarismo”, non perché venisse semplicemente dopo il sistemi totalitari classici, ma perché ne è una forma evoluta; una specie di totalitarismo 2.0. Ed è proprio al drammaturgo ceco Havel, divenuto poi primo presidente della Repubblica Ceca, al suo libro Il potere dei senza potere, scritto nel 1978, in pieno regime sovietico, che attingiamo per una lettura un po’ più profonda degli eventi che stiamo vivendo in questi giorni.
Il cemento che compagina il sistema post-totalitario, la sua vera linfa è l’ideologia, che «agli erranti offre una “dimora” accessibile, basta accettarla e immediatamente tutto è di nuovo chiaro; la vita acquista significato e nel suo orizzonte si dileguano il mistero, gli interrogativi, l’inquietudine e la solitudine. Per questa modica “dimora” l’uomo in genere paga un alto prezzo: l’abdicazione alla propria ragione, alla coscienza e alla responsabilità». Eppure questa abdicazione è vissuta come se fosse un atto di vera libertà. L’ideologia è l’indispensabile «alibi che va bene per tutti», è la necessaria «illusione di avere un’identità, una dignità e una moralità, e così gli [all’uomo] rende facile non averle… La funzione originaria, da alibi, dell’ideologia è allora quella di fornire all’uomo, in quanto vittima e sostegno del sistema post-totalitario, l’illusione di essere in sintonia con l’ordine umano e con l’ordine dell’universo». L’uomo impara a vivere “naturalmente” nel mondo della menzogna, come affermava la voce fuoricampo nel film The Truman Show: «Anche se il mondo in cui si muove è in effetti, per certi versi fittizio, simulato, non troverete nulla in Truman che non sia veritiero… è la sua vita». Questo mondo interamente artefatto, che simula la realtà, ma non è la realtà, è in fondo un mondo comodo, utile, di cui si ha bisogno, non solo per la sussistenza economica, ma per la necessità che ogni uomo ha di coerenza interna. In effetti, dice Havel, «il sistema è al servizio dell’uomo», ma – aggiunge - «solo nella misura in cui è indispensabile perché l’uomo sia al servizio del sistema».
Havel riassume l’ideologia come «vita nella menzogna», una menzogna che dev’essere sistematica e coerente. Non conta più la verità, cioè il rapporto con la realtà, ma la coerenza interna del sistema ideologico, che diventa perciò vitale. Questa coerenza sussiste e si alimenta della ripetizione di rituali, di narrazioni espresse con un «linguaggio formale privo di contatto semantico con la realtà e trasformato in un sistema di segnali rituali che lo costituiscono come pseudorealtà». E’ ripetendo questi gesti, queste parole che si accetta «l’apparenza come realtà». Acconsentendo di entrare in questo gioco, la persona stessa è diventata «un giocatore, ha consentito che il gioco proseguisse, procedesse, continuasse ad essere», anche se magari tra i giocatori c’è chi non è del tutto d’accordo con questo gioco. Havel fa notare che il grande gioco della menzogna non obbliga l’uomo «a credere a tutte queste mistificazioni, ma deve comportarsi come se ci credesse, o per lo meno deve sopportarle in silenzio… Non è necessario che accetti la menzogna, basta che abbia accettato la vita con essa e in essa. Già così conferma il sistema, lo realizza, lo fa, lo è».
Questo perpetuarsi del rituale, grazie a gesti, parole, azioni che le persone accettano di assumere e trasmettere, persone che sono nel contempo «vittime e strumento del sistema», è la condizione perché il sistema diventi anonimo ed autorealizzantesi, non più dipendente dal potere. Il sistema di potere che ha dato il via al gioco, diventa ora un servo della vita nella menzogna: «la tesi e quindi l’ideologia cessano di essere al loro servizio; come se l’ideologia “espropriasse il potere” del potere e diventasse essa stessa il dittatore. Sembra che siano la tesi, il rituale, l’ideologia a decidere degli uomini e non viceversa».
Perciò quando qualcuno entra nelle gerarchie di potere «e cerca di far valere la propria volontà, prima o poi l’automatismo finisce per prevalere con la sua enorme forza di conservazione ed egli o viene espulso dalla struttura del potere come un corpo estraneo oppure è costretto a rinunciare a poco a poco alla propria individualità, a farsi riassorbire dall’automatismo e a diventarne un servo non diversamente dai suoi predecessori e da coloro che verranno dopo». Bene. Partiamo da questa conclusione e risaliamo alle premesse dell’analisi di Havel. Quando qualcuno intende vivere nella verità, uscendo dalla vita nella menzogna, la prima cosa da fare è ignorarlo. Tout simplement. Ciò che non appare, non esiste, e quindi può essere tranquillamente tollerato. Ergo, nessuno spazio mediatico, o spazi talmente irrisori da non incidere affatto. Se però qualcuno inizia ad essere un po’ troppo presente sulla scena e a rompere le regole del gioco, allora scattano tutta una serie di reazioni progressive e proporzionali al pericolo: se non si riesce più a ignorare qualcosa o qualcuno, è fondamentale dare una narrazione valutativa di quell’episodio o personaggio, che sia coerente con il sistema. Bisogna ripetere usque ad nauseam, per esempio, che i genitori di Alfie sono egoisti, mentre i giudici hanno ricercato il suo “best interest”. Così si ha un effetto mantra che seda eventuali risvegli di coscienza e fa rientrare tutto nel rituale.
Il problema è che quando il “dissidente” inizia ad occupare un po’ troppo la scena, per esempio diventando Ministro degli Interni dello Stato italiano, allora la sedazione non basta più. Tornate a vedere il già menzionato The Truman Show e fate attenzione a tutte le strategie che il sistema mette in atto quando Truman capisce la falsità in cui è inserito e cerca di uscirne. Bisogna ricorrere a mezzi ben più violenti, e non parlo solo della consueta violenza verbale che da giorni viene vomitata da giornalisti, politici italiani e stranieri, economisti, saggisti e da tutta la fauna del mainstream. Mi riferisco anche alla necessità di produrre eventi che confermino la vita nella menzogna e la sua narrazione. Sarà necessario perciò provocare sbarchi sempre più numerosi, mettendo in risalto ogni volta la tragedia umanitaria e la totale insensibilità del Ministro fascista e razzista, sperando magari che ci scappi il morto. Non mi stupirei se, qualora Salvini tenesse duro, l’Italia si dovesse trovare alle prese con attacchi terroristici, giusto per dimostrare l’incapacità del Ministro degli Interni di far fronte alla sicurezza interna del Paese, e chiederne così a gran voce le dimissioni. O magari indurlo a miglio consiglio. L’uomo indipendente dev’essere normalizzato o espulso. In qualsiasi modo.
Il sistema reagisce per la sua sopravvivenza, e lo fa non in astratto, ma tramite quelle stesse persone che ne sono vittime e strumento. La questione immigrazione è particolarmente coinvolgente e non dev’essere sottovalutata, perché essa si è inserita, come ogni tentacolo dell’ideologia, dentro l’uomo, diventando una parte di lui, una parte fondamentale per forgiare la propria identità e per foraggiare la propria illusione di bontà, di libertà. Detto altrimenti: tutta la balla dell’immigrazione umanitaria non si regge solo sulla falsificazione mediatica, ma anche sul fatto che noi siamo stati fatti entrare come “protagonisti” in questa dinamica, e non vogliamo rinunciare a recitare la parte dei buoni. Esempio? Vedere le immagini di un bimbo “salvato” in mare dalle ONG e provvedere ad “aiutarlo”, facendo una donazione a SOS Mediteranee, ci coinvolge in modo particolare, ci fa sentire a posto; e quando qualcuno respinge una di questa associazioni, o la accusa di fare soldi sulla pelle dei migranti, la nostra reazione viscerale è quella di difendere “i difensori dei deboli”, con cui noi stessi ci siamo coinvolti, e dare addosso al lupo cattivo. Questo avviene non solo a livello personale, ma anche a livello sociale. L’aiuto al povero migrante – che ovviamente non avviene mai direttamente, ma per interposte associazioni -conferma e rafforza il sistema ideologico che ci tiene in piedi e ci illude che noi sì che siamo solidali, accoglienti, open (Society). Aiutare i poveri migranti, accoglierli come società, è funzionale ad un pareggio di bilancio della coscienza a fronte dei milioni di bambini morti ammazzati nel grembo delle madri con il consenso o l’indifferenza dei più. Ecco perché si può tranquillamente mandare in giro la foto del bimbo siriano trovato morto sulla spiaggia turca, mentre invece la gigantografia di un bimbo vivo nel grembo di una madre dev’essere tolta repentinamente dalle strade di Roma.
Salvini, sulla questione immigrazione, ha violato le regole del gioco, ha creato una fessura nel cielo di cartapesta del mondo ideologico, ha mostrato che il re è nudo. La grande guerra è solo iniziata e non bisogna farsi illusioni: continuerà fino a quando vi sia qualcuno che viva nella verità e più questo qualcuno può essere influente e maggiore sarà la violenza: «se il fondamento del sistema – spiega Havel – è la vita nella menzogna non c’è da stupirsi che la vita nella verità costituisca la sua principale minaccia. Ed è per questo che va punita più duramente di qualsiasi altra cosa». Ma il fenomeno Salvini è particolarmente interessante, perché è vero che la vita nella verità si sta esprimendo a livello politico, ma essa è sorretta dal mondo pre-politico, cioè da quel mondo che è il cuore di ogni singolo uomo e tutte quelle associazioni intermedie, formali ed informali, a partire dalla famiglia, quel mondo in penombra nel quale si combatte ogni giorno la grande battaglia tra la vita nella verità e la vita nella menzogna. E’ soprattutto qui che bisogna continuare a lavorare.