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INTEGRAZIONE ALLA ROVESCIA

Comune impone proselitismo arabo gratis a italiani

A Treviso un'associazione culturale islamica offre corsi di arabo gratis ai soli italiani con l'avvallo del Comune che è stato ispiratore del progetto. La telefonata surreale della Nuova BQ con il sindaco e con il referente dell'associazione islamica dalla quale emerge un tentativo di proselitismo alla rovescia in cui a doversi integrare ora dovremmo essere noi italiani.  

Attualità 19_09_2017

A Pieve di Soligo (con l’accento sulla i) in provincia di Treviso, sta andando in scena un curioso esperimento di proselitismo islamico mascherato da attività culturale. Con tanto di benedizione del Comune il quale, con la scusa della mitologia integrazionista, è in prima linea per aiutare i suoi concittadini a imparare l’arabo. Come? Con il solito utilizzo delle associazioni di promozione culturale islamica. A Pieve ce n’è una che si chiama “Noi ci siamo”.

Di che cosa si tratta? L’associazione, regolarmente riconosciuta dalla Regione Veneto ha organizzato un corso di arabo rivolto agli italiani. O meglio: per i figli di immigrati magrebini che desiderano imparare la lingua paterna e per quegli italiani che per svariate ragioni (viaggi, lavoro, studio etc…) desiderano effettuare una full immersion nel complesso idioma levantino.

Il Comune ha messo a disposizione tre sale del complesso di proprietà pubblica chiamato Casa delle Associazioni e la Tribuna di Treviso, nei giorni scorsi ha titolato: “A Pieve di Soligo lezioni di arabo e Corano: per gli italiani sono gratis”. La parola Corano ha fatto drizzare i capelli alle forze di opposizione, soprattutto la Lega, che hanno iniziato a protestare. Nell’articolo infatti c’è scritto: “Alle classi di bambini oltre alla lingua araba gli insegnanti madrelingua spiegano il Corano – continua Fatine – cosa che per gli adulti dovrà essere decisa insieme”. 

Fatine è la figlia di Mostafa Nawri, fondatore dell’associazione nata da poco, ad aprile 2017 e già ben inserita nel tessuto “pievigino”. Peccato che Mostafa non conosca l’italiano, o meglio, lo parli molto poco, come la stessa Nuova BQ ha verificato al telefono. Forse è il caso di prevedere corsi di italiano per questi nuovi arrivati? No, soprattutto se a benedire l’iniziativa è il Comune letteralmente rapito da questo curioso esperimento di integrazione alla rovescia.

Al telefono con la Nuova BQ infatti, Mostafa non si sente a suo agio né con la lingua né con i giornalisti, dato il clamore suscitato dalla notizia. Così per ogni chiarimento ci rimanda direttamente al sindaco: “Parlate direttamente con il sindaco”. Curioso che un’associazione si proponga con un’attività privata sul territorio comunale e poi, per i chiarimenti, debba rimandare al sindaco che formalmente non dovrebbe essere coinvolto. Ufficialmente l’associazione paga al Comune appena 300 euro di affitto per le sale dove si svolgerà il corso. Un affarone, verrebbe da dire.

In Comune il sindaco Stefano Soldan, Pd of course, si difende dalle accuse e ci spiega: “La notizia è stata strumentalizzata – dice -. Il corso nasce dall’esigenza di aiutare i bambini che sono nati qua e quindi sono italiani, a imparare la lingua dei padri”. Se ne sentiva l’esigenza, evidentemente. Ma altrettanto evidentemente il sindaco ha già dato per scontato lo Ius soli. Però ha chiarito: “Non si studia assolutamente il Corano”. Peccato che la Tribuna abbia rincarato la dose: «Lo studio del Corano, solo per chi lo chiede». Insomma: c’è un rischio madrassa con l’avallo del Comune? Nulla di nuovo, considerato che l’associazione è soltanto una delle tante associazioni di promozione culturale islamica del paese, dove, già in passato ci sono state polemiche per l’allargamento della moschea, che poi non è una vera e propria moschea, ma un luogo privato adattato a luogo di culto, grazie al solito escamotage delle associazioni di promozione islamica, che là rappresentano circa un migliaio di musulmani, in un Comune che conta 12mila abitanti. 

I rischi di moschea abusiva paventati dal ministero degli interni? “Se non mi danno gli strumenti per verificare – dice lui – non si può pretendere niente. Non posso impedire a dei privati di trovarsi in un luogo privato a pregare”. Vero, peccato che questo diventi a tutti gli effetti un’attività pubblica di culto, ma effettivamente, è la legge sulle Associazioni di promozione culturale che è deficitaria ed evidentemente il sindaco, ci marcia.

“Ma perché non organizzare corsi di italiano?”, chiediamo. “Per quelli c’è già la scuola dell’obbligo”, ci risponde il primo cittadino. “E allora – insistiamo – anche per studiare l’arabo ci sono le università”. “Certo – ribatte il primo cittadino – infatti il corso è pensato anche per quegli italiani che non hanno tempo di frequentare ad esempio Cà Foscari (l’università di lingue di Venezia ndr)”. 

Il tempo? Forse anche i soldi, verrebbe da pensare dato che l’associazione, per tutti gli italiani iscritti, dicono un centinaio, offrirà il corso. Gratis, insomma. Una promozione niente male per un’associazione appena nata e della quale non si sa praticamente nulla. Infatti il tema economico non è irrilevante. Si scopre che la richiesta di non far pagare nulla agli italiani iscritti è partita proprio dall'amministrazione: “Abbiamo chiesto noi di poter offrire il corso agli italiani”. Insistiamo con il sindaco e chiediamo: “Dato che gli insegnanti dovranno essere pagati, come farà l’associazione, che è appena nata, a potersi permettere di offrire il corso gratuito agli italiani? Come farà a pagare i docenti?”.

La risposta del sindaco è sconcertante: “Non lo so e non mi interessa. Non è compito mio indagare questo, a me preme soltanto che rispettino il regolamento comunale”. Rimane una domanda di fondo: se un comune si limita solo a fare l’esattore quale idea di integrazione potrà mai avere? Anche il solo fatto di non interessarsi di come faccia un’associazione culturale a permettersi di sostenere le ingenti spese di un corso di lingua per 100 persone, senza le rette dei partecipanti, significa fondamentalmente tre cose: o che l’attività è in perdita e dunque non se ne vedrebbe la ragione se non la generosità che qua, in occidente, potrebbe essere scambiata per proselitismo islamico; oppure che il Comune foraggia l’associazione (ma il sindaco ha smentito) o, infine, che qualcun altro finanzia. Appunto. Chi?

E’ questo che il sindaco non è interessato a sapere tanto da rimandarci al mittente per avere risposta: «Doveter chiederlo a Mustafa come faranno a sostenere le spese». Ma Mustafa, come detto, non parla e rimanda al sindaco.

Non è che c’è qualcuno, magari con il turbante in testa, disposto a sobbarcarsi l’ingente spesa della promozione culturale islamica? Se poi il Comune dà una mano invitando i suoi concittadini a partecipare perché «tanto è gratis», il sospetto che il sindaco sia molto interessato a questo proselitismo in casa nostra è molto fondato.