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ARABIA SAUDITA

Contagio dall'Iran: stop ai pellegrinaggi alla Mecca e Medina

Il coronavirus sta cambiando abitudini e tradizioni secolari. L’Arabia Saudita ha deciso improvvisamente di non concedere più visti di ingresso ai pellegrini diretti alla Mecca e a Medina. Temendo soprattutto il contagio che arriva dall'Iran, uno dei Paesi più colpiti. E uno di quelli che hanno gestito peggio la nuova crisi. 

Esteri 28_02_2020
Pellegrini alla Mecca

Il coronavirus sta cambiando abitudini e tradizioni secolari ad ogni latitudine. Con una decisione di rara gravità nel mondo islamico, l’Arabia Saudita ha deciso improvvisamente di non concedere più visti di ingresso ai pellegrini diretti alla Mecca e a Medina.

La notizia è piombata su chi era già in viaggio come un fulmine a ciel sereno, al punto che si è verificata una "confusione estrema" all’aeroporto del Cairo, uno degli scali principali del Medio Oriente. Le autorità egiziane hanno segnalato una “estrema collera” fra le migliaia di passeggeri in attesa dei voli. Secondo testimoni che hanno parlato all'agenzia Associated Press mantenendo l’anonimato, il servizio di sicurezza locale ha dovuto chiamare rinforzi nel timore che la protesta degenerasse, una volta che è stata diffusa la notizia dello stop ai pellegrinaggi. Anche in Turchia, Pakistan e Indonesia, gli aeroporti hanno dovuto respingere migliaia di fedeli musulmani che volevano imbarcarsi sui loro aerei regolarmente prenotati.

Questa decisione drammatica e improvvisa è stata presa dai sauditi soprattutto per timore del contagio dall’Iran, la nazione mediorientale più colpita dal virus. Nonché il regime che lo ha gestito con la minor cautela e la peggior censura. L’emblema dell’epidemia di Covid-19 in Iran è diventato il vice-ministro della Sanità, Iraj Harirchi: mentre teneva una conferenza stampa per rassicurare il pubblico sulla veridicità dei dati sul basso numero di contagi, incominciava a stare visibilmente male, sudando reggendosi a stento in piedi. La sera stessa gli sarebbe stato diagnosticato il coronavirus. In un messaggio video mandato col suo cellulare si è mostrato sicuro della vittoria nella lotta (personale e nazionale) contro il nuovo male. Ma intanto il danno era fatto. Il virus sta colpendo anche altri alti vertici dello Stato, fra cui la vicepresidente Masoumeh Ebtekar, risultata positiva al test il mercoledì. Il numero di contagi, ammesso dal regime, è di 254 al momento in cui questo articolo va online. I morti ammessi dal regime sono 26. Ma ci sono ancora dubbi sulla veridicità di questi dati. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, approfitta dell’ennesima occasione per denunciare il regime degli ayatollah, esprimendo viva preoccupazione che l’Iran stia tuttora nascondendo “dati di importanza vitale”.

Le autorità religiose iraniane si sono rifiutate di chiudere i principali santuari e luoghi di pellegrinaggio. I luoghi sacri di Qom e Mashhad restano tuttora aperti ai pellegrini provenienti dal mondo sciita, soprattutto dall’Iraq e dal Libano. Inoltre, le autorità civili iraniane non hanno applicato la quarantena nelle zone in cui si è diffusa l’epidemia. Anche negli ultimi giorni hanno dichiarato di non credere alla quarantena, definendola “un metodo antiquato”. Risultato: praticamente tutti i casi di coronavirus diagnosticati nel Medio Oriente sono di persone contagiate mentre erano in trasferta in Iran. L’Arabia Saudita, con la sua numerosa minoranza sciita nella regione del Golfo Persico, non è affatto esente dal problema, anche se non dichiara alcun caso (per ora).

Per questo motivo, Riad ha deciso di chiudere a tutti, sunniti che sciiti che siano, per evitare che il grande e continuo flusso di pellegrini nei luoghi più sacri dell’islam possa diffondere il contagio su scala globale. Non sarebbe la prima volta: nel 1821, un’epidemia di colera ha ucciso circa 20mila pellegrini musulmani. Una seconda epidemia di colera, nel 1865, ne ha uccisi 15mila e si è diffusa in tutto il mondo (nonostante i viaggi, allora, fossero di settimane e mesi, non di ore). L’emergenza più recente riguarda l’epidemia di Mers, un altro coronavirus nato e diffuso proprio in Medio Oriente nel 2012. In quella occasione, le misure di emergenza saudite sono state sufficienti a evitare morti durante il pellegrinaggio alla Mecca e a Medina. In generale, in questi decenni, non viene concesso il visto di accesso ai fedeli che arrivano da Paesi in cui non è stato debellato il virus Ebola.

I sauditi non hanno annunciato per quanto durerà il divieto, con gran preoccupazione dei musulmani che attendono il Ramadan (in aprile) e lo Hajj, il grande pellegrinaggio annuale che sarà in luglio. E si attendono le inevitabili ripercussioni politiche, oltre che religiose, visto che le misure saudite sono state adottate soprattutto a causa dell’Iran, in un periodo in cui la monarchia saudita e la Repubblica Islamica iraniana sono ai ferri corti (a dir poco). Sicuramente questo è un tassello in più nel muro di isolamento mediorientale che sta circondando il regime degli ayatollah e un’ulteriore fonte di attrito nel Golfo.