Cinque Stelle in ordine sparso, spaccati su Draghi
Ribellione della base e di buona parte dei quadri del Movimento 5 Stelle. La volontà di Grillo, Di Maio e Crimi di votare la fiducia al governo Draghi per entrare a farne parte ha dato adito a una serie di scissioni, fra chi non molla la battaglia anti-establishment. Dove andranno i dissidenti? Da Salvini, nella nuova sinistra e anche da Di Pietro.
Sono andati a braccetto con tutti pur di tenersi strette le poltrone, ora fanno gli schifiltosi. Osservare la sceneggiata dei dissidenti grillini che, dopo essere stati alleati di Matteo Salvini (prima) e del “partito di Bibbiano” (poi), fanno i puri e casti con Mario Draghi e il suo governo di solidarietà nazionale, fa un po’ sorridere. E dà la dimensione dell'incoerenza di tutti i pentastellati, sia di quelli entrati nel nuovo esecutivo dopo aver detto “O Conte o morte”, sia di quelli emarginati dalle spartizioni di potere e ora avvelenati più che mai.
Dopo che oltre trentuno parlamentari grillini tra Camera e Senato hanno votato contro il nuovo esecutivo, sono esplose polemiche feroci all’interno del Movimento, sempre più diviso tra governisti e ortodossi. Il reggente Vito Crimi si è affrettato a far sapere che chi ha votato contro Draghi verrà espulso. Ci sarà, dunque, una scissione che assottiglierà ulteriormente la pattuglia parlamentare pentastellata rendendola sempre meno decisiva per le sorti di questa legislatura. L’aspetto più sorprendente è che neppure il fondatore Beppe Grillo riesce più a farsi ascoltare e a richiamare all’ordine i ribelli, che ormai sanno di non avere alcun futuro politico e tentano il tutto per tutto per accreditarsi in altri partiti.
Emblematica la risposta data a Crimi su Facebook da Emanuela Corda, deputata Cinque Stelle anti-establishment: "Caro reggente infinito, come sono lontani i tempi nei quali ti presentavi alle consultazioni col PD insieme alla Lombardi con quei sorrisetti da presa per i fondelli, sbandierando la tua coerenza contro i dinosauri dal sistema. Oggi, attaccato alla poltrona del comando come un mitile allo scoglio, cambi le regole, decidi le alleanze territoriali senza confrontarti, fai e disfi a dispetto del codice etico, del contratto sottoscritto con i cittadini che ti hanno consentito di stare lì e persino delle più elementari regole di civile convivenza tra persone". E ancora: "Attacchi vilmente i tuoi compagni di viaggio - aggiunge- e sorridi ai poteri che tanto hai dileggiato per anni. Le tue minacce mi fanno sorridere. Il nulla non puo' espellermi da nulla. Attendo comunicazioni formali oltre ai post da cuor di leone su Facebook. Rispondero' punto su punto. #InAltoICuori".
Il dissenso contro lo stato maggiore del Movimento e in particolare contro Grillo, Luigi Di Maio e Vito Crimi, accusati di camaleontismo esasperato e di attaccamento alle poltrone, monta col trascorrere delle ore e prelude allo sfarinamento della base pentastellata, oltre che dei suoi quadri dirigenti. Anche perché il processo è solo agli inizi. Molti deputati e senatori grillini si stanno avvicinando al centrodestra e, con l’approssimarsi della scadenza della legislatura, cambieranno casacca per provare a ottenere una candidatura con altre forze politiche. Impresa peraltro disperata, vista la riduzione del numero di parlamentari votata con il referendum dell’anno scorso.
Alessandro Di Battista, che aveva fin dall’inizio combattuto contro l’ingresso del Movimento nella nuova estesa maggioranza pro-Draghi, è pronto a organizzare il fronte dei duri e puri. Si rincorrono però altre voci ancora più suggestive. A fomentare le posizioni antigovernative ci sarebbe anche il redivivo Antonio Di Pietro. I ribelli, come detto, mostrano insubordinazione perfino nei confronti del fondatore ex comico: "Draghi grillino? No, Grillo è diventato draghiano", ironizzano alcuni. E per creare nuovi gruppi parlamentari si starebbero affidando ad un simbolo già esistente, quello di Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Sarebbe una beffa per lo stesso Grillo, che nel 2012 provò addirittura a candidare Di Pietro al Quirinale. E oggi potrebbe essere proprio l’ex pm a portargli via decine di parlamentari per dar vita a una forza politica giustizialista e anti-casta come all’epoca del Vaffa era il Movimento Cinque Stelle, attualmente imprigionato nel politically correct dell’ammucchiata pro-Draghi.
Ma anziché interrogarsi sullo squallido teatrino dei Cinque Stelle appare più utile prefigurare i nuovi scenari che l’implosione del Movimento grillino potrà determinare. I dissidenti grillini potrebbero proliferare e rafforzare il fronte dell’opposizione al Governo. Difficile che possano andare in Fratelli d’Italia, probabile che possano costituire una forza alternativa al cartello delle sinistre, ma collocandosi sempre su quel fronte politico. Chi invece cederà alle lusinghe salviniane voterà a favore dell’esecutivo ma a quel punto rafforzando il potere negoziale del Capitano all’interno dell’attuale maggioranza pro-Draghi. La dissoluzione pentastellata finirà per indebolire l’ex maggioranza pro-Conte e accelererà la resa dei conti nel Pd. Gli avversari del segretario Nicola Zingaretti, che oggi fomentano le donne dem per indebolirlo, domani gli contenderanno la segreteria. Tra i più agguerriti il governatore emiliano-romagnolo Stefano Bonaccini ma anche molti sindaci come Beppe Sala e Giorgio Gori.
I Cinque Stelle, che alle elezioni politiche del marzo 2018 avevano raccolto quasi il 33% dei voti, alla fine della legislatura avranno forse percentuali a una cifra. Un fenomeno politico da studiare anche per il suo rapido e rovinoso esaurimento, provocato da manifesta incompetenza, verticismo, invidia sociale e vacuità programmatica.