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ISLAM

Cinquecento musulmani contro l'islam terrorista

Sabato scorso sul quotidiano Le Monde è stato pubblicato un manifesto di condanna della strage islamica al Charlie Ebdo. Cinquecento firme di musulmani: laici e praticanti, che non hanno bisogno di sentirsi rappresentati da alcuna sigla. 

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di Luigi Santambrogio

Esteri 13_01_2015
Musulmani alla manifestazione di Parigi

Sabato scorso sul quotidiano Le Monde è stato pubblicato un manifesto di condanna della strage islamica al Charlie Ebdo. Cinquecento firme (nome, cognome, professione) di arabi musulmani: laici e praticanti, intellettuali e non, che non hanno bisogno di sentirsi rappresentati da alcuna sigla, ma che hanno sottoscritto in prima persona - come avrebbero firmato cattolici o ebrei senza ergersi a portavoce di una presunta comunità, che forse non esiste o che non sarebbe riuscita a raccogliere tutte quelle firme. 

L’Unione delle Organizzazioni Islamiche di Francia, la Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europa, l’Unione Internazionale degli Studiosi Islamici, l’università islamica di al-Azhar, Paesi islamici come Marocco, Arabia Saudita, Iran, Qatar, organismi internazionali come la Lega degli Stati arabi e tante altre sigle legate all’islam hanno condannato con comunicati o dichiarazioni ufficiali l’attentato a Charlie Hebdo e l’attentato all’ipermercato kasher a Parigi. 

Sentimenti di solidarietà e al contempo una messa in guardia dagli amalgami «tra la comunità islamica e questi barbari», come ha ricordato Dalil Boubakeur – rettore della Grande Moschea di Parigi. Se Boubakeur e i rappresentanti dell’islam organizzato hanno messo in guardia dagli amalgami, responsabili diretti di una crescita esponenziale dell’islamofobia, loro stessi sono però caduti nella trappola se non degli amalgami, in quella dell’ambiguità. Non mi riferisco qui alla ambiguità di contenuti dei comunicati, ma all’ambiguità e all’ineffabilità dei firmatari delle condanne. Ebbene, un comunicato a nome dell’Unione delle Organizzazioni Islamiche di Francia o della Grande Moschea di Parigi o dell’Università di al-Azhar non trasmette una certezza numerica, non quantifica le persone che effettivamente si nascondono dietro a una sigla. Non contribuisce a “materializzare”, a visualizzare, a dare un volto a quei musulmani che i francesi hanno come vicini di casa, meglio come concittadini. Un’organizzazione, un’istituzione che condanna un attentato non ha lo stesso impatto di un musulmano che con il proprio nome e cognome, con il proprio viso afferma il proprio disappunto. 

In questi giorni circola sul web la Lettera al mondo musulmano che il filosofo Abdennour Bidar ha pubblicato nell’ottobre 2014 in francese. É un testo che ha colpito molte persone, un’autocritica che sgorga dal cuore di un musulmano che vorrebbe – come Elham Manea – risvegliare i musulmani, portarli alla riflessione. Il testo si conclude con le seguenti parole: «Caro mondo musulmano... Sono solo un filosofo e come sempre alcuni diranno che il filosofo è un eretico. Pertanto io cerco soltanto di far risplendere di nuovo la luce, è il nome che mi hai dato a ordinarmelo, Abdennour, “Serviteur de la Lumière”. Non sarei mai stato così severo in questa lettera se non credessi in te. Come si dice in francese: "Chi ama profondamente, castiga bene". Al contrario, tutti coloro i quali non sono abbastanza severi con te attualmente, che ti scusano sempre, che ti voglio considerare sempre una vittima, o che non vedono la tua responsabilità in quello che ti accade, tutti loro in realtà non ti fanno del bene! Credo in te, credo nel tuo contributo nel fare del nostro pianeta un universo più umano e allo stesso tempo più spirituale! Salâm, che la pace sia in te». 

Il valore aggiunto di questo testo, valore che ne ha prodotto il successo, è che proviene da una persona, da un uomo che ha un’anima e una mente. Ed era proprio Abdennour Bidar che, nel lontano 2006, mi aveva colpita con il concetto di self-islam, di islam degli individui contrapposto a una ideale comunità islamica: «Dobbiamo infine comprendere che l’idea di “comunità islamica europea” è un concetto sociologicamente vuoto: se i politici cercano degli interlocutori musulmani, se i sociologi e i giornalisti vogliono condurre un’inchiesta sul terreno, che la smettano di volere trovare una pseudocomunità, raggruppata in disparte e che vive seguendo strani costumi, una tribù con a capo dei “califfi-rappresentanti’”… Niente, oggi in Europa, assomiglia meno a un musulmano che un altro musulmano… costoro non tengono all’islam non tanto per la fede e la preghiera quanto per un’etica, per le usanze… Non esiste più un musulmano tipo; siamo tutti diventati atipici». Bidar propone di cercare, di valorizzare l’islam degli individui, i musulmani. D’altronde è molto semplice odiare – avere una fobia – nei confronti di una sigla, di una certa moschea, di una certa organizzazione, perché non si possono conoscere, non si possono toccare. Non posso dialogare o interfacciarmi con un’organizzazione, con una religione qualunque essa sia, mentre posso e istintivamente parlo con un uomo, una donna, un bambino o una bambina a prescindere dalla religione. L’islamofobia si combatte solo nella vita, conoscendo i musulmani, che possono essere buoni o cattivi come noi. 

Il manifesto contro il terrorismo islamico con i nomi dei 500 musulmani

Per ritornare alle condanne dell’attentato a Charlie Hebdo, sono convinta che al popolo francese serva molto di più di un pacchetto di comunicati, molto più di uomini di Stato a un corteo. Ebbene, sabato 10 gennaio sul quotidiano Le Monde è stato pubblicato un manifesto di condanna della strage che si muove nella direzione indicata da Bidar. Al centro della pagina il testo di condoglianze, di rabbia e di solidarietà in nome della libertà. Tuttavia la novità è rappresentata da cinquecento firme (nome, cognome, professione) di arabi musulmani: dai giornalisti libanesi Nada Abdessamad e Hazem Saghieh, dalla scrittrice siriana Samar Yazbek alla scrittrice libanese Hoda Barakat, dallo psicologo franco-tunisino Fethi Benslama al professore dell’università di Lione Cherif Ferjani, dalla giornalista egiziana Mona Eltahawy al filosofo d’origine iraniana Dariush Shayegan. Compare anche Tareq Oubrou, imam di Bordeaux legato all’Unione delle Organizzazioni Islamiche di Francia, a dimostrazione della pluralità, della diversità dei firmatari e dell’”atipicità” dei musulmani. 

Il Manifesto pubblicato su una delle principali testate francesi è una risposta efficace e concreta sia alla trappola delle generalizzazioni e delle banalizzazioni dell’islam e dei musulmani sia a chi si domanda dove siano le voci dei musulmani. Una risposta sottoscritta da cinquecento tra uomini e donne, laici e praticanti, intellettuali e non, che pensano e che non hanno bisogno di sentirsi rappresentati da alcuna sigla, ma che hanno sottoscritto umilmente in prima persona - come avrebbero firmato altre persone di estrazione cattolica, ebraica, buddista – senza ergersi a portavoce di una presunta comunità, che forse non esiste o che non sarebbe riuscita a raccogliere tutte quelle firme. E come disse Leporello nel Don Giovanni di Mozart: «Madamina, il catalogo è questo».  Cinquecento persone che i mezzi di comunicazione e i governi occidentali farebbero bene ad annotare questi nomi, ascoltarli e valorizzarli perché sarebbero i nostri alleati più preziosi e sinceri nella lotta all’estremismo islamico.