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LA LETTERA

Cinque punti (uno indiscutibile) su Sinodo e famiglia

Cinque considerazioni che da semplice laico voglio offrire alla discussione su Chiesa e famiglia che ha tenuto impegnato i Padri del Sinodo. Cinque punti per andare oltre la solita dialettica sulla comunione o meno ai divorziati risposati e mettere al centro la natura stessa della famiglia cristiana. 

Famiglia 24_10_2015
Qualche considerazione sul Sinodo e sulla famiglia

Caro direttore,

visto che ormai su Sinodo e famiglia in tanti (cardinali, vescovi, preti, teologi, giornalisti vaticanisti e non) esprimono liberamente le loro opinioni (non sempre ponderate, soprattutto da parte di teologi) mi permetto di dire anche la mia, da semplice laico e nonno di strada. Sarò schematico.

1) Mi pare che molti dimentichino che il centro del cristianesimo non sono regole più o meno misericordiose o rigide, ma Cristo stesso. L’immenso santo Giovanni Paolo II scrisse che Gesù è «il centro del cosmo e della storia». Mi pare che questa elementare verità cristiana stia passando in secondo piano, commettendo l’enorme errore di darla per scontata. Ogni consesso cristiano, invece, dovrebbe occuparsi innanzi tutto di questo, perché solo la luce di Cristo può illuminare ogni esperienza umana. E solo la conversione a Cristo può sanare la ferite che la vita porta con sé. Non sento, in questo periodo, l’invito primario a convertirsi a Cristo, anche e forse soprattutto quando si parla di famiglia.

2) Alla luce di Cristo, ogni vocazione diventa buona e bella: dentro Santa Madre Chiesa fioriscono tante vocazioni, la più strabiliante delle quali è quella alla verginità, cui induce l’esclusivo amore a Cristo, il quale illumina anche la vocazione al matrimonio. In questo contesto pluriforme, non sento più parlare della virtù della castità, neppure da parte di tanti padri sinodali. Hanno forse vergogna della integralità di Cristo, di fronte ad un mondo che assume altri criteri molto più sbrigativi e istintivi? Stanno forse dimenticando che è possibile a Dio ciò che sembra impossibile agli uomini?

3) La vocazione alla famiglia è buona e bella per tanti motivi, ma soprattutto perché essa educa ad amare e accettare l’alterità, che, nei fatti, implica, spesso indirettamente, un’esperienza “religiosa”. Ma per indurre ad amare per sempre l’altro, occorre innanzi tutto, ancora, annunciare e testimoniare il fascino e la bellezza di Cristo, prima ancora del fascino e della bellezza del matrimonio. Chi conosce Cristo più facilmente può portare a termine positivamente la vocazione familiare. Parlando di famiglia, allora, non si può non polemizzare (come faceva Cristo con scribi e farisei) con la cultura del “pensiero unico”, che idolatra il più assoluto individualismo. Questa cultura è alla base della crisi attuale dell’intera società e quindi anche della famiglia e i cristiani non possono sottrarsi a vivere e comunicare l’autentica dimensione culturale dell’esperienza cristiana: per ricostituire l’uomo vero, infatti, oltre alla carità, occorre anche il giudizio della cultura e il coraggio della missione, senza dei quali non amiamo veramente il prossimo.

4) Anche i padri sinodali (e soprattutto alcuni teologi) dovrebbero saper distinguere tra ciò che è fisiologico nella vita di una famiglia e ciò che è patologico. E, quindi, dovrebbero dare le ragioni profonde (che hanno le radici in Cristo stesso) di un’esperienza fisiologicamente sana. E, d’altra parte, dovrebbero amare e curare, come i cristiani hanno sempre fatto e in molti stanno facendo, gli aspetti patologici, senza mettere in discussione quelli fisiologici. Tenendo anche presente che molti aspetti patologici sono a loro volta causati dalla cultura di cui sopra e, spesso, sono colpevoli. Giustamente questo giornale ha rilevato che nel Sinodo pare che si parli molto poco del peccato originale, senza del quale non si capiscono tante cose. Teniamo  presente, ad esempio, che la maggioranza dei divorziati non ha nessuna intenzione di comunicarsi dopo la rottura del matrimonio. Ho l’impressione che, su questo specifico tema, molti non abbiano a cuore la “misericordia”, ma altro.

5) C’è poi un aspetto che mi pare non venga considerato. Cristo, con il suo sacrificio, ci ha insegnato che possiamo partecipare in vario modo al suo di sacrificio, per il bene e per la salvezza di tutti. Penso che una di queste offerte a Dio potrebbe essere, da parte di persone divorziate, quella di partecipare alla vita concreta della comunità cristiana a pieno titolo, pur non potendo accedere materialmente all’eucarestia. Nella tradizione cristiana si parla di comunione di desiderio, che può far partecipare comunque al disegno di salvezza della Chiesa, madre, ma anche maestra. Ma oggi è molto difficile sentire parlare di sacrificio, oltre che di peccato originale. Probabilmente, qualche teologo inorridirà di fronte a quanto ho qui espresso. Pazienza, sono pronto a correggermi. Solo sul punto 1 non si può discutere, anche se è quello più messo sotto silenzio.