Come difendere i risparmi dalle politiche inflazioniste
Come può un piccolo risparmiatore difendersi dai rischi di ripresa dell’inflazione? Con rendimenti obbligazionari schiacciati verso e sotto lo zero dalle politiche monetarie ultra-espansive delle Banche centrali, come preservare il potere d’acquisto del denaro senza correre rischi eccessivi? Questa è la grande sfida che attende i risparmiatori negli anni a venire.
Come evidenziato la scorsa volta, viviamo in tempi strani il cui è il risparmiatore/creditore a doversi preoccupare anziché il debitore. Già, perché con rendimenti pressoché nulli quando non addirittura negativi, unitamente a rischi di risalita dei prezzi di beni e servizi, mentre può essere conveniente indebitarsi diverrà invece sempre più difficile preservare nel tempo il potere d’acquisto del denaro faticosamente accantonato. Il piccolo risparmiatore, in Italia per lo meno, tradizionalmente tende a investire la maggior parte delle proprie disponibilità finanziarie in strumenti obbligazionari governativi a basso rischio, mantenendo una parte residua in liquidità per far fronte a eventuali imprevisti. In un contesto in cui le obbligazioni non rendono più nulla e la liquidità detenuta sul conto rischia addirittura di essere sottoposta a interessi negativi (per non parlare delle spese di tenuta conto) e nel mentre risale l’inflazione, i propri risparmi sarebbero sottoposti a una “cura dimagrante”, non traumatica, ma destinata a protrarsi in modo logorante per anni a venire. In presenza di rendimenti nominali nulli, un tasso di inflazione del 2% annuo – che è l’obiettivo perseguito dalla Banca Centrale Europea – abbatterebbe il valore reale dei propri risparmi di oltre il 20% in soli 10 anni. Un po’ per volta, certamente, ma nondimeno con esiti assai spiacevoli.
Questa situazione, come spiegato, è il risultato delle politiche monetarie non ortodosse delle Banche centrali, a cui si stanno aggiungendo, post-Covid, le politiche fiscali fortemente espansive dei governi, con investimenti pubblici finanziati a debito che rischiano di imprimere un’accelerazione alle dinamiche inflazionistiche.
Dato che la situazione in cui viene posto il piccolo risparmiatore è oggettivamente ingiusta, che cosa possiamo fare per difenderci? Inizierei col precisare che cosa non si deve fare: un risparmiatore con una bassa propensione al rischio non deve iniziare ad assumere rischi eccessivi solo per cercare di mantenere sui propri investimenti lo stesso ritorno che avrebbe avuto in un mondo “normale”, dove cioè il risparmio viene remunerato. Alzare l’asticella del rischio è estremamente pericoloso: il primo punto fermo, quindi, è che si deve purtroppo accettare di subire almeno in parte la cura dimagrante imposta dalle politiche sopraindicate. Non si scappa. In un momento in cui molti mercati azionari sono verosimilmente in bolla, gonfiati dai fiumi di liquidità immessi nei circuiti finanziari dalle Banche centrali – con accanimento crescente post-Covid –, sarebbe imprudente buttarsi ora sull’investimento azionario; neppure è opportuno investire in obbligazioni a lunga scadenza, emesse da debitori con basso merito creditizio o in valute esotiche, pur di portare a casa delle cedole decorose, perché i rischi di perdite sarebbero davvero sproporzionati rispetto ai possibili guadagni. Che fare, quindi?
La classe di investimento più a rischio sembra essere quella obbligazionaria, i cui rendimenti, laddove ancora presenti, sono talmente risicati da non coprire i rischi di perdite in conto capitale in caso di future risalite dei tassi di interesse o di insolvenza del debitore. Meglio quindi mantenere una quota importante liquida, anche se ai “costi” soprarichiamati. Di fatto i risparmiatori lo stanno già facendo: si tende sempre più a non rinnovare i titoli obbligazionari che giungono a scadenza, sia perché non si trovano alternative interessanti in ottica di rischio/rendimento sia per garantirsi una riserva maggiore “a vista” in considerazione dei tempi difficili che stiamo attraversando. Se non altro, le perdite legate alla detenzione di liquidità sono limitate alla possibile diminuzione di potere d’acquisto per via dell’inflazione, e si conserva la possibilità di entrare velocemente su strumenti a maggior redditività, se si presentassero occasioni più interessanti in futuro. Oltre alla liquidità, una parte dei propri risparmi potrebbe poi essere allocata su investimenti come i fondi “flessibili”, dove il gestore ha maggiore discrezionalità per valutare tempi e modi di ingresso sui mercati finanziari.
Un’altra possibilità è anche quella di investire sui metalli preziosi e sulle materie prime, che dovrebbero beneficiare in caso di risalita dell’inflazione: sui preziosi c’è la possibilità di acquistare il “fisico”, dalle monete (per esempio il Krugerrand, una moneta d’oro sudafricana dal peso di 33,93 grammi, corrispondente a un’oncia d’oro fino; oppure la sterlina d’oro inglese, corrispondente a 7,32 grammi d’oro fino) ai lingotti di pesi vari; oppure si può investire nel comparto acquistando strumenti negoziabili su Borsa italiana, denominati ETC (Exchange Traded Commodities), che replicano l’andamento dell’Oro, oppure dell’Argento o del Platino, alcuni anche garantiti da un sottostante “fisico” che annulla il rischio di credito di controparte. Mentre investendo direttamente in monete o lingotti si devono sopportare dei costi di transazione significativi, per cui l’orizzonte temporale deve essere di lungo periodo per ammortizzarli, con gli ETC si possono investire e disinvestire anche piccolissimi importi, con costi di transazione accettabili, su orizzonti più brevi.
Una delle variabili critiche da prendere in considerazione per l’investimento in tali strumenti è la liquidità perché molti ETC quotati su Borsa italiana, ancorché si possano in teoria acquistare e rivendere in tempo reale anche con piattaforme di trading on-line, sono però decisamente illiquidi, col rischio di incorrere in costi di transazione eccessivi per chiudere l’operazione in fasi di mercato molto volatili oppure in presenza di controvalori elevati. Sugli ETC va poi assolutamente evitato il cosiddetto “effetto leva” che li renderebbe, oltre che molto volatili e rischiosi, sempre più inefficienti al crescere del tempo di detenzione. Tra i vari ETC quotati su Borsa italiana ci sono strumenti che replicano, oltre l’andamento dei metalli preziosi, anche le dinamiche dei prezzi di commodities varie, come le materie prime agricole (ad esempio il mais, il frumento la soia, ecc.), il petrolio, i metalli industriali (rame, alluminio, ecc.) e i cosiddetti “coloniali” (cacao, caffè, cotone, zucchero, ecc.): su questi ETC, a differenza di quelli con replica fisica, è però presente un rischio controparte. Come linea generale, l’approfondimento delle caratteristiche tecniche dello strumento su cui si investe – liquidità, volatilità, rischio valutario, rischio controparte, oltre ovviamente all’analisi della tendenza del sottostante – e un’ampia diversificazione del proprio “portafoglio investimenti” rappresentano le regole da tenere sempre presente per non correre rischi che non si capiscono bene o comunque troppo elevati per il proprio profilo di investitore e i propri obiettivi di investimento.
Un’ulteriore possibilità di investimento è quella relativa alla sottoscrizione di polizze assicurative a contenuto finanziario (i cosiddetti prodotti “IBIPs”), che presentano vantaggi assicurativi importanti di impignorabilità, insequestrabilità, prestazioni in caso di decesso, esenzione imposta di successione e tutela degli eredi oltre a un mix variabile di protezione o rendimento del capitale, a seconda del tipo di polizza. Da valutare bene i costi, a volte elevati, e le caratteristiche tecniche di tali prodotti, sia per la componente assicurativa sia per la componente finanziaria.
Infine, visto l’amore degli italiani per la casa di proprietà, stante la situazione di tassi molto bassi sui mutui immobiliari e gli incentivi fiscali importanti previsti per le ristrutturazioni edilizie, l’acquisto e/o la riqualificazione della dimora in cui si risiede è un’occasione da cogliere. Certo, la possibile rivisitazione al rialzo degli estimi catastali e l’ipotesi di reintroduzione dell’IMU anche sulla prima casa è un rischio concreto, che però dovrebbe essere ampiamente compensato dai vantaggi indicati. Il settore immobiliare è certamente molto disomogeneo sul territorio nazionale e quindi non si possono dare giudizi generali. Con l’incremento dello smart working sembra comunque probabile uno spostamento di interesse dalle grandi metropoli ai capoluoghi di provincia, dove i costi per metro quadro molto più bassi rendono abbordabili abitazioni con un numero maggiore di vani, un'altra esigenza destinata a crescere se il lavoro da casa si consoliderà. La connessione internet veloce diviene imprescindibile, un po’ come un tempo una buona logistica di trasporti pubblici. Le classe energetica dell’immobile diventerà sempre più rilevante, vista la grande quantità di case con bassa qualità che potrebbero riversarsi sul mercato negli anni a venire per l’invecchiamento della popolazione e il declino demografico, col rischio quindi di deprimere i prezzi. L’investimento immobiliare, a differenza di quello sui mercati finanziari, ha orizzonti davvero lunghissimi, con l’idea di trasmettere poi l’immobile ai figli, e quindi il timing di acquisto non è così critico, o comunque non è facilmente individuabile ex-ante. Se l’inflazione dovesse risalire, l’acquisto e/o la ristrutturazione fiscalmente agevolata dell’abitazione di residenza, finanziata da un mutuo a tasso fisso con scadenze lunghe (20 anni o più), rappresenterebbe sicuramente un buon modo per proteggere i propri risparmi e redditi futuri.
In ogni caso, prima di procedere a investimenti di qualsiasi natura – finanziari, assicurativi, immobiliari – sarebbe buona cosa valutare adeguatamente la propria capacità e propensione al rischio, i propri obiettivi di investimento e le proprie reali esigenze, con l’aiuto del proprio consulente di fiducia. Ricordandosi che nei prossimi anni si tratta di giocare in difesa, non in attacco.