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SVOLTA DEL CONSIGLIO DI STATO

"Clorochina ok, curare a casa il Covid”. Il giudice boccia Aifa

«Nessuna ragione sconsiglia l'uso precoce dell'idrossiclorochina, su cui c'è stato un divieto illogico che ha limitato il diritto alla salute». L'ordinanza del Consiglio di Stato è una svolta nella cura del Covid: dà ragione alla battaglia dei medici, smentendo il no dell'Aifa e riconosce che bisogna sgravare gli ospedali. E l'unica strada è la cura a domicilio, dove i medici sono liberi di somministrare i farmaci più promettenti, come l'antimalarico, anche in assenza di studi definitivi. Smentite, dati alla mano, le leggende nere sui rischi cardiaci e sui suicidi. Esultano i 34 medici che hanno affrontato il Ministero della Salute e l'Aifa e il loro legale alla Bussola dice: «Ristabilito il primato della cura, ora i governatori modifichino i protocolli terapeutici». 

Attualità 12_12_2020

«Non vi sono ragioni contrarie di salute pubblica che sconsiglino l’impiego generalizzato del farmaco idrossiclorochina. La lotta contro il virus deve essere condotta anzitutto sul piano della medicina territoriale e, quindi, con la somministrazione di una appropriata e sicura, precoce ed efficace, terapia domiciliare e solo in via di extrema ratio nell’ambito ospedaliero, non in grado di reggere da solo l’intera pressione della domanda sanitaria».

Le parole con cui il Consiglio di Stato (leggi QUI l'ordinanza di ieri) riabilitano l’idrossiclorochina sono non solo un riconoscimento ai tanti medici che hanno continuato a somministrarla con successo nonostante la campagna mediatica e governativa contraria, ma sono anche un preciso indirizzo di come si deve – e si doveva - affrontare la pandemia: meno lockdown e meno ricoveri, più cure da casa, con i farmaci giusti e tra questi nulla vieta che ci possa essere anche il farmaco antimalarico contro il quale da maggio scorso si sono accaniti i due enti regolatori, Aifa e Ema, che hanno poi condizionato il Ministero della Salute.

Dall’ordinanza emessa ieri dalla camera di consiglio della III sezione del Consiglio di Stato non ci si poteva attendere responso migliore. Il giudice Franco Frattini (in foto) ha accolto in pieno tutte le istanze dei 34 medici che avevano impugnato la delibera del 22 luglio con la quale Aifa proibiva l’utilizzo dell’HCQ off label, cioè fuori dalle indicazioni mediche prescritte dalla casa farmaceutica e ha così  sdoganato il suo utilizzo, a determinate condizioni, però: la prima è che venga somministrata nella fase precoce della malattia da Covid 19, entro i sei giorni dalla comparsa dei sintomi, proprio come da studi scientifici chiedono i medici, la seconda è che questo avvenga sotto la piena responsabilità del medico attraverso un consenso informato del paziente e comunque non a rimborso del Servizio Sanitario Nazionale. Quest'ultimo aspetto è stato enfatizzato dai giornali di ieri nel dare la notizia, ma è un problema secondario, visto anche il costo irrisorio del Plaquenil. Ma la decisione è storica e segna un punto a favore della cura medica. 

VINCE LA MEDICINA

Esulta l’avvocato Valentina Piraino (in foto) che ha creduto nella battaglia dei medici e nell’affermazione del diritto alle cure e che alla Bussola dice: «Con l'ordinanza di oggi viene riconosciuto il giusto valore ai medici di medicina generale. Il Consiglio di Stato ha chiaramente affermato che non vi sono evidenze scientifiche tali da sospendere l'utilizzo di idrossiclorochina. Il comportamento di Aifa nega qualsiasi possibilità di sperimentare in concreto il farmaco proprio quando vi è urgente necessità di sperimentare nuove cure. Non si può togliere valore alla preziosa esperienza clinica dei mesi passati e addirittura negare, in assenza di altra valida alternativa domiciliare, una possibile cura in grado di esercitare anche un minimo beneficio». 

Ma se la giustizia amministrativa ha fatto la sua parte, ora la partita è tutta politica perché i medici devono essere informati che la clorochina non è bandita ed è un farmaco utilissimo per contrastare il coronavirus. Ecco perché il legale fa un appello ai governatori regionali e al governo: «Alla luce di questo provvedimento vanno senza dubbio rivisti tutti i protocolli regionali e soprattutto le recenti linee guida approvate dal Ministero sulle terapie domiciliari. Lo Stato sociale di diritto non vieta ma richiede alla scienza medica di curare anziché astenersi dal curare i cittadini».

Ed è proprio sulla responsabilità di cura dei medici che si è incentrata l’ordinanza pubblicata ieri dagli ermellini di Palazzo Spada.

Nell’affermare che la cura contro il virus deve essere tempestiva e condotta in ambito domiciliare non hanno fatto altro che dare ascolto alla Medicina, che da tempo chiede maggiore autonomia di cura.

AIFA SCONFITTA

Se la prescrizione dell’idrossiclorochina è così consentita è anche perché le ragioni contrarie portate dall’Aifa non sono sufficienti per arrivare ad una bocciatura totale. I giudici amministrativi infatti hanno riconosciuto che le ricerche scientifiche randomizzate presentate da Aifa si riferiscono a «pazienti in fase già avanzata della malattia e comunque già ospedalizzati oppure sulla profilassi preventiva dell’infezione da Sras-CoV-2. Ma è pacifico e non è nemmeno qui in discussione che l’idrossiclorichina non svolga alcun effetto in una fase avanzata della malattia o una volta manifestatasi la cosiddetta tempesta citochinica, allorché si siano sviluppati i sintomi più gravi come la polmonite bilaterale, né svolga alcun ruolo in fase di profilassi, come hanno dimostrato pressoché tutti gli studi randomizzati controllati sin qui eseguiti».

Questo significa che, anche secondo la giustizia amministrativa, avevano ragione tutti quei dottori che chiedevano di mettere al centro gli studi sulle cure tempestive, quindi né troppo tardi né quando ancora la malattia non si è manifestata. E sono infatti gli studi effettuati dai dottori – alcuni di questi intervistati dalla BussolaPaola Varese, Luigi Cavanna e Alessandro Capucci, che sono andati a costituire la corposa memoria difensiva degli appellanti, che ha evidentemente convinto l’ex Ministro degli Esteri e i suoi colleghi.

FUNZIONA, DECIDE IL MEDICO

Il focus del CdS dunque è stato quello di «accertare se l’idrossiclorochina possa svolgere un efficace ruolo terapeutico in fase precoce di sintomatologia con una finestra di attività massima tra zero e sei giorni dall’esordio dei sintomi».

E la risposta è stata sì, anche se è stato chiarito che «non compete a questo Consiglio valutare e men che mai decretare l’efficacia terapeutica dell’idrossiclorochina nel contrasto al SARS-CoV-2 in una fase iniziale della malattia, ma ha rilevato che «la perdurante incertezza circa la sua efficacia terapeutica non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti».

La decisione dunque «deve essere rimessa all’autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico».

CUORE E SUICIDI: LEGGENDE NERE

I giudici però hanno anche smentito alcune leggende nere sorte per demonizzare l’uso della clorochina che ne hanno stigmatizzato la sua diffusione in ambito medico domiciliare e ambulatoriale.

Come ad esempio il rischio cardiaco su certi pazienti: «Non sembra esservi dunque allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, alcuna attendibile correlazione tra la somministrazione a dosi non elevate e per breve tempo dell’HCQ ed eventi cardiaci mortali o altri eventi avversi di particolare gravità», dicono rimarcando, tra l’altro che la stessa AIFA ha riconosciuto nella sua scheda che eventuali ricadute che interessano l’apparato cardiovascolare sono «non gravi e del tutto tollerabili».

Smontato anche lo spauracchio con il quale certi giornali avevano provato a demolire la validità dell’antimalarico alla vigilia della sentenza, tirando in ballo presunti rischi di suicidio: «In ordine, poi, a presunti sintomi psichiatrici e, in particolare, al rischio di depressione con ideazione suicidiaria – hanno proseguito - non esistono evidenze certe di una correlazione tra modica somministrazione di HCQ a basso dosaggio e tendenze suicidiarie, facendo l’EMA riferimento a casi nei quali vi era stato un sovradosaggio del farmaco».

Nella cura da covid infatti non servono né sovradosaggi né dosaggi prolungati nel tempo dato che la durata media di una terapia è di pochi giorni, un nulla dunque per ipotizzare ricadute gravi, ma tantissimo per permettere all’organismo di autoregolarsi e combattere lui il virus, sconfiggendolo.

«SGRAVARE GLI OSPEDALI»

Vi è poi un passaggio importante di natura sanitaria che va messo in luce. I giudici ricordano che «l’elevata ospedalizzazione dei pazienti affetti da SARS-CoV-2 in una fase di riespansione della pandemia, come quella attuale, rischia di pregiudicare l’erogazione delle cure nei reparti di terapia intensiva e subintensiva proprio verso i pazienti più gravi o bisognosi». Per questo motivo viene denunciata dalla più alta magistratura amministrativa «l’irragionevolezza e l’illogicità del divieto imposto dall’Aifa all’utilizzo dell’idrossiclorochina nella misura in cui esso, da un lato, sacrifica a priori in modo non giustificato l’autonomia decisionale del medico e dall’altro limita il diritto alla salute di cui all’art. 32 Costituzione». Per farla breve: bisogna evitare di stressare gli ospedali, come invece si continua a fare per poi ricorrere alle politiche di lockdown. Così a rimetterci è stata la solidarietà nazionale dato che «si è sospeso l’utilizzo di una possibile alternativa terapeutica per il singolo paziente, ma anche nella sua dimensione solidaristica, quale interesse della collettività».

E al dovere della solidarietà, rappresentata dal fare di tutto per curare e curare al meglio, cioè prima che la situazione precipiti, ci si appella per intraprendere anche una terapia come quella a base di idrossiclorochina che a questo punto si «impone, vista la situazione epidemiologica tanto grave».