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TERRORISMO

Con il Burkina tutta l'Africa è sotto il jihad

L'attacco terroristico  contro i due hotel di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso,  è stata rivendicata da Aqmi, Al Qaeda nel Maghreb islamico. Questo è il primo attacco del genere in Burkina Faso, ma il Paese confina con il Mali, un Paese che a stento riesce a contenere la pressione jihadista soprattutto nel vasto Nord, l’Azawad, caduto in mano ai fondamentalisti islamici nel 2012 e solo parzialmente liberato nel 2013 da una missione militare francese.

Esteri 17_01_2016
Lo Splendid Hotel dopo l'attacco dei terroristi

Sono almeno 23 le vittime dell’attacco terroristico di venerdì 15 gennaio allo Splendid Hotel e al vicino Cappuccino Café di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Tutto è iniziato verso sera, quando sei o sette attentatori hanno fatto esplodere diverse bombe e quindi si sono impadroniti prima del caffè e poi dell’albergo, prendendo in ostaggio decine di persone. Solo il giorno dopo le forze dell’ordine, con l’aiuto dei militari francesi di stanza nel Paese, sono riuscite a fare irruzione nell’hotel e nel caffè liberando 126 ostaggi, 33 dei quali feriti. 

Lo Splendid Hotel e il Cappuccino Café sono frequentati da molti stranieri residenti e di passaggio, tra cui numerosi funzionari delle Nazioni Unite. Le vittime finora identificate risultano essere di 18 diverse nazionalità.  Il ministro delle comunicazioni burkinabé, Remi Dandjinou, ha rivelato che gli autori dell’attacco erano ospiti dell’albergo e che dei quattro uccisi dalle forze dell’ordine, due sono africani e uno arabo. Da altre fonti governative si è appreso inoltre che due dei terroristi morti sono donne. Sembra infine che, mentre l’esercito liberava gli ostaggi, alcuni miliziani abbiano raggiunto un albergo poco distante, lo Yibi Hotel, lungo la stessa strada su cui si affaccia lo Splendid, e abbiano cercato di asserragliarvisi. Fonti militari sostengono che uno dei terroristi è stato ucciso lì.   

L’operazione è stata rivendicata da Aqmi, Al Qaeda nel Maghreb islamico, uno dei gruppi jihadisti da tempo attivi in alcuni Stati africani, già proclamatosi autore di un analogo attacco messo a segno lo scorso novembre in Mali: quello all’Hotel Radisson, nella capitale Bamako, anch’esso frequentato da stranieri, finito con un bilancio di 20 morti tra gli ostaggi. Il Radisson ha riaperto proprio nello stesso giorno degli attentati in Burkina Faso. «Questa è una vittoria della vita sui jihadisti», ha dichiarato il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita, presenziando alla cerimonia di apertura poche ore prima della nuova strage. L’attacco all’hotel Radisson, oltre che da Aqmi era stato rivendicato da due altri gruppi jihadisti: il Fronte di liberazione del Macina e al-Murabitoun, autore anche degli attacchi, lo scorso agosto, a un hotel di Sevare, nel Mali centrale, terminato con la morte di 19 persone, e a un ristorante di Bamako, conclusosi con cinque vittime. Tuttavia l’11 gennaio il pubblico ministero che segue le indagini ha affermato che i responsabili dell’azione terroristica contro il Radisson Hotel potrebbero invece essere i jihadisti somali al Shabaab.  

Quello del 15 gennaio è il primo attacco del genere in Burkina Faso. Ma il Paese confina con il Mali, un Paese che a stento riesce a contenere la pressione jihadista soprattutto nel vasto Nord, l’Azawad, caduto in mano ai fondamentalisti islamici nel 2012 e solo parzialmente liberato nel 2013 da una missione militare francese e da un’operazione di peacekepping dell’Onu tuttora in corso. Con questa nuova azione sale l’allarme in Africa per la minaccia jihadista che cresce e si estende, interessando regioni fino a poco tempo fa ritenute indenni e sicure.Preoccupa sempre più la capacità dei gruppi jhadisti di stabilire contatti, di creare basi, collegamenti, reti e rotte transnazionali attraverso una fascia di Paesi africani che va dall’Oceano Atlantico a quello Indiano, grazie alle quali spostare miliziani e armi nei vasti territori che nessun governo controlla e dove si muovono pressoché indisturbati, oltre a loro, gruppi di trafficanti di armi, droga e uomini. 

A poco sono valsi i tentativi internazionali di impedire che succedesse. Troppi leader africani sono incapaci di governare parte dei loro territori nazionali o piuttosto sono disinteressati a farlo, almeno finché i gruppi armati, siano essi jihadisti o mossi da altri obiettivi, non minacciano di rovesciarne i governi. Il caso del Burkina Faso è emblematico. Il Paese sta cercando di darsi ordine e democrazia dopo decenni durante i quali i leader politici e militari non hanno pensato ad altro che al potere e a ricavarne privilegi e vantaggi economici. Nell’ottobre del 2014 l’annuncio dell’autoritario presidente Blaise Compaoré, già in carica da 27 anni, di voler abolire ogni limite al numero dei mandati presidenziali che un cittadino poteva svolgere, per potersi quindi ricandidare alle successive elezioni, ha provocato la reazione di una parte della popolazione e soprattutto dell’esercito. 

Ne è seguito un colpo di Stato che ha costretto Compaoré all’esilio. Sono seguiti mesi difficili: un governo di transizione, poi lo scorso settembre un nuovo colpo di stato militare, questa volta fallito, e finalmente, a novembre, le elezioni presidenziali vinte da Marc Kabore, adesso in carica solo da tre settimane. Dei gruppi armati, notoriamente attivi lungo le frontiere che dividono il Burkina Faso dal Mali e dal Niger, finora nessuno si è curato. Era solo questione di tempo perché delle cellule jihadiste si infiltrassero nel cuore del Paese come già hanno fatto in altri.