Congo e Guinea, l'Ebola è tornato
Dal 3 febbraio l’Ebola è tornato a colpire la Repubblica democratica del Congo: la prima vittima è stata una donna di 42 anni, deceduta dopo due giorni. Intanto, il virus è ricomparso anche in Guinea. L’Oms ha allertato i paesi più a rischio, dove l’Ebola, che ha una letalità variabile tra il 25 e il 90%, fa ben più paura del Covid. Ma rispetto al passato c'è più disponibilità di vaccini.
Sono trascorsi solo tre mesi da quando lo scorso novembre le autorità sanitarie della Repubblica democratica del Congo hanno dichiarato la fine della seconda epidemia di Ebola, in tre anni, nella provincia occidentale dell’Equatore (la precedente risale al 2018) ed ecco che la malattia è ricomparsa il 3 febbraio nel Nord Kivu, la provincia orientale che, insieme all’Ituri con cui confina, ne era stata colpita dall’agosto 2018 al giugno 2020, con un grave bilancio di 2.287 morti.
La prima vittima del nuovo focolaio è stata una donna di 42 anni, deceduta dopo soltanto due giorni dal manifestarsi dei primi sintomi. Era stata ricoverata in un ospedale di Butembo, una città di oltre 350.000 abitanti, dove è stato subito avviato il protocollo previsto dall’Organizzazione mondiale della sanità per circoscrivere la malattia: il tracciamento delle persone entrate in contatto con l’ammalata e la sanificazione dei luoghi in cui la donna è vissuta e si è recata nei 21 giorni di possibile incubazione. L’Oms ha individuato in poche ore più di 70 persone che potevano essere state contagiate. Sei giorni dopo è morta un’altra donna colpita dal virus. Il giorno successivo, l’11 febbraio, sono stati somministrati i primi vaccini, a partire dal personale sanitario dell’ambulatorio in cui si è registrato il primo caso, attingendo a una scorta di emergenza di 8.000 dosi di cui dispone il paese. L’Oms segue costantemente l’evolversi della situazione. L’ultimo bollettino medico risale al 23 febbraio e riporta sette casi accertati e quattro morti.
Nel frattempo, il virus Ebola è ricomparso anche in Guinea Conakry. Il 14 febbraio il governo guineano ha annunciato la morte di tre persone, nei giorni successivi salite a cinque, e l’accertamento di dieci casi sospetti. Molto grave è il fatto che, delle 125 persone che risultavano essere entrate in contatto con gli ammalati il 16 febbraio, 115 risiedono nella città sudorientale di Nzérékoré, che ha oltre 200.000 abitanti, e dieci nella capitale Conakry, che ha oltre 1,6 milioni di abitanti e dista da Nzérékoré quasi 900 chilometri.
È in Guinea che nel dicembre del 2013 è iniziata la più letale epidemia di Ebola mai registrata, conclusasi nel 2016 con un bilancio di 11.323 morti: 2.544 in Guinea e quasi tutti gli altri nei due stati confinanti, Liberia e Sierra Leone, ai quali si era estesa. La nuova epidemia è scoppiata più o meno nella stessa zona di quella precedente. All’epoca, a fermare l’epidemia è stato l’intervento internazionale. I paesi colpiti non sarebbero stati in grado di far fronte alla crisi da soli perché i loro sistemi sanitari erano drammaticamente carenti anche in condizioni normali. Sierra Leone e Liberia, in particolare, reduci da due tra le più lunghe e cruente guerre civili del continente, disponevano all’epoca, rispettivamente, di due medici e un medico ogni 100.000 abitanti. Oggi la situazione è cambiata di poco. La Liberia, dove è già stato individuato un caso sospetto, adesso di medici ne ha quattro, la Sierra Leone ne ha tre, e la Guinea otto ogni 100.000 abitanti. Bisogna evitare per quanto possibile che l’Ebola si propaghi nei paesi vicini. L’Oms ha quindi allertato Liberia, Sierra Leone, Guinea Bissau, Mali e Costa d’Avorio. Anche la Nigeria ha emesso un allarme rosso e ha disposto controlli alle frontiere per intercettare casi sospetti.
L’aspetto positivo, rispetto al passato, è la disponibilità di vaccini. Grazie alla GAVI Alliance, l’organismo internazionale nato nel 2000 per migliorare l’accesso ai vaccini, esiste una riserva di mezzo milione di dosi anti Ebola. Tuttavia Liberia, Sierra Leone e Guinea insieme contano più di 22 milioni di abitanti, la Repubblica democratica del Congo ne ha più di 105 milioni. Anche nell’ipotesi di riuscire a circoscrivere le epidemie, occorrono più dosi di quelle esistenti. La preoccupazione è che le case farmaceutiche non siano in grado di produrne in tempo altre, tanto più che l’epidemia di Covid-19 assorbe immense risorse e praticamente tutta l’attenzione a livello mondiale.
Nei paesi a rischio, però, l’Ebola fa ben più paura del coronavirus. Non si trasmette per via aerea. Tuttavia, per esserne contagiati, basta il contatto anche solo con piccole quantità di fluidi corporei di persone ammalate e con oggetti contaminati. Inoltre, ha un periodo di incubazione lungo e, soprattutto, il suo tasso di letalità è elevatissimo, terrificante: secondo l’Oms, può variare dal 25 al 90 per cento. Se non altro, dalle prime analisi sembra che almeno nel caso del Congo il virus non sia una variante: è lo stesso che ha provocato l’epidemia del 2018-2020.
La Guinea ha ricevuto le prime 11.000 dosi di vaccino anti Ebola, inviate dall’Oms, e il 24 febbraio ha iniziato a vaccinare le persone a rischio. Altre ne arriveranno. Ma il paese è in una situazione critica dal punto di vista sanitario. Lasciando da parte il Covid-19, dilagano morbillo, in forte ripresa in alcuni distretti, e febbre gialla e di recente sono stati denunciati una trentina di casi di poliomielite, una malattia che sembrava del tutto debellata. È quindi urgente una campagna di vaccinazione che copra tutti i bambini di età compresa tra 0 e 59 mesi. Anche il Congo deve fare i conti con altre epidemie che non è in grado di sconfiggere. Dal giugno del 2020 nell’Ituri, nell’est del paese, sono morte 31 persone di peste bubbonica, presente nella regione almeno dal 1926, anno in cui fu registrato il primo caso. Lì, alle carenze di un sistema sanitario trascurato (solo sette medici ogni 100.000 abitanti), si aggiungono i problemi creati dall’estrema insicurezza in cui il personale sanitario è costretto a operare a causa delle decine di gruppi armati che infestano la regione.