Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta (Lc 16, 7)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». (Lc 16, 1-8)
La divina Sapienza ha stabilito che ci siano rimessi i peccati come noi li rimettiamo ai nostri debitori. L’amministratore umanamente infedele della parabola è posto da Gesù come esempio perché tutti noi non abbiamo nulla di nostro che porteremo oltre la soglia della morte, ad eccezione dei peccati personali, per cui è prudente astuzia perdonare in questa vita terrena i debiti che gli altri hanno verso di noi, in modo da avvicinare gli altri alla Misericordia divina.