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OMICIDIO DI ATTANASIO

Congo, l'ombra dei jihadisti sull'uccisione di Attanasio

L’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, è stato ucciso ieri assieme alla guardia del corpo Vittorio Iacovacci in un convoglio del Programma alimentare Onu. Nessuna rivendicazione, ma è una delle aree più pericolose del mondo, dove operano numerosi gruppi armati violentissimi, fra cui le Adf a prevalenza jihadista. 

Esteri 23_02_2021
Congo, caschi blu sul luogo dell'attentato

L’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, è stato ucciso la mattina del 22 febbraio quando il convoglio del Programma alimentare mondiale (Pam) con cui viaggiava insieme alla sua guardia del corpo Vittorio Iacovacci e a due altre persone, è stato attaccato da sei uomini armati. È successo 15 chilometri a nord di Goma, la capitale del Nord Kivu, una delle tre province orientali – le altre sono l’Ituri e il Sud Kivu – confinanti con Uganda e Rwanda. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, si è trattato di un tentativo di sequestro finito male. Il governatore della provincia, Carly Nanzu Kasivita, ha raccontato all’agenzia di stampa Reuters che gli aggressori hanno fermato il convoglio composto da due automezzi sparando colpi di avvertimento. Poi hanno ucciso l’autista congolese, che lavorava alle dipendenze del Pam, e stavano portando l’ambasciatore, la sua guardia del corpo e gli altri due passeggeri nella foresta quando le guardie forestali del vicino parco nazionale dei Virunga sono sopraggiunti e hanno aperto il fuoco nel tentativo di liberare gli ostaggi. Gli aggressori allora si sono dati alla fuga, ma prima hanno ucciso l’ambasciatore Attanasio e la sua guardia del corpo e ferito i loro due compagni di viaggio.

Il Pam ha spiegato che il nostro ambasciatore faceva parte di una delegazione diretta a Rutshuru, un centro minerario lungo la strada che porta al parco dei Virunga, per visitare un programma alimentare scolastico. Il portavoce dell’agenzia delle Nazioni Unite ha riferito che la strada era stata precedentemente controllata per verificare che fosse possibile viaggiare senza scorta. Ritenerla sicura è stato un errore fatale.

Le province orientali del Congo sono una delle regioni più instabili e insicure di tutto il continente africano. Da circa 25 anni decine di gruppi armati, alcuni dei quali formatisi oltre confine in Uganda, Rwanda, Burundi e Repubblica Centrafricana negli anni 90 del secolo scorso, si contendono territori e risorse minerarie. Sono feroci oltre ogni immaginazione con i civili, spietati al punto di non risparmiare neanche le agenzie Onu e le organizzazioni non governative, che assistono la popolazione sostituendosi alle istituzioni governative quasi del tutto assenti. Sono gruppi armati e addestrati tanto da poter sfidare l’esercito nazionale e i caschi blu della Monusco, la missione Onu di peacekeeping forte di oltre 17mila unità, che dal 1999, e fino al 2010 con il nome di Monuc, esegue con risultati peraltro del tutto insoddisfacenti il mandato di proteggere i civili e il personale umanitario. 

Per il momento non si hanno indicazioni sull’identità degli aggressori, che sono riusciti a far perdere le loro tracce, e non ci sono ancora state rivendicazioni. L’attacco potrebbe essere opera delle Allied Democratic Forces, il gruppo armato da circa tre anni forse il più attivo e violento nella regione, responsabile della morte di centinaia di persone. L’Adf ha le sue basi nel Nord Kivu, ma si è costituito in Uganda nel 1995, nato dall’unione di elementi radicali della setta islamica Tabliq e di combattenti del movimento secessionista Rwenzururu. È compreso nell’elenco dei gruppi armati jihadisti. Benché non ci sia conferma di rapporti tra lo Stato Islamico e l’Adf, l’Isis nell’aprile del 2019 ha rivendicato un loro attacco come la sua prima azione terroristica nel paese, proclamando il Congo “Provincia centro africana del Califfato”. L’ultima operazione degli Adf risale al 14 febbraio quando, nella provincia dell’Ituri, hanno attaccato un villaggio uccidendo 14 civili, hanno incendiato la chiesa dove essendo domenica si trovavano molti fedeli e hanno saccheggiato case e negozi. Molto attivi nell’area sono anche i gruppi Mai-Mai, uno dei quali il 10 gennaio ha teso un’imboscata ai ranger che stavano ispezionando a piedi una zona dei Virunga uccidendone sei.

Per l’estrema pericolosità della regione, normalmente i convogli umanitari che viaggiano nell’est della Repubblica democratica del Congo, sono pesantemente scortati dalle truppe della Monusco. Nonostante le assicurazioni del Pam, il livello di protezione del convoglio desta interrogativi.

Luca Attanasio è il primo ambasciatore assassinato nella Repubblica democratica del Congo dopo l’ambasciatore francese Philippe Bernard, ucciso nel 1997 durante le rivolte scoppiate nella capitale Kinshasa. Era nato a Saronno (Varese) il 23 maggio 1977. Nel 2001 si era laureato in Economia aziendale alla Bocconi di Milano e due anni dopo aveva iniziato la carriera diplomatica. In Africa era arrivato nel 2010, addetto al consolato generale di Casablanca, Marocco. Nel 2014 era stato trasferito in Nigeria e nel 2017 era stato nominato incaricato d’affari a Kinshasa e confermato nel 2019 nel ruolo di Incaricato d’Affari con Lettere. Era sposato dal 2015 con Zakia Seddiki, marocchina, conosciuta durante la sua permanenza a Casablanca. Dal matrimonio sono nate tre figlie. Zakia Seddiki nel 2017 ha fondato a Kinshasa l’ong Mama Sofia di cui il marito era presidente onorario.

Vittorio Iacovacci aveva 30 anni. Prestava servizio presso l’ambasciata italiana a Kinshasa dal settembre del 2020. Era nato a Sonnino (Latina). Era effettivo del 13° Reggimento carabinieri Friuli Venezia Giulia con sede a Gorizia. Aveva prestato servizio anche nella Folgore. La sua missione in Congo si sarebbe conclusa a breve e sarebbe rientrato in Italia a marzo. Era fidanzato e progettava di sposarsi la prossima estate.