Col "decreto capienze" arriva anche il Grande Fratello
Il "decreto capienze" viene salutato come un ritorno alla normalità, perché si torna a frequentare luoghi di svago e di lavoro come in tempi pre pandemici. Pochi notano il rovescio della medaglia: una formidabile riduzione del diritto alla privacy. La pubblica amministrazione avrà infatti mani libere per raccogliere i nostri dati personali.
Il decreto cosiddetto “capienze” è già in Gazzetta Ufficiale. Approvazione a tempo di record, in ragione della necessità di rilanciare l’economia e far ripartire al più presto le attività culturali, sportive e ricreative. I cittadini esultano per l’ampliamento degli accessi ai luoghi nei quali tali attività vengono svolte e brindano alla ritrovata libertà d’azione. Questo consente a chi ha scritto il decreto, cioè al Governo, di far passare in secondo piano alcune importanti modifiche alle norme sulla privacy, che rischiano di tradursi in una sorta di vera e propria legittimazione del Grande Fratello.
E questo è un altro pericoloso vulnus alla democrazia, considerato che il valore della riservatezza rappresenta una conquista della civiltà giuridica sancito nelle Dichiarazioni Universali, nelle Convenzioni europee e nelle leggi nazionali. Tale conquista è arrivata faticosamente, con un percorso tortuoso fatto di stop and go e giunto a compimento con il recente Regolamento europeo GDPR, che ha esteso le tutele per la nostra privacy.
Ora è come se si riavvolgesse il nastro e si ritornasse, in nome di una discutibile emergenza sanitaria, a livelli infinitamente bassi di protezione della nostra riservatezza, resa ancor più vulnerabile, in considerazione del fatto che le tecnologie sono diventate dominanti nella nostra esistenza.
Ma vediamo nei dettagli quali sono le modifiche introdotte con il decreto, che di fatto rafforza il potere del Governo, riducendo quello del Garante della privacy. Al di là del travaso di poteri dall’uno all’altro, il riflesso in termini di menomazione delle tutele di diritti e libertà dei cittadini appare evidente. Le prime importanti modifiche apportate dal decreto capienze riguardano il rapporto tra il trattamento dei dati personali dei cittadini e le finalità di interesse pubblico. L’articolo 9 del decreto prevede che il trattamento dati da parte di un’autorità pubblica “è sempre consentito se necessario per l'adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri a essa attribuiti”. Nell’elenco di tali autorità ci sono anche le Autorità indipendenti, le amministrazioni inserite nell'elenco annuale dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e le società a controllo pubblico statale.
Inoltre, il decreto prevede che se la finalità del trattamento non è espressamente prevista da una norma di legge o di regolamento, questa verrà decisa ed indicata dall'amministrazione. Cresce, dunque, la discrezionalità della pubblica amministrazione nella valutazione di quel pubblico interesse che rappresenta il lasciapassare per giustificare compressioni del diritto alla privacy. Viene sempre concesso alla pubblica amministrazione il trattamento dei dati comuni (come quelli anagrafici) per fini pubblici. Il Garante non potrà più svolgere controlli preventivi per i trattamenti ad alto rischio di dati particolari, come quelli sanitari, e non potrà quindi più prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell’interessato, quindi del cittadino. Riduzione dei poteri del Garante equivale, quindi, a messa in discussione di garanzie per i cittadini. D’ora in poi l’Autorità per la protezione dei dati personali non potrà più esprimere pareri o invocare correzioni di tiro da parte del Governo rispetto a argomenti delicati come le App o il Green Pass, al fine di impedire violazioni palesi della riservatezza delle persone. D’ora in poi sarà direttamente l’organo politico ad assumere determinazioni in materia, giustificando eventuali compressioni della privacy con il superiore interesse pubblico.
Non Solo. Il nuovo decreto capienze stabilisce anche un termine ridotto e perentorio entro il quale il Garante potrà pronunciarsi su riforme, misure e progetti del PNRR. Infatti, il Garante dovrà intervenire, con un’istruttoria e un parere, nel termine non prorogabile di trenta giorni dalla richiesta, decorso il quale il Governo potrà andare avanti con o senza il suo parere. Considerato il sovraccarico di lavoro degli uffici del Garante, oberati di ricorsi e compiti vari, succederà molto spesso che quel termine verrà superato e il Governo potrà agire in autonomia sul terreno della tutela dei diritti di tutti i cittadini.
Ce n’è abbastanza per concludere che il paravento della semplificazione decisionale serve a mascherare pesanti violazioni della privacy e a scaricare sui cittadini, in termini di rinuncia ai diritti individuali, il peso di un’emergenza sanitaria prolungata fin troppo e con mezzi inadeguati e assolutamente sproporzionati.