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PITTURA

Cingolani. «L'arte è una questione cattolica»

Una mostra del pittore milanese permette di fare esperienza di un'arte ancorata alla realtà quotidiana: "Il libro di Dio è un libro di fatti".

Cultura 18_06_2011
cingolani

C’è qualcosa di più provocatorio nel panorama artistico contemporaneo, dove la volontà di scandalizzare è diventata noiosa routine, dell’affermare, come fa Marco Cingolani, che “l’arte è una questione cattolica” e che “ un uomo senza fede è come un cane senza padrone: randagio”? Cosa fa se non infrangere l’ultimo tabù rimasto per un artista, quello di dichiarare la propria appartenenza alla Chiesa Cattolica?


Le parole del pittore milanese, ma nato nel 1961 a Como dove è in corso una importante retrospettiva alla Pinacoteca Civica fino al 12 settembre, costituiscono il riconoscimento dell’arte occidentale come frutto codificato della cristianità, “in fondo tutto questo è accaduto perché c’è stato un uomo, Figlio di Dio, nato, vissuto e morto in Palestina che, nei secoli un manipolo di pittori ha rappresentato con pennelli e colori”.

Marco Cingolani non dipinge “santini”, ma ha alle spalle la frequentazione dell’ambiente creativo underground milanese legato alle contaminazioni della moda e della musica punk e l’impegno in prima persona nel fondare riviste di settore. E’ artefice del dibattito artistico che anima il nostro tempo, insegna all’accademia di Belle Arti di Palermo e ha partecipato a numerose mostre in sedi pubbliche prestigiose come la 53esima edizione della Biennale veneziana.


Insomma non stiamo parlando di un nostalgico che combatte battaglie di retroguardia, ma di un artista che rende viva la tradizione, nel cui lungo corso si sente inserito, immergendola nella realtà dei nostri giorni.


E a Como nelle sale della Pinacoteca è facile capire cosa significhi per lui realtà, passando in rassegna alcune opere molto significative. A cominciare da Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, del 1989, che il critico più innovativo sulla nostra scena, Luca Beatrice, curatore del penultimo Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, sostenitore dell’arte italiana contemporanea e della sua specificità nazionale, descrive con queste parole, “un grande quadro dipinto a gessetti nello stile dei madonnari, volutamente indirizzato verso le persone semplici a comunicare una passione civile…Questo lavoro rimane a mio avviso, un caposaldo dell’arte italiana allora giovane. Va spiegata nelle scuole, esposta nei musei, trasmessa in rete.”


Un’opera che insieme alla serie dedicata all’attentato a Papa Giovanni Paolo II, testimonia la volontà dell’artista di lasciarsi alle spalle Duchamp (pubblicamente ripudiato con l’opera Liquidare Duchamp del 1989) e gli esperimenti dei suoi tristi epigoni per tornare a un’arte dotata di senso e ancorata ai fatti, alla cronaca.

Come nella Bibbia, dove ci sono omicidi, tradimenti, amore, perdono, “dove c’è storia, anzi ci sono i fatti: il libro di Dio è un libro di fatti, perché non c’è nulla di più spirituale del quotidiano”, così racconta Cingolani in un’intervista. E nei quadri di questo periodo le immagini mediatiche sono sottratte al destino transitorio della iper-produzione caotica e indifferenziata dei mezzi tecnologici moderni, per essere riproposte come elementi della memoria collettiva e come centro di identità.


In questo modo il dramma di Aldo Moro si identifica con quello di ogni vittima sacrificata e la rappresentazione del suo ritrovamento, nella Renault rossa circondata dai passanti, ci offre l’immagine di una Deposizione metaforica dei nostri giorni, così come l’attentato al Papa, pur partendo dal fatto di cronaca, si spinge oltre il dato storico per parlarci dell’attacco che subì l’intero mondo occidentale.


La retrospettiva comasca ci permette di cogliere con immediatezza anche un altro elemento che caratterizza il percorso di Marco Cingolani, e cioè la disponibilità a sperimentare modalità formali fino al naturale esaurimento della carica creativa,  abbandonandole quando rischiano di trasformare l’autore nel manierista di sé stesso.


E’ per questo che nel suo lavoro si configurano periodi molto diversi, “Dio odia il monocromo, l’omogeneo, mentre apprezza la contraddizione, l’eterogeneità, il colore e la differenza”, et-et anche in pittura sembra affermare Cingolani. Proprio come si succedono, diverse tra loro, le fasi della vita, che inglobano contraddizioni, differenze, ripensamenti ed errori. Anche se nel suo lavoro la costante del registro della narrazione  ne costituisce sempre il punto di partenza: i fatti della cronaca nelle opere più lontane, tele dominate dall’horror vacui che faticano a contenere i personaggi e la loro agitazione, e la rappresentazione dell’iconografia sacra in quelle più recenti dove le figure si sciolgono nei colori e gli spazi si aprono all’infinito. Come nel ciclo Percorsi di fede del 2009, dedicato alle apparizioni mariane di Lourdes e Fatima e a proposito del quale Cingolani  nel catalogo della mostra scrive: “è questo essere guardati, singolarmente, senza giustificazioni o concorsi di merito, che stabilisce l’importanza del miracolo. Gratuito. Inspiegabile. La bellezza del gratuito è la sfida. Bernadette contro Marx e Nietzsche”. 


Ciclo nel quale è particolarmente chiaro il senso della risposta data da Cingolani ad un intervistatore che gli chiedeva quale traccia del suo lavoro desidererebbe lasciare, “mi piacerebbe contribuire a riportare nel mondo un sentimento, una disposizione verso il sacro e lo spirituale, verso Dio. Ma verso il Dio giudaico-cristiano. Non quello gnostico o new age. Vorrei contribuire di una virgola pittorica a ripresentare al mondo i doni di Dio sulla terra”.


Un’ultima nota per sottolineare il piacere fisico del fare pittura - “la pittura è necessaria e facile come correre o saltare, penso che il mio corpo, la forza nelle gambe, la duttilità del polso, l’intensità del mio sguardo che giudica e accompagna il gesto del pennello siano la vera motivazione estetica che mi porta a fare le cose a modo mio”- che traspare con grande forza nelle opere di Cingolani. Vedere per credere la stanza dove sono radunati i meravigliosi quadri rossi, “ho comprato chili di colore rosso della marca più fine e ricercata, in ogni possibile gradazione di cadmio. Ho speso un patrimonio, ma ogni volta che lo vedo sul pennello sono felice”. Soldi ben spesi perché il risultato è che siamo felici anche noi.