Comunità Shalom, esempio vero di sussidiarietà
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Con l'attacco mediatico alla Comunità Shalom è emersa anche l'invocazione del controllo da parte dello Stato o addirittura dello Stato-terapeuta. In realtà il principio di sussidiarietà secondo la Dottrina sociale della Chiesa ci dice che il criterio è il bene comune, non lo Stato ed è questo che la Shalom giustamente persegue e realizza.
- DOSSIER: Shalom, verità vs. menzogna
Durante la vicenda del proditorio attacco alla comunità Shalom è emersa da molte parti l’idea che la soluzione consista in un maggior controllo da parte dello Stato. Molti lo hanno richiesto espressamente: è lo Stato che deve controllare queste realtà; altri, invece, indirettamente, lamentando un vuoto: ma lo Stato era distratto? C’è nell’aria un forte ritorno allo statalismo, sulla spinta delle (presunte) emergenze. C’è perfino chi vuole, come il grillino (si dice ancora così?…) Alessandro Di Battista, che lo Stato abbia una propria industria farmaceutica. Figuriamoci, quindi, se non si pretende dallo Stato di “vegliare” sulle comunità terapeutiche come quella di Palazzolo sull’Oglio.
Però c’è un però. Come si sa, la comunità di suor Rosalina Ravasio non dipende economicamente da nessuna istituzione statale. Non prende contributi né da Milano né da Roma. Vive di carità e quindi è libera. Libera da cosa? Libera dall’obbligo di seguire certi protocolli, di fornire certe rendicontazioni, di partecipare a gare di appalti i cui criteri sono stabiliti da altri; libera di contraddire le pretese degli ordini professionali e di altre corporazioni; libera di servirsi di volontari e professionisti non imposti; libera di avere un rapporto diretto con le famiglie degli ospiti; libera soprattutto di avere una propria idea di cosa si debba intendere per “persona umana”, di quale sia l’ordine giusto dei suoi bisogni, di cosa significhi “salute”, libera di pensare perfino che la fede cattolica c’entri in tutte queste questioni che invece sono “laiche” per il pensiero dell’apparato.
Quella statale è una macchina, la comunità Shalom ha deciso di starsene fuori. Ha così incarnato, il principio di sussidiarietà.
Questo principio - proposto nella sua versione originaria dalla Dottrina sociale della Chiesa – dice che le società inferiori e più vicine al bisogno, come per esempio una comunità terapeutica, hanno un diritto originario ad agire in proprio e prioritariamente rispetto alle società superiori e più lontane dal problema, come lo Stato. Hanno anche diritto che lo Stato le aiuti quando hanno delle difficoltà, ma senza sostituirsi ad esse. Quando mi sento male, chiedo prima di tutto aiuto ai familiari o ai vicini. Così le famiglie gravate da pesanti problemi nei loro figli si sono rivolte alla Shalom prima che ai servizi sociali statali. Ecco appunto la sussidiarietà.
Ora, ci sono, anche nel mondo cattolico, realtà sociali che si dicono sussidiarie ma non lo sono, perché dipendono, come il malato dalla flebo, dalle istituzioni pubbliche. Quante associazioni di impegno e solidarietà sociale – lasciando anche stare la Caritas che senz’altro è la più grande - dipendono dalle convenzioni con l’ente pubblico e quindi non sono libere né amministrativamente, perché l’apparato dell’ente pubblico fornisce i criteri concettuali e operativi, né politicamente, perché i rapporti con l’ente pubblico dipendono dalla maggioranza politica che lo governa?
Questo tipo di sussidiarietà fa piacere all’apparato statale e a quanti hanno in mano le sue chiavi. Ecco allora che si ricorda che lo Stato deve controllare, per evitare gli abusi, per impedire che non si rispetti la scienza, perché i protocolli terapeutici forniti dagli apparati nazionali e internazionali vengano rispettati.
Ma questa non è sussidiarietà o, se si vuole, è una sussidiarietà camuffata. Perché è lo Stato che stabilisce i criteri del controllo e quindi i soggetti sociali sono privati del loro protagonismo e considerati un’appendice periferica della macchina statale.
La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre detto che lo Stato ha un dovere di coordinamento e controllo in vista del bene comune. Quindi coloro che chiedono maggiori controlli statali nel caso Shalom e in altri simili hanno ragione? Il problema è se questo Stato sia adeguato a fare il controllo, se i suoi criteri siano veramente conformi al bene comune e alla sussidiarietà, se sia eticamente legittimato ad esercitare una autorità in quel determinato campo, o se invece sia preda di interessi e di ideologie che trasformano le sue ispezioni in un danno e un pericolo per il bene delle realtà ispezionate e per chi usufruisce della loro azione solidale.
Nel biennio Covid lo Stato si è dimostrato preda di forti interessi particolari, ha sposato cause scientifiche che non erano scientifiche, ha avvalorato i criteri corporativi degli ordini professionali, ha imposto una propria idea (sbagliata) di salute, di medicina, di terapia e ha esercitato con tutto ciò un fortissimo controllo sociale. Ci sentiamo veramente di dire che la soluzione al (presunto) problema delle comunità terapeutiche è un maggior controllo dello Stato, di questo Stato?
La comunità Shalom se ne sta fuori da questo sistema perché c’è un bene comune da perseguire che viene prima dello Stato, gli è superiore e va protetto anche dallo Stato stesso. I principi, anche quello di sussidiarietà, vanno difesi con coraggio.