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ISIS

Come il Califfato si impone col terrore

Il dominio del Califfato non si basa sul consenso, ma sul terrore. Ne è prova ulteriore il massacro di Abu Hammam, una tragedia emersa in questi giorni: 700 morti in tre giorni. Eppure si trattava di arabi sunniti, teoricamente la base del consenso del Califfato. L'Isis si impone, anche sfruttando le divisioni fra i suoi nemici.

Esteri 22_10_2014
Califfato, crocefissione di "traditori"

Il Califfato Islamico si regge e si diffonde sulla fedeltà e la collaborazione degli arabi sunniti di Siria e Iraq? Così si pensa. L’oggetto della persecuzione dello Stato Islamico sono le minoranze non arabe e non musulmane sunnite: cristiani, yezidi, curdi, turkmeni, arabi sciiti sono i casi più noti della sua repressione e pulizia etnica. Ma è ancora in gran parte sconosciuta la persecuzione che stanno subendo gli stessi arabi sunniti nei territori controllati dalle milizie del Califfo. Un esempio è il massacro di Abu Hammam, nella Siria orientale, avvenuto ad agosto, ma emerso pienamente solo ieri, grazie alla testimonianza del sopravvissuto Abu Salem, ora rifugiato in Turchia e uno dei leader della tribù Shaitat. O di quello che ne resta.

Il massacro di Abu Hammam, descritto nell’intervista che Salem ha rilasciato al Washington Post, costituisce una delle più massicce violazioni dei diritti umani commesse dall’Isis, fra quelle finora documentate. La descrizione di quei drammatici eventi permette di comprendere meglio, sia le tecniche di conquista che quelle di conservazione del potere del nuovo Stato Islamico.

Gli uomini della tribù Shaitat, una delle più grandi della Siria, diffusa nella provincia orientale di Deir Ezzor, si erano opposti con le armi in pugno al dilagare dell’Isis. Fino ad agosto hanno tenuto testa all’Isis. Poi, quando Mosul (seconda città dell’Iraq) è caduta nelle mani degli jihadisti, la comunità di Abu Hammam non ha più avuto scampo. Circondata, isolata da ogni via di rifornimento, si è trovata assediata da un esercito del Califfo ormai in possesso di artiglieria e carri armati razziati dagli arsenali iracheni. Persa ogni ragionevole speranza di resistere, gli Shaitat sono giunti a un accordo: consentire all’Isis di stabilire un proprio presidio militare ad Abu Hammam, lasciando al potere, però, le tradizionali autorità tribali.

Questo compromesso pareva funzionare. Non c’erano particolari problemi di compatibilità religiosa. La tribù Shaitat, infatti, è sunnita proprio come gli uomini del Califfo Al Baghdadi. Eppure… è bastata una sola sigaretta, fumata fuori casa da un cittadino di Abu Hammam, per far saltare il fragile equilibrio. Fumare in strada, infatti, è vietato dalla legge coranica. L’Isis non si accontenta di mantenere un presidio: deve convertire i territori che controlla alla propria interpretazione intransigente della sharia. E non si accontenta del rispetto delle norme religiose dell’islam sunnita, ma deve convertire i sunniti stessi alla rigida osservanza della più puritana interpretazione della legge coranica. Una pattuglia di jihadisti ha sorpreso il fumatore, lo ha arrestato e lo ha frustato in pubblico. Il fratello dell’uomo, determinato a vendicarlo, ha aperto il fuoco contro un’altra pattuglia dell’Isis, uccidendo un uomo armato. Arrestato a sua volta, è stato decapitato in pubblica piazza. A questo punto, ad Abu Hammam, è scoppiata un’insurrezione generale della popolazione. In un primo momento, gli uomini dell’Isis si sono ritirati. Ma sono tornati in forze e con l’artiglieria al seguito. Dopo un breve ma intenso bombardamento, la città è finita di nuovo nelle mani dei jihadisti. Ed è iniziato il massacro. Tutti i maschi maggiori di 15 anni (dunque quelli in grado di portare armi) sono stati passati per le armi. Fucilazioni di massa, decapitazioni, crocefissioni: 700 morti in tre giorni.

Questa è la natura del Califfato. Ovviamente la strage di Abu Hammam non rimarrà impunita. La tribù Shaitat vuole vendicarsi. Abu Salem, alla fine della sua intervista al Washington Post, promette solennemente: «Siamo una comunità tribale. Non dimenticheremo mai di vendicarci, ma lo faremo da soli, a modo nostro. Non vogliamo l'aiuto di nessuno». Episodi come questo minano alla base il sostegno arabo sunnita all’Isis e fanno presagire una serie di faide e lotte intestine nel Califfato.

È dunque lecito chiedersi: quanto è diffuso il sostegno ad Al Baghdadi e al suo nuovo regime? Indubbiamente la nascita di un Califfato esercita un potente richiamo sui musulmani fondamentalisti sunniti di tutto il mondo. Anche dalle città europee e americane, come abbiamo visto più volte su queste colonne, partono volontari per la nuova jihad. Ma la popolazione locale, che vive il Califfato sulla propria pelle, ha una visione decisamente meno romantica della guerra santa. Che percezione ne hanno, piuttosto, gli arabi che abitano nei paesi confinanti?

Un interessante sondaggio effettuato dal Washington Institute la scorsa settimana, in Arabia Saudita, Libano, Egitto, rivela che il consenso sia molto basso. Se è vero che il 92% dei sauditi (come abbiamo già visto su La Nuova Bussola Quotidiana) ritiene che l’Isis rappresenti autenticamente l’islam (alla faccia di chi, a partire da Obama, dice il contrario), è anche vero che solo il 5% dei sauditi dichiara di sostenere il Califfato. In Egitto, il sostegno è ancora più basso: il 3%. E in Libano è prossimo allo 0, sia fra gli sciiti e i cristiani, sia fra i sunniti. Ne esce un quadro abbastanza roseo per chi vuol combattere l’Isis. Altre domande dello stesso sondaggio, però, contribuiscono a raffreddare questi primi entusiasmi. Infatti, gli stessi intervistati che non vogliono l’Isis, sono anche contro gli Stati Uniti, guida dell’attuale Coalizione. Il tasso di approvazione per gli Usa, attualmente, è pari solo al 12% in Arabia Saudita ed Egitto e al 25% in Libano. Benché siano gli americani a combattere gli jihadisti e a rifornire di armi i suoi nemici locali, la loro immagine non è migliorata affatto. Idem dicasi per i comuni nemici dell’Isis, Iran e Siria. I due regimi sono largamente impopolari fra i sunniti. Il tasso di approvazione dell’Iran è pari al 13% in Arabia Saudita e in Egitto e al 46% in Libano (dato, quest’ultimo, che diventa il 96% fra gli sciiti, il 35% fra i cristiani e il 12% fra i sunniti: uno scenario da guerra civile imminente). Stesso dicasi per il regime di Assad in Siria, il cui tasso di approvazione è pari solo al 12% in Arabia Saudita, al 14% in Egitto e al 52% in Libano (anche qui il dato varia a seconda delle religioni: il 97% degli sciiti approva la Siria, contro il 47% dei cristiani e il 14% dei sunniti).

Questi dati rivelano una comune avversione per l’Isis e il Califfato, ma una totale mancanza di unità di intenti. Ed è proprio questo su cui conta Al Baghdadi: avanzare sfruttando le divisioni interne fra i suoi nemici. Senza farsi amare da nessuno, ma imponendo il proprio dominio col terrore e la violenza indiscriminata.