Contraccezione, Bettazzi non ricorda il Concilio
Non è affatto vero che durante il Concilio non si parlò di contraccezione, come invece sostenuto dal vescovo Bettazzi ad Avvenire. Tra claque, pressioni e forzature Paolo VI dovette resistere alle spinte aperturiste che poi si imposero nel concilio mediartico.
Continua con interventi e interviste il tentativo di sterilizzazione dell’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione, di cui l’enciclica del beato Paolo VI Humanae vitae è parte essenziale. La tappa più recente del processo demolitorio è un’intervista di Avvenire a monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea. Un’intervista, quella fatta da Luciano Moia che non può sorprendere. Il solo fatto di avere interpellato il personaggio è eloquente e indicativo. La presentazione del vescovo emerito di Ivrea infatti come ultimo testimone del Concilio Vaticano II è impropria, dato al Concilio c’era anche un certo Joseph Ratzinger. Quanto al contenuto dell’intervista vi si ravvisa una pesante deformazione dei fatti, frutto di una memoria inferma o di una lettura ideologica degli avvenimenti del tempo. Sicuramente il tutto è permeato di quello “spirito del concilio” che ha messo da parte i testi dell’Assise per creare un’agenda che non era riuscita ad imporsi tra i padri conciliari.
Non è assolutamente vero ad esempio, come sostenuto, che al Concilio non fu possibile parlare di contraccezione. Ci fu invece una vera e propria battaglia attorno al tema della contraccezione che vide contrapporsi teologi come il francescano Ermenegildo Lio e i gesuiti John Ford e Sebastiaan Tromp, fedeli alla dottrina di sempre sulla contraccezione a teologi che intendevano renderla lecita come il redentorista Häring e il canonico de Locht, per fare qualche nome. Della contraccezione si trattava nell’annesso allo schema XIII che poi sarebbe diventato la Gaudium et spes. Di contraccezione si parla anche nei testi finali del concilio. Al capitolo 51 della costituzione conciliare Gaudium et spes si afferma che i fedeli “non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina”. In nota si rimanda all’enciclica di Pio XI Casti connubi dove la contraccezione è definita “intrinsece inhonestum”, un male intrinseco, dunque un’azione che è sempre un male in qualsiasi circostanza e con qualsiasi intenzione venga attuata.
Dal momento che era in corso uno studio dettato dalla particolarità della pillola, in quanto contraccettivo che presentava come novità quella di non alterare esteriormente l’atto sessuale e che attraverso il meccanismo antiovulatorio poteva mimare l’anovularietà fisiologica, i padri conciliari nella stessa nota demandarono la decisione sulle decisioni concrete al Sommo Pontefice. Questi si è espresso ufficialmente con Humanae vitae, con Familiaris consortio, Evangelim vitae e Caritas in veritate. Partita finita. Ma si sa, c’è sempre chi vorrebbe il terzo tempo supplementare la cui fine dovrebbe scoccare appena è passato in vantaggio.
Errato poi, come invece ha sostenuto Bettazzi dire che il controllo delle nascite era un tema che Paolo VI si era riservato. La decisione del Papa di avocare a sé la questione avvenne solo a partire dal 23 ottobre 1964, durante la terza sessione conciliare, quando il vescovo di Livorno Emilio Guano, che era il relatore dello schema XIII, lo comunicò all’assemblea. Tuttavia anche dopo questo passaggio la contraccezione continuò ad essere ben presente nel dibattito spostandosi sul confronto tra i fini del matrimonio che secondo la dottrina classica identificava nel bonum prolis il fine primario. Ma ancora il 29 marzo dell’anno seguente il cardinale canadese Paul-Emile Léger, l’olandese cardinale Alfrink, il patriarca Maximos IV Saigh, il vescovo di Magonza Reuss parlarono in favore della limitazione delle nascite, ma soprattutto fece scalpore l’intervento del cardinale belga Suenens che perorò il ribaltamento della dottrina invitando l’assise a non fare della contraccezione un nuovo caso Galileo. Fu un discorso che irritò il Papa e costrinse il primate belga ad una parziale ritrattazione la settimana seguente. Ad essi risposero difendendo la dottrina i cardinali Ruffini e Brown, l’arcivescovo irlandese William Conway, lo spagnolo Hervas y Bener ed in particolare il prefetto del S. Uffizio, il cardinale Ottaviani. Questi, undicesimo di dodici figli, parlò del proprio padre, un operaio di un forno, che non dubitò mai della Provvidenza.
Proprio alla questione dei fini del matrimonio fa un accenno monsignor Bettazzi, ma vi si riferisce in modo abusivo, sostenendo che il concilio Vaticano II avrebbe affermato che al primo posto c’è l’amore degli sposi e poi c’è la procreazione. Da nessuna parte dei testi conciliari però è contenuta una tale affermazione. Piuttosto in Gaudium et spes non si fa riferimento ad una gerarchia dei fini del matrimonio privilegiando così lo sviluppo della loro inscindibilità già presente in un discorso di papa Pio XII alla Sacra Rota del 1941.
Questo aspetto è importante perché se si afferma che nel matrimonio l’amore dei coniugi viene prima della procreazione, allora è automatico potere affermare che i figli sono un bene sacrificabile all’amore dei coniugi. Per coerenza però si dovrebbe paradossalmente ammettere che anche la fedeltà, in alcune circostanze da sottoporre a discernimento, potrebbe essere un bene sacrificabile se volto a rinvigorire un amore gravato dalla monotonia. Ma è evidente che il Concilio non afferma affatto quanto dice monsignor Bettazzi. Piuttosto al n. 50 di Gaudium et spes afferma che non solo il matrimonio, ma anche l’amore coniugale è ordinato per natura alla procreazione e all’educazione dei figli. Quella di contrapporre amore e procreazione in una sorta di contrasto di doveri è un’argomentazione logora dei sostenitori della contraccezione. È stato detto che “è nell’amore che si genera ed è nella generazione che si ama”. Affermazione alla quale San Giovanni Paolo II ha dato una potente base teologica attraverso le 139 catechesi sull’amore umano.
Inutile poi che Monsignor Bettazzi citi nell’intervista Giovanni XXIII, anzi: farebbe bene a rileggere la Mater et magistra in cui il pontefice definiva “degradante” la violazione dell’azione creatrice di Dio.
Di contraccezione dunque, non soltanto si parlò al Concilio, ma realtà esterne al Vaticano II furono usate per tentare di orientare le decisioni. Il discorso del cardinale Suenens ricevette scroscianti applausi che furono riportati dagli inviati dei giornali come lo spirito che soffiava sul concilio. Nella lettera che mons. Helder Camara scrisse la stessa notte da Roma rivela che aveva organizzato la claque per assicurare l’applauso ed un intervento dei brasiliani in appoggio richiesto ed agevolato dallo stesso Suenens in qualità di moderatore del Concilio che così fungeva contemporaneamente da arbitro e giocatore in campo. Lo stesso Suenens, dopo avere parlato a favore della contraccezione con Paolo VI, chiese ancora a Camara di “coordinare un bombardamento di lettere al papa”. A questi mezzi i paladini della contraccezione si erano ridotti. È tutto nero su bianco.
In conclusione: se per Concilio si ha in mente un prodotto dei propri desideri personali che non si è mai verificato, diventa facile cadere nell’ermeneutica della discontinuità e della rottura deplorata da papa Benedetto XVI. Il beato Paolo VI condusse i tre quarti del concilio, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano al Concilio, affermare che abbiano congelato il concilio è né più né meno un’accusa d’infedeltà al mandato di servire la Chiesa di Cristo attraverso il governo petrino ed è stupefacente che l’organo della Conferenza Episcopale Italiana si faccia latore di tali accuse false e denigratorie verso tre pontefici.
L'autore ha scritto per le Edizioni Studio Domenicano I veleni della contraccezione