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INTERVISTA AL NUNZIO

Con Francesco la Bosnia è tornata a sperare

La pace in Bosnia, l’attuazione dell’Accordo con la Santa Sede e la visita del Papa a Sarajevo: di questo parla l’arcivescovo Luigi Pezzuto, nunzio apostolico in Bosnia Erzegovina e in Montenegro in questa intervista alla Bussola.  «La visita di Francesco ha lasciato a tutti un messaggio di amore e di speranza». 

Ecclesia 11_06_2015
Monsignor  Luigi Pezzuto, nunzio apostolico din Bosnia

La pace in Bosnia, l’attuazione dell’Accordo con la Santa Sede e la visita del Papa a Sarajevo: di questo parla l’arcivescovo Luigi Pezzuto, nunzio apostolico in Bosnia Erzegovina e in Montenegro in questa intervista alla Bussola.  «La visita di Francesco ha lasciato a tutti un messaggio di amore e di speranza». 

Eccellenza, cosa ha significato il Viaggio Apostolico del Santo Padre per la Bosnia e cosa le ha lasciato?

«La visita del Papa ha cominciato ad avere i suoi effetti sin da quando è stata annunciata a febbraio. La collaborazione e l'entusiasmo nella preparazione di questo evento sono stati i primi segni evidenti di quanti passi avanti ha fatto questo Paese negli ultimi vent'anni. Tutti hanno voluto partecipare, anche lo Stato, anche le autorità ortodosse e musulmane. Poi, la visita è andata bene, ha dato ancora più vita a questa città, a questo Paese che già ha tanta voglia di vivere, di scrollarsi di dosso gli orrori del passato, e ha lanciato a tutti un messaggio di amore e di speranza. È venuto qui Papa Francesco, dopo essere stato in Albania, vuole far sentire a questi Paesi sofferti quanto vuole loro bene. Adesso è importante che questa riflessione e questa presa di coscienza comune venga messa in pratica, e a questo possono contribuire anche i media. Ma è fondamentale l'azione dei pastori e dei fedeli perché questo avvenga, perché nel cuore e nella mente della gente si sedimentino profondamente le parole del Santo Padre. Io parlo di prolungamento virtuale della visita del Papa, come fase necessaria perché questo possa dare tutti i suoi frutti. In una realtà in cui siamo abituati a spingere bottoni e a ottenere tutto nell'immediato, dobbiamo invece cercare di prenderci dei momenti per metabolizzare degli insegnamenti tanto importanti, per farli calare bene nei nostri cuori. Solo così saremo poi in grado di attuarli nel nostro quotidiano. Ed ecco che allora la visita del Papa si prolunga».

Sono ancora molte le tensioni e le discriminazioni in Bosnia?

«Sono passati vent'anni dalla firma degli accordi di Dayton, ma siamo ancora in cammino. La volontà di pace della gente è fortissima. È chiaro, nessuno vuole la guerra, ma chi ha già fatto questa esperienza -come la maggior parte delle persone qui- chi ne ha visto le conseguenze, chi ne ha subito personalmente gli orrori ha un rifiuto ancora più deciso nei confronti della guerra. Certo è che per fare la pace non è sufficiente l'assenza di violenza, non basta il silenzio delle armi. C'è bisogno di sviluppo e giustizia, e il Papa questo lo ha sottolineato con forza».

Riguardo l'attuazione dell'Acccordo della Santa Sede con lo Stato Bosniaco del 2007 a che punto si è arrivati? Quali sono le resistenze che permangono?

«Vede, l'Accordo c'è: è stato firmato (nel 2006) e ratificato (nel 2007). Il problema rimane ancora la sua attuazione, quindi l'emanazione delle leggi che servono a renderlo esecutivo. Noi rispettiamo i tempi e gli iter locali, cerchiamo di non essere frettolosi. Come Santa Sede ci piacerebbe vedere un'accelerazione da parte del Parlamento. Ma la Chiesa non spinge, accompagna, sensibilizza, affianca, avrebbe detto Giovanni XXIII». 

Il cardinal Puljic ha più volte denunciato la difficoltà che c'è in Bosnia a costruire chiese. A cosa è dovuta?

«È vero, abbiamo delle difficoltà a ottenere le autorizzazioni necessarie. Una parte della questione è dovuta a ragioni burocratiche, ma non credo che questo sia il problema da risolvere. Dobbiamo lavorare sulle menti delle persone. Dobbiamo con loro approfondire il diritto alla libertà religiosa nelle idee e nei concetti, far comprendere a fondo che quella spirituale e religiosa è una propensione naturale dell'uomo, che quindi ha necessità di vederne realizzate delle proiezioni. Io su questo sto lavorando,  sto cercando di creare un'atmosfera nella quale il diritto alla libertà religiosa venga riconosciuto, le autorizzazioni arriveranno di conseguenza. La chiesa in quanto edificio non serve se non viene riconosciuto il diritto».

Il Santo Padre ha voluto porre molto l'accento sull'aspetto ecumenico della sua visita. Crede che l'ecumenismo sia la via giusta per costruire un futuro di pace nei Balcani?

«Il dialogo interreligioso ed ecumenico nelle realtà multietniche, multiculturali e multireligiose, come quella bosniaca, è fondamentale. Questo avviene su due livelli: quello delle autorità e quello dei fedeli. Per quanto riguarda il primo siamo a un ottimo punto, lo abbiamo avviato. Durante la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, in aprile, il sacerdote ortodosso fa la predica nella chiesa cattolica. Quest'anno io ho concluso la settimana predicando nella cattedrale ortodossa, e non mi era mai capitato prima. Abbiamo anche il Consiglio Interreligioso. Ora è importante passare al lavoro sulla base, sui fedeli. Non basta vivere uno a fianco all'altro, bisogna convivere. E torno sui “bottoni”, sul  fatto che non si può avere tutto subito, ma che bisogna accettare la gradualità, il cammino. Sono certo che la visita del Papa che ha una grande forza spirituale unificante, contribuirà non poco ad aiutare la gente di questo Paese, che sta facendo proprio questo cammino».