Cinquant'anni di matrimonio, mezzo secolo di storia
Che meraviglia, la protagonista, questa volta è una famiglia stabile, che festeggia le sue nozze d'oro dopo aver vissuto lungo tutta la storia dell'Italia repubblicana. Pupi Avati, con Un matrimonio, torna a farci sperare.
Il vero coraggio è credere nel matrimonio. Sembra voler suggerire questo il regista bolognese Pupi Avati con Un matrimonio, serie in 6 puntate sceneggiata insieme a Tommaso Avati e Claudio Piersanti e in onda su Rai1 dallo scorso 29 dicembre. Raccontare un matrimonio che dura più di mezzo secolo può risultare quasi controproducente in una società che è ormai abituata - non tutta per fortuna – ad un modo tutto nuovo di vivere le relazioni. Quasi una sfida quella di Avati di voler riportare in primo piano quei valori tradizionali tanto cari ad alcuni di noi per mostrare alle nuove generazioni che non c'è nulla di noioso nel restare accanto della stessa persona per oltre cinquant'anni. È lì tutto il rischio. Nel credere che da questa unione tra due persone possa nascere qualcosa di profondo e duraturo, nel mostrare un legame in grado di alimentarsi giorno dopo giorno, un legame che si palesa in tutta la sua umana debolezza nell'affrontare alcuni momenti di crisi ma tanto forte da comprendere che anche questo fa parte del rischio e che si può solo ripartire dalla crisi per ritrovare la forza e continuare a costruire.
Non c'è nulla di inventato nella storia che Pupi Avati racconta su Rai1. Nessuna necessità di ricorrere a fantasia e l'unico trucco risiede nel trarre ispirazione dalle personali vicende della sua famiglia per raccontare all'Italia quello che nessuno ama mostrare. Del resto è sicuramente più facile e redditizio parlare di crisi, fallimenti, tradimenti continui. Fa molta più scena e sicuramente fa sempre più audience. Eppure la nostra società nichilista ormai intrisa di materialità in ogni singolo aspetto del quotidiano ha davvero bisogno di rimettere mano ai valori tradizionali per riconquistarne il fascino.
È il giorno delle nozze d'oro per Francesca e Carlo Dagnini e mentre i due ripercorrono la navata sulle note della marcia nuziale e sotto gli occhi commossi di tutti i figli, Anna Paola Dagnini comincia a raccontare la loro storia. Catapultati a Sasso Marconi nel 1948 facciamo subito la conoscenza della giovanissima Francesca (Micaela Ramazzotti) che in una gita al fiume si innamora a prima vista di Carlo (Flavio Parenti). Inizia così la travagliata avventura di due ragazzi che, pur appartenendo a due mondi sociali diversi, sono in cerca delle stesse cose. Lei è figlia di una famiglia popolare mentre lui è il figlio benestante di un produttore di camicie ormai in fallimento e con il triste vizio del gioco. I due ragazzi si conoscono per caso quando Francesca inizia a lavorare come commessa nel negozio del padre di Carlo. Da lì in poi non mancheranno le occasioni per approfondire la loro conoscenza e per cominciare a costruire un rapporto che cresce e matura in quel periodo storico segnato da numerosi cambiamenti sociali e culturali che hanno caratterizzato il nostro Paese. I 50 anni d'Italia scorrono sullo sfondo e sono raccontati sempre attraverso le vicende dei diversi protagonisti che circondano Carlo e Francesca.
Dopo Il bambino cattivo, trasmesso dalla Rai il mese scorso in occasione della giornata per i diritti dell'infanzia, Pupi Avati torna a raccontare la famiglia, quella bistrattata dai più perché non fa audience nello spettatore ormai abituato ad un altro modo di vivere i rapporti. Una storia che non nasconde una sottile critica ad una società sempre più impegnata a sminuire l'importanza del legame di una coppia. Si ha la sensazione che tutti i matrimoni si concludano sempre con un fallimento senza tener conto che i matrimoni che durano da una vita sono molto più numerosi di quanto si voglia credere. Certo le difficoltà non mancano e Avati non nasconde in alcun modo le problematiche che possono sorgere all'interno delle coppie. Si mostrano i vizi meno lodevoli dei mariti, come quello del papà di Carlo di spendere i soldi vinti alle corse in champagne e buffet ignorando le difficoltà e gli stenti dei dipendenti che lavorano per lui, si mostrano le debolezze di quelle donne attaccate ai loro mariti e la loro forza nel riuscire a perdonare persino qualche tradimento di troppo, si mostrano i desideri di quelle figlie che sognano di potersi fare una propria vita e mettere in piedi una nuova famiglia, le difficoltà delle prime coppie unite in matrimonio ma infelici perché, forse, per la troppa fretta si sono rese protagoniste di una scelta non ponderata e le difficoltà nel trovare un lavoro, nel far fronte ad una crisi schiacciante che non permette di respirare.
Eppure in tutto questo marasma comincia il viaggio di questi due ragazzi, un viaggio che parte nel 1949 e si protrae fino ad oggi. Un matrimonio felice, non privo di difficoltà o screzi, che ha portato alla nascita di due figlie e all'adozione di una terza bimba paraplegica. Ed è proprio lei, che nel corso delle sei puntate, racconta questo matrimonio forte in grado di resistere alle difficoltà e destare scandalo negli italiani di oggi. Un po' di lentezza tende forse a pregiudicare questo “film di 600 minuti”, come lo ha definito Avati, ma è un difetto perdonabile se si tiene in considerazione l'abilità del regista nel ricreare situazioni d'epoca, ripercorrere gli eventi più importanti dell'epoca e lanciare un messaggio di speranza anche allo spettatore più freddo. Perché il matrimonio è una realtà viva e quello di un legame che resista alla crisi e duri tutta la vita è un sogno realizzabile cui molto di noi aspirano.