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POLONIA/2

Comunisti impuniti, clero vittima due volte

In seguito ai fatti del 1989, i comunisti e i servi dello Stato totalitario in Polonia cedettero il potere in cambio dell’impunità. Questa regola è stata rispettata anche quando si è deciso di aprire gli archivi dei Servizi di Sicurezza, le cui carte sono state date in pasto a giornalisti spesso faziosi e interessati solo a infangare la Chiesa, la stessa che per 50 anni era stata baluardo della libertà nel Paese. Emblematico il caso Wielgus.

Cultura 17_12_2020

1. Dossier, così i servizi “rossi” ricattavano i sacerdoti


Nel 1989 il passaggio dal totalitarismo comunista alla vita democratica è avvenuto senza spargimento di sangue grazie all’accordo tra l’ala “riformista” del Partito comunista e il movimento di Solidarność. Gli incontri patrocinati dalla Chiesa polacca si svolgevano intorno ad una grande tavola rotonda, cosicché gli accordi stipulati allora passeranno alla storia come gli “accordi della tavola rotonda”. In pratica i comunisti cedevano il potere in cambio dell’impunità per i membri del partito e di tutto l’apparato dei Servizi di Sicurezza.

Gli “accordi della tavola rotonda” hanno assicurato l’intoccabilità ai veri organizzatori e carnefici dello Stato totalitario e anche ai servi fedeli del regime comunista: giudici, giornalisti, professori, gente di cultura ecc. Questa politica, introdotta dal governo del premier Tadeusz Mazowiecki, è stata chiamata la politica della “grossa linea” (in polacco “gruba kreska”), che stava a simboleggiare la rottura con il passato. La regola d’impunità è stata rispettata anche quando si è deciso di aprire gli archivi dei Servizi di Sicurezza per dare la possibilità alle vittime del regime di consultare i loro dossier.

A questa assurda situazione alludeva il primate Josef Glemp (†2013), quando nell’omelia del 7 gennaio 2007 disse che, mentre un sacerdote è sottoposto a giudizio sommario, rimangono impuniti “decine di migliaia di membri dei vecchi servizi segreti, che oggi hanno buoni impieghi”.

La possibilità di accedere agli archivi dei Servizi di Sicurezza data ai giornalisti - spesso faziosi e interessati soltanto alle carte riguardanti il clero - ha fatto sì che l’opinione pubblica, non soltanto in Polonia ma in tutto il mondo, invece di sentire le storie delle persecuzioni compiute dei servi del regime comunista ha cominciato ad essere informata circa la presunta collaborazione del clero polacco con i Servizi di Sicurezza. È stata così capovolta la prospettiva storica e i sacerdoti polacchi, le prime vittime del regime, sono stati presentati come spie e collaborazionisti. La Chiesa martire polacca, per 50 anni baluardo della libertà contro il comunismo, è stata additata come traditrice. Per di più, una parte degli archivi è finita all’estero, sicuramente a Mosca. E chi ha accesso agli archivi può orchestrare qualsiasi attacco contro le persone schedate.

Un esempio clamoroso dell’uso strumentale delle carte dei servizi segreti è legato alla persona di monsignor Stanislaw Wielgus e alla sua nomina ad arcivescovo della capitale polacca, la più prestigiosa carica ecclesiastica del Paese. Ma chi è monsignor Wielgus? È un sacerdote polacco, professore di filosofia, grande studioso, a lungo rettore dell’Università Cattolica di Lublino, infine vescovo di Plock.

Negli anni Settanta, Wielgus andò in Germania per gli studi specialistici. Proprio in quel periodo veniva frequentemente convocato dai Servizi per poter ottenere il passaporto. In quelle occasioni firmò delle carte che potrebbero essere usate come prova di collaborazione con il regime, ma davanti al nunzio apostolico pronunziò le parole del giuramento: “Giuro su Dio, Uno e Trino, che durante i miei incontri e conversazioni con i rappresentanti della polizia e dell’intelligence, che ho avuto in occasione dei miei viaggi all’estero negli anni ‘70 e ‘80, non mi sono mai messo contro la Chiesa e non ho fatto né detto niente di male contro il clero e le persone laiche”.

Dopo il giuramento, mons. Wielgus fu nominato arcivescovo di Varsavia e prese possesso dell’arcidiocesi. Ma nel frattempo cominciò un attacco contro Wielgus, “collaboratore del regime comunista”. In questa situazione, il 6 gennaio 2007 il Papa prese la decisione di accettare le dimissioni dell’arcivescovo Wielgus: la decisione venne annunciata a sorpresa prima della cerimonia della presa di possesso della cattedrale da parte del nuovo vescovo. In seguito a questo increscioso fatto, il cardinale Glemp disse nella sua omelia nella cattedrale di Varsavia: “Non sappiamo quale pressione venisse esercitata su di lui [mons. Wielgus], quali metodi siano stati usati per costringerlo a firmare un atto, non valido legalmente, perché fatto sotto minacce e intimidazioni”. Il primate della Polonia voleva dire in questo modo che la firma estorta sotto minaccia non ha nessun valore legale. Ma intanto, grazie alle carte dei servizi comunisti veniva distrutta non soltanto la carriera di una delle più illuminate menti della Chiesa polacca ma anche la sua persona: due volte vittima del regime comunista.

Purtroppo, va detto che in quel periodo gli attacchi contro Wielgus, e generalmente contro la Chiesa, sono partiti non soltanto dai media anticlericali polacchi, ma anche da certi giornalisti cattolici. Il primate Glemp, parlando di loro, disse che i cattolici dovrebbero sapere anche che cosa è “il pentimento, la penitenza, il perdono, la riconciliazione”. Un vaticanista della Rai scrisse che quel che lascia più sbigottiti nelle reazioni al “caso Wielgus” è l’assoluta mancanza del primo sentimento che distingue il cristiano dai suoi simili: il sentimento della pietà, più precisamente il sentimento del perdono. In conclusione, la presunta ricerca della verità e il dichiarato tentativo di “purificare la Chiesa” sono stati i pretesti “politicamente corretti” per linciare, tramite i media, la persona che stava per occupare la più prestigiosa carica nella Chiesa polacca.

A questo proposito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, scrisse in un comunicato: “A tanti anni di distanza dalla fine del regime comunista, venuta a mancare la grande e inattaccabile figura di Papa Giovanni Paolo II, l’attuale ondata di attacchi alla Chiesa cattolica in Polonia, più che di una sincera ricerca di trasparenza e di verità, ha molti aspetti di una strana alleanza fra i persecutori di un tempo ed altri suoi avversari e di una vendetta da parte di chi, nel passato, l’aveva perseguitata ed è stato sconfitto dalla fede e dalla voglia di libertà del popolo polacco”.

Successivamente, padre Lombardi commentò realisticamente: “È bene osservare che il caso di mons. Wielgus non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo caso di attacco alle personalità della Chiesa in base alla documentazione dei servizi del passato regime”. Erano parole profetiche: l’ultimo di questi casi è la condanna del cardinale Gulbinowicz che conferma che questi attacchi non cessano.

In Polonia non c’è più il regime comunista ma i suoi archivi servono sempre per attaccare la Chiesa e ricattare il clero. Per di più, adesso esistono altre forze politiche che con altri metodi si prefigurano gli stessi obiettivi dei comunisti: distruggere la Chiesa e la fede della gente.

2. Fine