Congo, guerra estesa. Il Rwanda scende in campo ma non lo ammette
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La guerra in Congo non è solo un conflitto civile, ma internazionale. A fianco dei guerriglieri di M23, che hanno conquistato Goma, ci sono soldati del vicino Rwanda. Che tuttavia non ammette e rifiuta l'accusa di Stato aggressore.

Una nuova crisi umanitaria si è aperta in Africa con la presa di Goma da parte del gruppo armato M23. Dalla città, capitale del Nord Kivu, una delle tre province orientali della Repubblica democratica del Congo, arrivano immagini di devastazione e morte: macerie, edifici incendiati, tanti cadaveri insepolti per le strade. Decine di migliaia di persone erano scappate nei mesi scorsi, mano a mano che i ribelli avanzavano verso la città. Tante altre però vi si erano rifugiate, in fuga dai combattimenti per la conquista delle città vicine. Non si sa neanche esattamente quanti siano gli abitanti attuali: più di un milione sicuramente, forse due milioni. Che cosa ne sarà di loro dipende dai prossimi sviluppi.
Nel 2012 gli M23 avevano già occupato Goma, ma vi erano rimasti solo per qualche giorno. Il Rwanda allora aveva accettato di smettere di sostenerli militarmente. Adesso la situazione è più complessa, se è vero, come sostengono le Nazioni Unite, che oltre ai combattenti M23 in città ci sono da 3 a 4mila soldati Rwandesi. Quello in atto non è uno scontro tra un governo e uno gruppo ribelle. È guerra tra due paesi: uno dei quali, il Rwanda, ben visto, l’altro, il Congo, assai screditato a livello internazionale.
Il presidente del Rwanda, Paul Kagame, un Tutsi, è alla guida del paese dal 1994, quando ha messo fine al genocidio dei Tutsi, e lo scorso agosto ha iniziato il suo quarto mandato. Anno dopo anno ha assicurato al paese stabilità sociale ed economica. Ha chiuso il 2024 con un tasso di crescita economica dell’8,3% ed è prevista una crescita del 7% per quest’anno. Il Fondo monetario internazionale a dicembre ha concesso al paese fondi per quasi 182 milioni di dollari: «l’economia del Rwanda – è stata la motivazione – ha mostrato resilienza, una solida crescita nei settori chiave, una buona ripresa della produzione agricola. L’inflazione inoltre è stabile e riflette efficaci azioni di politica monetaria». Kagame non manca di criticare l’Occidente, ma ha stabilito solide alleanze con alcuni paesi, tra cui la Gran Bretagna per la quale aveva accettato di ospitare i richiedenti asilo che attraversano il canale della Manica. L’opposizione però sostiene che quello di Kagame è un regime autoritario. Cita come prova del deficit di democrazia, tra l’altro, i suoi risultati elettorali. Ha sempre vinto con più del 90% dei voti e quest’anno addirittura con il 99%.
Anche in Congo il Prodotto interno lordo cresce, ma il paese è un esempio di come la crescita economica non si traduca automaticamente in sviluppo, è l’idealtipo dell’ “Africa che rifiuta lo sviluppo” descritta dalla sociologa camerunese Axelle Kabou. Il paese è stato definito uno “scandalo geologico” per le sue innumerevoli e inestimabili risorse minerarie. Lo scandalo vero è la corruzione sistemica, imperante fin dall’epoca (1965-1997) del dittatore Sese Seko Mobutu che diceva fosse ovvio per un presidente arricchirsi a spese del paese. Lo scandalo è lo Stato fallito che declina il termine “democrazia” solo nel nome, cambiato da Zaire a Repubblica democratica del Congo dal suo successore, Laurent Désiré Kabila, nel 1997. Chi governa ruba e lascia che rubino tutti, cittadini e stranieri. Le infrastrutture sono in condizioni tali che spostamenti anche di poche centinaia di chilometri richiedono persino settimane. Nessuno, salvo le Ong e le missioni straniere, si cura della salute della popolazione, le epidemie sono così frequenti da non essere più considerate un'emergenza. A tutti – militari governativi, gruppi armati, caschi blu – è consentito di infierire sulla popolazione, soprattutto su donne e bambini, infliggendo loro ogni sorta di abuso.
Il Rwanda rifiuta l’accusa di Stato aggressore. Kagame afferma di difendere i Tutsi congolesi e il proprio paese dagli Hutu organizzati in gruppi armati con il sostegno del governo congolese. Tanto meno ammette di contrabbandare grandi quantità di minerali preziosi sottratte al Congo. Ma lo scorso anno il Rwanda ha esportato minerali per oltre due miliardi di dollari, il doppio rispetto a due anni prima. Molti pensano che una buona parte di quei minerali siano stati contrabbandati dal Congo. Tra chi ne è certo c’è il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo metropolita di Kinshasa, la capitale del Congo. È tra coloro che disapprovano l’accordo di cooperazione mineraria tra Unione Europea e Rwanda, firmato lo scorso febbraio. Per l’UE questa partnership serve a «a garantire un approvvigionamento sostenibile di materie prime, precondizione essenziale per raggiungere obiettivi di energia verde e pulita» e a «promuovere uno sfruttamento sostenibile delle ricchezze minerarie rwandesi». Per il Congo vuol dire farsi complici del saccheggio delle sue risorse.
Il presidente Kagame la mattina del 29 gennaio ha dichiarato di essere d’accordo con gli Stati Uniti sulla necessità di un cessate il fuoco. Però non ha minimamente accennato a voler ritirare le proprie truppe e gli M23 da Goma. Al contrario, notizia dell’ultima ora, una parte dei combattenti M23 si stanno spostando verso sud, in direzione di Bukavu, la capitale della provincia del Sud Kivu. Se non verranno fermati potrebbero arrivare a controllare il più vasto territorio mai conquistato da una formazione antigovernativa. Altra notizia dell’ultima ora è che continua e cresce l’afflusso, alla frontiera con Rwanda, di civili e soldati congolesi che chiedono di entrare nel paese. In attesa ai posti di controllo di frontiera sono comparsi anche decine di bianchi, alcuni in tuta mimetica. Molti hanno passaporto rumeno. Secondo fonti Onu e rwandesi sono dei mercenari che erano stati assoldati dal governo congolese.