Cina, la catastrofe demografica prossima ventura
A un anno dall'entrata in vigore della legge che ammorbidisce la politica del figlio unico, permettendone due, nulla è però cambiato in Cina riguiardo alla severità e crudeltà con cui viene applicata la politica demografica. L'analisi del Population Research Institute.
Tutte le conseguenze negative del controllo delle nascite e le ipocrisie dell’aborto emergono con particolare drammaticità quando si parla della Cina. A un anno di distanza dalla decisione del Partito comunista cinese di porre fine alla politica del figlio unico e rimpiazzarla con una nuova misura che permette ai coniugi di avere fino a due bambini, permangono infatti gli abusi che negli ultimi 36 anni hanno impedito innumerevoli nascite (400 milioni, secondo le stime del governo), attraverso aborto, contraccezione e sterilizzazione forzati.
Come spiega su Epoch Times Jonathan Abbamonte, analista del Population Research Institute, anche sotto la nuova politica, che rimane profondamente ingiusta, il governo continua a mantenere uno stretto controllo sulle donne in età fertile. Le coppie che violano il limite dei due bambini sono tuttora costrette a pagare multe abnormi, da tre a dieci volte il loro reddito annuale. I funzionari della pianificazione familiare continuano a esercitare pressioni sulle donne per indurle ad abortire se hanno già raggiunto la quota di figli consentita. “Se non ci fossimo nascosti, i funzionari ci avrebbero obbligato ad avere un aborto”, ha raccontato alla BBC un uomo che ha lasciato il suo villaggio con la moglie incinta del terzo bambino.
In questo contesto di coercizioni suscita sconcerto sapere che una multinazionale degli aborti come la International Planned Parenthood Federation, che dice di stare dalla parte delle donne e a parole si è sempre dichiarata pro-choice (per la libertà di scelta), collabori attivamente con il governo cinese per attuare il controllo delle nascite. “Credo sia impossibile lavorare così strettamente con la macchina dell’aborto forzato del Partito comunista cinese senza essere complice nelle sue atrocità”, ha detto Reggie Littlejohn, presidente di Women’s rights without frontiers, che ha chiesto un’indagine internazionale sulle operazioni di Planned Parenthood in Cina. Se i grandi media non nascondessero la questione, crescerebbe la consapevolezza che quando si parla di aborto la “libertà di scelta” è solo uno slogan utile a negare la realtà di una vita spezzata, volto a favorire il relativo business.
Oltre alle multe, molte coppie sono ancora minacciate con la perdita del lavoro, sebbene alcuni tribunali abbiano iniziato a dare ragione alle donne licenziate per aver violato la politica dei due figli. Da questi graduali miglioramenti sono però esclusi gli impiegati statali, che non possono fare ricorso contro il licenziamento. In molti posti, inoltre, le donne in età fertile continuano a essere sottoposte a invasive ecografie semestrali e indotte ad abortire nel caso abbiano già due figli. Alcune mamme si sono viste confiscare le loro proprietà e il bestiame, mentre dei loro parenti sono stati imprigionati con la richiesta di un riscatto in denaro. Tutti fatti che dimostrano come l’atteggiamento dei funzionari della pianificazione familiare, dopo l’abbandono della politica del figlio unico, sia rimasto in gran parte immutato.
Eppure, la crisi demografica e il rapido invecchiamento che si prospetta per i prossimi anni, dovrebbero suggerire al governo cinese misure ben diverse da quelle adottate. Come osserva Abbamonte, “la nuova politica dei due figli può essere troppo poco e troppo tardiva per fermare la transizione demografica già in atto. Secondo i dati dell’Onu, prima che i neonati di oggi compiano 20 anni, il rapporto tra le persone in età di pensionamento e quelle in età lavorativa sarà più che raddoppiato”. Per il 2035 si prevede cioè di arrivare ad appena 2.4 persone in età lavorativa per ciascun pensionato (l’anno scorso il rapporto si attestava a quota 5.6) ed entro il 2060 la Cina sarà tra i 15 Stati più vecchi del mondo. In soldoni: il sistema diventerà via via insostenibile perché i potenziali pensionati saranno sempre di più, mentre non ci sarà un corrispondente aumento del numero dei giovani, ossia coloro che con il proprio lavoro e i propri contributi consentono a un’economia di stare in piedi e rinnovarsi.
Demografi ed economisti hanno fatto notare che il tasso totale di fertilità in Cina è troppo basso per sostenere una crescita di lungo periodo: 1.58, secondo l’Onu (un dato che è comunque migliore rispetto a quello ancora più desolante dell’Italia, pari a 1.35, dove i governi che si alternano alla guida del Paese continuano a non affrontare il problema). Peraltro, se generalmente si considera 2.1 come il tasso necessario a garantire il ricambio generazionale, in Cina servirebbe una soglia leggermente più alta, in ragione dei più alti tassi di mortalità per bambini e adulti in età riproduttiva. Un altro motivo per cui nello Stato asiatico sono necessarie più nascite è lo squilibrio tra i sessi causato dalla pratica degli aborti selettivi, a sua volta radicatasi nei 36 anni di sistema del figlio unico per la preferenza accordata ai bambini maschi. Storture in cui cadono le società che aprono la porta al male, pretendendo di trattare la vita umana come se fosse un prodotto.
Ecco perché Abbamonte conclude la sua analisi affermando che “anche se le politiche di pianificazione delle nascite venissero abolite, rimarrebbe ancora una lunga strada davanti alla Cina per riguadagnare il livello di fertilità necessario al ricambio generazionale. Decenni di propaganda per promuovere la famiglia con figlio unico hanno di fatto cambiato le intenzioni di natalità delle coppie. Molte coppie in Cina percepiscono adesso un secondo o terzo figlio come troppo costoso. Generalmente, le dimensioni della famiglia tendono a ridursi quando le nazioni diventano più urbane, più istruite e più floride economicamente”.
Anche il ricercatore del Population Research Institute smentisce insomma i sostenitori del controllo delle nascite, ricordando come vanno le cose di solito: è la crisi demografica che genera un circolo vizioso, sfociando in una crisi economica. Non viceversa.