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Sabato Santo a cura di Ermes Dovico
Duemila anni fa

Come si arrivò alla condanna a morte di Gesù

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Nostro Signore aveva accusato più volte di ipocrisia i capi di Israele. L’argomento di Caifa per convincere il Sinedrio a condannarlo. E perché fu coinvolto Pilato.

Ecclesia 18_04_2025
Gesù davanti a Pilato (Kosheleff)

Perché i capi d’Israele, che avevano riconosciuto come Messia diversi caporioni, sia prima che dopo Gesù, tutti regolarmente neutralizzati dai Romani (l’ultimo, Bar Kokheba, addirittura acclamato Messia dal sommo sacerdote in persona), ce l’avevano proprio col Nazareno, quantunque quest’ultimo facesse strepitosi miracoli e gli altri no? Perché Gesù li aveva accusati più volte di fronte al popolo di ipocrisia. Sapevano che, con Lui, avrebbero perso la cadrega.

Così, Caifa convinse il Sinedrio con questo argomento: troppa gente gli va dietro, verranno i Romani e distruggeranno il Tempio e la nazione. Cosa che i Romani fecero davvero, alla lettera, quarant’anni dopo, e proprio perché non c’era il vero Re, Gesù, dal quale, e lo sapevano, non avrebbero avuto problemi. Il Tempio fu distrutto da Tito, i ribelli crocifissi (fu disboscata un’intera foresta per fare croci) e gli altri venduti come schiavi in tutto l’Impero.

Perché i subdoli sinedriti scelsero di far fare il lavoro sporco a Pilato? La scusa era che la pena di morte era riservata ai Romani. In realtà questi ultimi non si impicciavano. Gesù fu minacciato più volte di lapidazione, ma ogni volta si eclissò. La famosa adultera (quella dello “… scagli la prima pietra”) la stavano per lapidare tranquillamente, ma cercarono di usarla per incastrare Gesù. Avrebbero potuto risolverla con una coltellata alla schiena, ma i seguaci di Gesù erano troppi e non avrebbero tardato a fare due più due. E sotto Pasqua erano tutti lì, a Gerusalemme. L’unica soluzione era coinvolgere i Romani: una pubblica esecuzione firmata da loro sarebbe stata anche un deterrente per tutti, che sapevano che con i Romani non si scherzava. Per convincere un riluttante Pilato calarono l’asso: “Non sei amico di Cesare!”. E Pilato raggelò: doveva il suo posto al prefetto del pretorio, Seiano; e Seiano era appena caduto in disgrazia con l’imperatore Tiberio, che adesso stava epurando tutti i suoi raccomandati.

Gesù è finalmente in croce. Lo sbeffeggiano: ha salvato tanti, perché non salva se stesso? Domanda ridicola: chi ha resuscitato i morti non avrebbe difficoltà, ma se è lì è perché vuole esserci. Ma la paura di perdere il potere acceca: Erode massacrò neonati pur di non cedere il trono, loro progettano addirittura di uccidere Lazzaro, senza rendersi conto che chi l’ha resuscitato una volta può farlo di nuovo. Ma Gesù glielo aveva detto chiaro, nella parabola dei vignaioli omicidi, che compresero benissimo: uccidiamo il figlio del padrone, così la vigna sarà nostra. Tra i pochi a capire chi sia l’uomo in croce è il centurione: «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54). I Romani credevano nei semidei, e Longino aveva visto una cosa impossibile: un’eclisse durata tre ore. E il terremoto: chi va oggi nel Santo Sepolcro vede una lunga fessura nella roccia, fessura che non segue le linee della pietra ma le attraversa come in un evento traumatico. Dice la Scrittura che in quel momento il Velo del Tempio si squarciò dall’alto in basso. Ora, la parola velo a noi fa pensare a un tessuto leggero e fragile. No, quello era spesso un palmo e alto venti metri. Lo storico Flavio Giuseppe (37 ca – 100 ca)  dice che nemmeno tirandolo coi cavalli si sarebbe riusciti a lacerarlo. Per giunta, si strappò “dall’alto”. Come predetto da Gesù (e i Vangeli furono redatti pochi anni dopo la sua morte, ben prima della catastrofe finale), dopo la terza – e ultima – guerra giudaica, nel 135 Israele non esisteva più.

I Romani, per cancellarne anche il ricordo, chiamarono quei territori Palestina. Usando a bella posta il nome degli eterni nemici degli ebrei, Philistim, Filistei. Gesù glielo aveva detto piangendo su Gerusalemme: la vostra casa vi sarà lasciata vuota.



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