Come si rinnova il centrodestra, a partire da Parisi
L'iniziativa lanciata da Parisi è il più organico tentativo di rinnovare e rilanciare il centrodestra. La strada è tutta in salita, perché la Lega Nord si smarca subito, rivendicando la sua indipendenza a Pontida, e il tripolarismo rende più ristretti gli spazi di manovra. Molto dipenderà da chi vince il referendum costituzionale.
Il centrodestra italiano esce rinvigorito dal week-end appena concluso, ma senza un’identità unitaria. Il cantiere per la costruzione di uno schieramento alternativo a Renzi e al Movimento Cinque Stelle può dirsi solo avviato e il terreno su cui lavorare resta cosparso di incognite. Stefano Parisi, nella sua convention milanese, ha fatto un discorso di prospettiva e di contenuti forti, invocando il recupero dello spirito del 1994, quello che consentì a Berlusconi di vincere le elezioni, sconfiggendo la “gioiosa macchina da guerra” guidata da Achille Occhetto. Sembra passato un secolo da quei giorni, anche perché la democrazia italiana usciva sfibrata da due anni di inchieste per tangenti che avevano creato un enorme vuoto politico.
Oggi la geografia politica è molto diversa da allora. C’è un centrosinistra che litiga con una parte della sinistra, proprio perché cerca di recuperare i voti dei moderati, e c’è una forza antisistema, il Movimento Cinque Stelle, che i sondaggi, almeno fino a prima della crisi in Campidoglio, davano vincente. Un centrodestra credibile come forza di governo dovrebbe, quindi, ricacciare il Pd nel suo bacino elettorale di sinistra ed emarginare il populismo grillino svelandone l’inconsistenza. Ma Parisi riuscirà in quest’impresa di diventare il catalizzatore dei voti centristi, recuperando quegli oltre dieci milioni di elettori che lo schieramento berlusconiano ha perso negli ultimi anni?
La sua impresa è difficilissima. L’attuale sistema tripolare restringe gli spazi d’iniziativa politica per il manager scelto da Berlusconi per rianimare un centrodestra da tempo in agonia. Per di più, l’investitura dall’alto non gli ha certamente giovato, perché è l’esatto contrario di quei metodi inclusivi come le primarie che alcune forze di centrodestra, dai fittiani ai Fratelli d’Italia, invocano da tempo per selezionare il nuovo leader e i candidati alle prossime elezioni. Essere stato partorito come leader nella provetta di Arcore rappresenta una “deminutio” per un dinamico uomo azienda che fin qui sta dimostrando di poter realizzare il vero obiettivo che il centrodestra deve porsi: allargare la base sociale di quell’area politica, senza cadere nella trappola di limitarsi a fare il federatore delle anime (in pena!) dell’attuale centrodestra.
I colonnelli di Forza Italia sbuffano perché temono di essere emarginati. D’altronde, in platea a Milano nel week-end c’erano fette consistenti di classe imprenditoriale e di società civile che Parisi è riuscito a coinvolgere nel suo progetto e che finora erano rimaste ai margini proprio perché disinteressate ad aderire a Forza Italia. Nel suo discorso, Mr.Chili (dal nome della sua ultima azienda) ha preferito volare alto, ha nominato Berlusconi solo alla fine e si è tenuto accuratamente alla larga dalle polemiche di piccolo cabotaggio. Meno Stato in economia, più sussidiarietà, più meritocrazia nella scuola e nei luoghi di lavoro, rilancio dell’autorevolezza italiana a Bruxelles. Slogan accattivanti, ma tra il dire e il fare c’è una voragine di difficoltà legate al fatto che in molti sono scettici sul tentativo di Parisi. A cominciare dai leghisti, che ieri a Pontida si sono smarcati platealmente, rivendicando l’autonomia del Carroccio dai giochi di palazzo e da alleanze con chi attualmente sostiene il “si” al referendum, in particolare Alfano e Verdini. Salvini ha capito che i moderati del suo schieramento intendono puntellare la leadership di Parisi e preferisce giocare in proprio per poi negoziare con il manager da una posizione di forza, con un cospicuo bottino elettorale.
La vera partita per riunificare il centrodestra sotto la guida di Parisi entrerà nel vivo, però, solo dopo il referendum. Se vinceranno i “si”, Renzi sarà più forte e il suo governo andrà con ogni probabilità avanti fino alla fine della legislatura. Alfano e i suoi dovranno quindi decidere se restare al governo col Pd e abbandonare ogni progetto di rassemblement moderato oppure se lasciare l’esecutivo e prepararsi alle prossime politiche come parti di un’alleanza alternativa all’ex sindaco di Firenze. Se vinceranno i “no”, Renzi si indebolirà e l’iniziativa di Parisi potrà assumere ancora maggior vigore e forza attrattiva. Sia che si costituisca un nuovo governo Renzi, sia che si faccia un governo di scopo con un altro premier, le forze sostenitrici del “no” (anche i grillini) avrebbero buon gioco nel chiedere la modifica della legge elettorale e una serie di riforme condivise.
Per ora, quindi, non si può che sospendere il giudizio sull’iniziativa di Parisi. Incoraggianti per lui gli endorsement di ambienti confindustriali e della grande stampa (il gruppo Rcs di Cairo gli strizza l’occhio senza neppure troppi infingimenti) e lodevoli i suoi sforzi di svecchiare senza rottamare e senza produrre lacerazioni negli attuali partiti della coalizione. Ora, però, l’aggregazione politica dovrà proseguire sul territorio e partire dai programmi, non dalle correnti e dai partiti. Parisi sembra non avere il temperamento del trascinatore, ma ha idee chiare e capacità innegabili per vincere questa sfida. Berlusconi permettendo.